Paestum, busto femminile di terracotta 500 a.C. Italico o greco, si suppone che le svastiche in questo caso essendo su un busto femminile siano simbolo di fertilità |
Tra gli oggetti
custoditi nel Museo Civico di Cosenza, c’è una fibula in bronzo a forma di spirale
risalente al IX-VIII secolo a.C., rinvenuta durante gli scavi del 1888 a Torre Mordillo,
quando fu scoperta una vasta necropoli relativa a un centro di età protostorica
antistante la piana di Sibari.
Fibula a spirale |
Oggetti
della stessa forma sono presenti nei numerosi ritrovamenti fenici rinvenuti in
Calabria, Sicilia e Nord Africa, inequivocabile testimonianza di proficui
scambi con i Fenici. I reperti consentono di effettuare un confronto tra i
popoli e le culture del Mediterraneo, rivelando insospettabili paralleli tra
l’iconografia dei popoli italici della Calabria arcaica e quella simbolica dei
Fenici.
I Fenici furono,
tra i popoli antichi, i primi ad usare stabilmente la navigazione come
strumento di scambio culturale e mercantile tra le diverse sponde del Mediterraneo.
Dalla loro base in Siria, si spinsero a commerciare in Egitto, Grecia, Italia,
Spagna, Tunisia fino alle coste dell’Africa Atlantica molto prima dei Greci.
Sembra, addirittura, che abbiano attraversato lo Stretto di Gibilterra per
giungere nell’attuale Gran Bretagna.
Molteplici
testimonianze di questi scambi, sono state ritrovate negli scavi archeologici
della Calabria, in un arco temporale molto vasto, che va dall’VIII sec. a.C.
sino alla conquista romana della regione. I rapporti commerciali cominciati con
gli Italici prima, continuarono con i Brettii, in seguito con i coloni Greci e poi
con i Romani fino alle guerre puniche.
I Fenici
scambiavano i loro oggetti d’arte con l’olio, il vino, il prezioso legname
della Sila e l’ancor più preziosa pix brutia (pece), materiali necessari per la
costruzione ed impermeabilizzazione delle navi della loro flotta mercantile:
infatti, nelle colonie fenicie Nord-Africane, non vi erano foreste e l’approvvigionamento
di legname avveniva in Calabria fin dai tempi remotissimi, essendo la Sila l’altopiano coperto da
grandi foreste più a Sud di tutta l’Europa, il cui disboscamento, quindi,
iniziò molto prima dei Romani.
Vettori di una
nuova cultura materiale nata in Oriente, i Fenici portarono in Calabria con il
loro commercio, oggetti d’arte, stoffe, porpora, avorio, tecnologia nautica e culti
che contaminarono ben presto le popolazioni autoctone con il fascino esotico ed
esoterico di alcuni oggetti ritrovati durante gli scavi effettuati in Calabria.
In particolare, a Francavilla Marittima i ritrovamenti di orientalia (provenienti
dal Mediterraneo orientale e dall’Egitto) nella necropoli di contrada di
Macchiabate e nel santuario sul Timpone della Motta, hanno evidenziato il
valore profilattico e terapeutico attribuito agli amuleti orientali. Legati al
mondo femminile ed alla protezione magica sull’infanzia, un gran numero di
perle di vetro, divinità egizie, scarabei usati anche come pendagli e sigilli, vasetti
di profumo sono stati rinvenuti in tombe femminili, con chiari riferimenti alla
sfera della riproduzione e dell’infanzia.
Tra i primi
oggetti di importazione, invece, è la preziosa e bellissima coppa di bronzo
decorata a sbalzo (prima metà dell’VIII secolo a.C.), proveniente da Timpone
della Motta, documento unico per l’alta cronologia, per la raffigurazione e
soprattutto per la forma, segno di un rapporto antichissimo tra i popoli
italici ed i navigatori fenici provenienti da Oriente.
Rimane,
tuttavia, un affascinante mistero archeologico il fatto che l’antica civiltà
italica conoscesse già, ben prima del loro arrivo, gli antichi simboli
primordiali presenti anche nelle culture antichissime della Mesopotamia e
dell’India.
I nostri
antenati usavano, infatti, simbologie antiche per la decorazione dei loro
oggetti, quali la svastica o croce uncinata, antichissimo disegno indicante il
ciclo solare (abusato dai nazisti 2800 anni dopo), presente oltre che in
Calabria ed in Lucania, anche nelle decorazioni di oggetti ritrovati in Siria e
Mesopotamia, negli insediamenti Sumeri ed Assiro-Babilonesi e persino in India
e Tibet, visto che la svastica è il simbolo principale del Bardo Todhol, il libro tibetano dei morti.
E, ancora,
spirali, probabilmente la rappresentazione stilizzata del disco solare, barche
solari, uccelli acquatici, tutti elementi presenti nei gioielli delle donne di
Francavilla Marittima, Torano Castello, Torre Mordillo, sito questo, da cui
provengono i numerosi reperti conservati nel Museo Civico di Cosenza.
Forse una
matrice comune tra i vari popoli del mondo antico, visto che gli stessi simboli
ricorrono presso le civiltà pre-colombiane, dunque dall’altra parte del mondo
mediterraneo, ad indicare come un unico ceppo di origine indo-asiatica si sia
propagato sul pianeta in epoca antidiluviana, portando con sé i segni che oggi
accomunano diverse civiltà distanti tra di loro.
Una dea fenicia a Roma
Venerata come dea
italica, la figura fenicia di Anna Perenna si impone nella tradizione cultuale
romana dell’età imperiale. Riferita da Ovidio nei Fasti (III 522 – 710), ove si
racconta la fuga da Cartagine della principessa tiria Anna dopo la morte della
sorella Didone, diretta verso la costa ionica della Calabria.
Una seconda tradizione,
ricostruita da Silio Italico (Punica, VIII 1 – 221), vuole che la dea fenicia
sia apparsa in sogno ad Annibale in un momento difficile della guerra contro
Roma, per incoraggiarlo alla imminente battaglia di Canne.
Alcuni la ritengono una
personificazione femminile dell’anno e del suo perpetuo ritorno, infatti era
anche chiamata Anna ac Peranna e presso i Romani vigeva l'augurio di: annare
perannareque commode (passare un buon anno dall'inizio alla fine). La sua
festa, comunque, era il 15 marzo (Idi di marzo) e dava occasione a banchetti in un
bosco sacro alla dea sito lungo la via Flaminia.
Cosenza,
27 agosto 2020
© Francesca Canino