Nelle scorse settimane, il teatro “Silvio Vuozzo”, situato presso la scuola Spirito Santo di Cosenza, ha ospitato l’innovativa performance “Contr_Ora” di Giovan Battista Picerno, messa in scena dal Kollettivo Kontrora.
Per la regia di Francesco Aiello, in scena con Maria Canino, il secondo appuntamento della rassegna “Voci dal Sottosuolo”, organizzata da Kontrora e dal Teatro del Carro, con il sostegno di Spazio Precario Autogestito Arrow, ha attirato un numeroso pubblico e ottenuto applausi scroscianti anche grazie alla direzione tecnica di Jacopo Andrea Caruso, alle musiche originali di Nafta Punk e alle foto di scena di Luna Loiero. Un teatro giovane che porta in scena storie e situazioni del nostro tempo, viste attraverso una lente che consente di cogliere gli aspetti più reconditi della psiche giovanile.
Ma cosa si intende con il termine Controra?
Nel Sud Italia e in numerose aree del Mediterraneo sono le prime ore dopo mezzogiorno ad essere così indicate. “Sono le ore in cui vi sono meno ombre – piega il Kollettivo - ore così calde da fiaccare gli animi e incentivare i popoli all’abbandono dell’azione e della volontà, spingendoli a lasciarsi cadere in un vertiginoso dormiveglia dei sensi e della coscienza. Nel folclore queste ore sono considerate cariche di virtualità magiche, da cui è bene tenersi a debita distanza. Tale leggenda trova un suo corrispettivo colto in quella che, a partire da Roger Caillois, viene identificata col nome di demonologia meridiana. I demoni meridiani sono per lo più figure femminili legate in maniera diversa alla sessualità, all’oblio, allo shock che cambia le coscienze”.
A partire da queste riflessioni, Controra per il Kollettivo diventa, così, una donna vestita da sposa che indossa un passamontagna e degli occhiali che le coprono il volto. Vaga nella sua casa con le luci spente, le tapparelle abbassate, facendosi luce con una torcia e con la poca illuminazione data dalla TV sempre accesa nella stanza. Non esce di casa da molto tempo, non ricorda molte cose del proprio passato, non vede nessuno. La sua unica compagnia è un’intelligenza artificiale chiamata Samsa che, oltre ad essere la sua connessione con il mondo, detta i tempi delle sue giornate.
I tentativi di raccogliere i cocci del proprio passato e della propria identità frammentata, condurranno Controra a inaspettate rivelazioni.
A peggiorare la situazione è Un uomo: all’inizio è solo un’interferenza proveniente dalla tv, un’allucinazione che man mano diventerà una presenza sempre più ingombrante e materica. Dopo tale invasione, nella mente di Controra prenderà corpo uno spettro, la rivoluzione: uscire, finalmente. Uscire per lasciare la scena ad Un uomo. Un uomo è una persona normale, normata, succube della propria idea di mascolinità e di famiglia. Schiavo delle sue dipendenze e della sua implacabile tendenza alla bugia, maturerà l’idea di vedere un terapeuta per liberarsi dai suoi fardelli narcisistici e identitari, ma anche per lui l’incontro con l’altro, con Controra, assumerà i toni dell’allucinazione. Nonostante tutto si presenterà la possibilità di mettere fine ai mancati riconoscimenti di sé e dell’altro.
Durante la rappresentazione, Controra e Un uomo si dibattono nelle loro gabbie identitarie, ma chi sta dentro? E chi fuori? Il dentro e il fuori si confondono.
L’attraversamento della soglia, sentito come necessario, si rivela null’altro che un gioco perturbante: attraversare una porta, chiudersela alle spalle e ritrovarsi nella medesima stanza. Stagnazione identitaria e di genere. La rivoluzione cercata dalla protagonista femminile, in tono minore anche da quello maschile, significa tendere un assalto alle parti di sé cristallizzate e non aperte al cambiamento. Rivoluzione significa sospendere la rete che produce quel lavorio psichico atto a giustificare, a giustificarci. Farla finita con tutte quelle narrazioni che dobbiamo costruire per evitare il cambiamento.
“Abbiamo collocato i nostri protagonisti in un universo fantasmatico – aggiunge il Kollettivo - dalla tv continuamente accesa arriva l’eco di un passato non nostro, ma riconoscibile. In scena vediamo il nostro presente, ma è irriconoscibile. Il disorientamento si impasta col desiderio di andare oltre, ma dove? Fuori di sé, forse”. E un po’ fuori di sé ,durante la serata, sono andati tutti gli spettatori, ammaliati dalla potenza della recitazione di Maria Canino e Francesco Aiello.