FRANCAVILLA è l'unico sito indigeno della Sibaritide che presenta sepolture ininterrotte dall'850 al 530 a.C., sopravvissuto all'arrivo dei Greci e alla fondazione di Sybaris. Formato da due terreni archeologici, Timpone della Motta e Macchiabate, numerosi sono i ritrovamenti che riguardano la religione e l'insediamento abitativo. Gli antichi abitanti di Francavilla Marittima erano sicuramente Italici. Ad essi l'archeologia ha dedicato poca attenzione, troppo incentrata sui Greci e sulla loro colonizzazione del Sud d'Italia che ha fatto trascurare la preistoria indigena.
Negli
anni '30 del secolo scorso, comparvero a Francavilla le prime testimonianze di
una cultura indigena protostorica, proveniente da
corredi funerari come la tomba Strada in contrada Macchiabate.
Nel 1963, la Soprintendenza intraprese le prime campagne di scavo
dirette da Paola Zancani Montuoro. Fino al ‘69 si svolsero annuali campagne con
la collaborazione dell’archeologa olandese Maria W. Stoop e della sua allieva Marianne Kleibrink. In cima al Timpone della Motta fu scoperta
l’Acropoli di una città ellenizzata e in contrada Macchiabate una necropoli
indigena. Numerosi i reperti ritrovati con gli scavi clandestini e finiti in
collezioni private e in musei stranieri.
Tra gli oggetti più belli
rinvenuti si annovera 'La dama di Sibari'. Nel santuario di Athena, sulla cima
del Timpone della Motta, sono stati, infatti, ritrovati i frammenti di un
importante reperto raffigurante forse la stessa dea. Molto curato è
l'abbigliamento per la ricchezza e l'unicità dei decori, costituito da una
gonna lunga con disegno a rete, un corpetto e un grembiule decorato con larghe
fasce orizzontali, in cui uomini e donne sono rappresentati nell’atto di
danzare.
Nella necropoli di Macchiabate è stato trovato un bellissimo sigillo a forma di scarabeo, a imitazione dello
stercorario egizio. Considerato un insetto protettivo per il modo in cui muove
la pallina di sterco, simile al movimento del sole nel firmamento, l'uso
proviene dall'Egitto e si diffuse nel Mediterraneo ad opera dei mercanti fenici
e greci, come attestano gli scarabei ritrovati nelle tombe di bambini a Pithekoussai
(Ischia). Su una parte del sigillo, lo scarabeo reca un intaglio che
rappresenta un leone contornato da un'iscrizione in aramaico.
C'è anche un reperto che testimonia il culto
dell’acqua: è la ‘pisside del Canton Ticino’, così definita perché è stato
ritrovato in Svizzera dove era clandestinamente finita. La scena dipinta è in
stile sub-geometrico dell’Italia meridionale, risale al 700 a.C. e raffigura la
scena di una processione in cui una fila di uomini armati, capeggiati da un
suonatore di lira, e una fila di donne raggiungono una dea seduta su un trono.
La capofila porta una hydria e la dea ha in mano una coppetta per raccoglierla.
Un altro pezzo importante, ritrovato nella tomba della Strada, è la pregiata
coppa in bronzo di fattura fenicia che testimonia gli scambi tra l’antica
Calabria jonica e i paesi del Mediterraneo.
Cosenza, 30 gennaio 2021
© Francesca Canino