Giuseppe Cosco
aveva 42 anni quando ha esalato l’ultimo respiro all’istituto Papa Giovanni che
lo ospitava da anni. Un alone di mistero rimane ancora oggi sulle cause della
morte, peraltro i suoi familiari non hanno ricevuto alcuna documentazione
relativa al decesso. La storia di Giuseppe, un giovane con problemi mentali
rinchiuso in diverse strutture psichiatriche da quando era un bambino e
deceduto improvvisamente, è triste e la sua morte misteriosa si inserisce nella
sconvolgente vicenda dell’Istituto Papa Giovanni XXIII (IPG) di Serra d’Aiello,
in provincia di Cosenza, che da casa di accoglienza divenne casa degli orrori.
Giuseppe giunse
nella struttura nel 1994, dopo essere stato ospite in vari istituti. La madre,
che soffriva di una grave forma di depressione, decise di rinchiuderlo, in
tenera età, in un istituto, perché manifestava alcuni disturbi psichici. La sua
è stata una vita di sofferenze e incomprensioni: spesso veniva incatenato al
letto e dimenticato dagli stessi operatori sanitari che avrebbero dovuto
prendersene cura. I diritti di Giuseppe furono calpestati quando
ricevette una coltellata da un altro ospite del Papa Giovanni e nessuna avvisò
i familiari, oppure quando morì improvvisamente, nonostante una relazione
medica di pochi giorni prima il luttuoso evento stabiliva un “lieve
miglioramento delle condizioni del paziente affetto da ritardo
mentale con turbe del comportamento”. Rimane una morte inspiegabile.
Il
caso Cosco non rappresentò, tuttavia, un episodio isolato: l’Istituto Papa
Giovanni di Serra d’Aiello, infatti, fondato per accogliere le sofferenze dei
malati e dare loro sollievo, fu teatro di fatti inquietanti aventi come
protagonisti malati di mente, anziani, disabili, gente sola e abbandonata a se
stessa. Un lager di ripudiati. Eppure, il suo fondatore, don Giulio Sesti
Osseo, che aveva costruito la struttura negli anni ‘50, era una persona di grande
umanità. Costretto in modo subdolo dalla Curia cosentina ad abbandonare la
gestione dell’istituto circa mezzo secolo dopo la sua fondazione, don Giulio si
ritirò e il Papa Giovanni fu affidato a don Alfredo Luberto. Sotto la sua
gestione si verificò il declino della struttura e la trasformazione della casa
di accoglienza in “clinica degli orrori”, malgrado gli esosi finanziamenti che
la struttura riceveva. Introiti consistenti provenienti dai beni personali dei
malati e dai contributi che la Regione Calabria erogava per l’assistenza ai
numerosi degenti dell’istituto, migliaia e migliaia di euro inghiottiti
dall’avidità del prete che viveva in una lussuosissima casa. Impreziosita da disegni di De Chirico, di oggetti d’oro e
d’argento, da una scultura di Manzù, da mobili di lusso, sauna e palestra in
mansarda, la casa di Luberto custodiva anche stilografiche preziose e rare
collezione di orologi. Il prete con la passione per le moto, nipote a
sua volta di un sacerdote cosentino, non si preoccupò mai di lasciare
per settimane intere i degenti in mezzo alla sporcizia, tra zecche e scabbia,
letti malmessi e senza coperte, finestre rotte anche d’inverno, a fronte di una
retta giornaliera per ogni ricoverato pari a circa 150 euro, di cui solo 10/15
euro venivano spesi realmente per i malati. Per questi motivi fu indagato e
sospeso a divinis,
arrestato nel luglio del 2007 con l’accusa di aver distratto centinaia di
migliaia di euro dalle casse del Papa Giovanni. In primo grado fu condannato
col rito abbreviato a sette anni di reclusione, in Appello si chiesero cinque
anni, pena confermata in via definitiva dalla Cassazione per truffa aggravata, utilizzazione di diffuse fatturazioni per
operazioni inesistenti, falsificazioni di documenti contabili e malversazioni
contro i degenti della casa di cura psichiatrica di proprietà della Curia
cosentina. Gli imbrogli di Luberto coinvolsero
anche amministratori e personale della struttura, fu
indagato perfino l’allora vescovo di Cosenza, Giuseppe Agostino, che avrebbe
dovuto vigilare e che invece lasciò Luberto libero di disporre dei fondi
dell’istituto, mentre anziani, paralitici, malati di mente, mutilati,
povera gente spesso non voluta dalle famiglie era trattata senza umanità, tra
sporcizia, fame, degrado. Ma l’orrore va oltre.
La magistratura
si trovò presto di fronte a casi di sparizioni, morti sospette, lesioni gravi,
forse anche un traffico di organi. Su queste aberrazioni si aprì un’inchiesta
per far luce sulla scomparsa di una decina di ospiti, mai ritrovati. Che fine
hanno fatto questi degenti? Si sono allontanati dall’istituto alla ricerca
della libertà o sono stati fatti sparire – come hanno ipotizzato gli
investigatori – perché qualcuno voleva appropriarsi dei loro beni o dei loro
organi?
Non trascorse
molto tempo che saltarono fuori le stranezze delle cartelle cliniche, compilate
tutte allo stesso modo, con diagnosi uguali. Molte di esse, relative ad alcuni
ammalati, non furono mai trovate e tanti decessi non vennero neanche
registrati. Si ipotizzò che dietro a ogni decesso non registrato vi fosse
l’ombra di un omicidio.
Ma torniamo al
sacerdote Luberto, costretto a dimettersi da presidente della fondazione Papa
Giovanni dopo una serie di riscontri. Nei giorni precedenti l’arresto,
circolavano voci su fatture per viveri ‘fantasma’, merce che non corrispondeva
a ciò che realmente arrivava nei magazzini. La gestione personalistica dei
fondi destinati all’istituto aveva arricchito il prete-presidente sulla pelle
dei poveri degenti. Il sacerdote Luberto milionario e gli ammalati tra le zecche,
il freddo, la fame.
In questa
sconcertante storia ci fu un episodio che scosse l’opinione pubblica e che
decretò la fine dell’istituto: lo sgombero della struttura disposta dalla
Procura di Paola il 17 marzo 2009. In piena notte, oltre 300 ospiti del Papa
Giovanni furono trasferiti in altre strutture sanitarie della provincia,
all’improvviso, all’insaputa dei familiari e soprattutto senza un motivo.
Anziani e ammalati furono costretti ad alzarsi dai letti e a lasciare
l’istituto in pigiama, senza avere il tempo di prendere le loro povere cose,
tra urla, terrore, lacrime. Le immagini dei telegiornali trasmesse il giorno
dopo l’evacuazione rimasero impresse nella mente di tutti e aprirono uno squarcio
sulla clinica degli orrori: nessuno poteva più ignorare cosa accadeva a Serra
d’Aiello. Perché
la Curia cosentina non impugnò l’ordinanza per evitare il trasferimento degli
ammalati? Rimarrà uno dei tanti enigmi della vicenda.
I
riflettori, a questo punto, si accesero sui pazienti scomparsi e sulle morti
misteriose. La Procura di Paola ordinò la riesumazione di settanta salme
custodite nei loculi del cimitero di Serra d’Aiello per accertare, con l’esame
del DNA, che corrispondessero agli scomparsi. Furono riscontrate diverse
anomalie durante l’ispezione, tra cui la presenza in alcuni loculi di due bare,
realizzate appositamente di una dimensione più piccola del normale per farle
entrare in un unico loculo. Ad un successivo controllo effettuato nel febbraio
del 2010, con l’apertura delle singole bare si trovarono più corpi all’interno
della stessa bara o corpi tumulati e successivamente spostati da una bara
all’altra. Le ricerche non sortirono gli esiti sperati, dei degenti del Papa
Giovanni non vi era traccia. Scomparsi nel nulla e l’ipotesi del procuratore di
Paola, cioè la sepoltura clandestina degli malati, rimase senza riscontri.
Gli inquirenti
cercarono anche di far luce sulla morte misteriosa di sette pazienti, tra cui Giuseppe
Cosco, ufficialmente morto d’infarto.
I misteri
rimangono.
Oggi l’istituto
pare sia stato acquistato in parte per essere destinato all’accoglienza dei
migranti. È stato questo il motivo dello sgombero notturno, come affermano i
bene informati? Trasformare il Papa Giovanni in un centro di accoglienza per i
migranti e incassare altri finanziamenti?
Pare anche che
durante il periodo di crisi dell’istituto, alcuni politici calabresi abbiano
cercato di salvarlo, ma furono eletti deputati e dovettero lasciare la
Calabria. Solo un caso?
Pure padre Fedele
Bisceglia aveva offerto il suo aiuto per risollevare le sorti dell’istituto, ma
solo pochi mesi dopo dal tentativo fatto insieme a una troupe televisiva di
visitare l’IPG, fu accusato di aver violentato una suora e arrestato. Fu
prosciolto dieci anni dopo perché il fatto non sussiste. Un caso anche questo?
LA STORIA DELL’ISTITUTO
La Fiat del Sud, il sogno di don
Giulio Sesti Osseo
L’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, in
provincia di Cosenza, vede la luce negli anni ’50 ad opera di don Giulio Sesti Osseo, che realizza
una piccola struttura per ospitare poveri, anziani e disabili. Diventa in breve
il rifugio di tante persone non autosufficienti, spesso affette da malattie
psichiatriche, ma anche di anziani ai quali la famiglia d’origine non può più
assicurare la normale assistenza. I ricoverati che percepiscono una pensione la
girano all’istituto in cambio delle cure e dell’ospitalità e per i nullatenenti
l’istituto incassa i contributi per l’assistenza. Le cure mediche vengono
offerte grazie ai rimborsi del sistema sanitario regionale. Nel giro di pochi
anni, il sacerdote, vista la crescente domanda di ospitalità alla sua
struttura, ha la necessità di assumere del personale per gestirla in modo
efficiente. Molti dipendenti sono assunti per compiere un’opera buona verso
famiglie in difficoltà, altri in cambio di sostegno elettorale. Negli anni ’70,
l’istituto è riconosciuto come “Fondazione di culto e religione” e cresce fino
a ospitare circa un migliaio di degenti e ad assumere 1600 dipendenti. Si
arricchisce di un’azienda agricola di quasi 100 ettari di terra e di un inceneritore. Contestualmente arrivano
i lasciti ereditari e le donazioni private, i quali, dopo l’abbandono della
struttura da parte di don Giulio, confluiscono su un conto corrente gestito
personalmente dal nuovo presidente della fondazione, don Alfredo Luberto. Ancor
prima dell’entrata in scena di Luberto, l’istituto subisce un tracollo. È il
1995,
i dipendenti sono circa 2350, i ricoverati 800, le spese aumentano a dismisura così come prolifera la falsa
documentazione prodotta per ottenere i rimborsi sanitari, molto spesso per cure
mai erogate o per lavori mai effettuati. I debiti si accumulano e dieci anni
dopo la Curia arcivescovile di Cosenza invita don Giulio ad abbandonare la
gestione, nomina un consiglio d’amministrazione e avvia un piano di risanamento
dai debiti calcolato in oltre 15 milioni di euro per stipendi e forniture non
pagati e contributi Inps non versati. In realtà, il risanamento rimane solo
sulla carta, mentre peggiorano le condizioni della struttura. Intanto la
Regione blocca i nuovi ricoveri, ma continua a erogare le prestazioni a favore
di chi è già ricoverato. Le redini dell’istituto passano nelle mani di don
Alfredo Luberto. Iniziano le proteste dei degenti e dei familiari che sfociano
nelle denunce alla polizia giudiziaria. È il 2005.
IL RUOLO DELLA CURIA
Il vescovo di Cosenza del tempo, Giuseppe Agostino, organizza
nel periodo pasquale del 2005 una Via Crucis a Serra d’Aiello, per dimostrare
l’attenzione della chiesa verso l’istituto Papa Giovanni XXIII, ormai in
difficoltà. La Curia di Cosenza
continua, tuttavia, a lasciare pieni poteri di gestione al presidente don
Alfredo Luberto. Questi viene arrestato nel luglio del 2007,
accusato di aver distratto centinaia di migliaia di euro dalle casse del Papa
Giovanni. Nel corso dell’inchiesta, cambiano sia la posizione della Curia che
le dichiarazioni di Luberto, il quale, in un primo momento, dichiara che la
diocesi è a conoscenza di tutto, in seguito ritratta e si assume la
responsabilità di quanto accaduto. Inizialmente, anche
il vescovo Agostino è tra gli indagati: il Pm è, infatti, in possesso di
documenti con la sua firma da cui si evince che egli è a conoscenza dell’operato
di Luberto. La Curia sapeva tutto. Il Pm non trova nell’istituto
i registri presenze, né una pianta organica effettiva o turni di servizio, ma
riscontra, invece, innumerevoli fatture attestanti spese personali, di grossa
entità, del presidente don Luberto,
pagate con i fondi dell’istituto. Ad Agostino, per il quale viene chiesta
l’archiviazione, succede, alla guida dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano,
Salvatore Nunnari, che subirà tutto il periodo del processo.
L’INCHIESTA GIUDIZIARIA
Il Pm Eugenio Facciolla, non
riuscendo ad acquisire i documenti sull’amministrazione del Papa Giovanni, dispone
un blitz in piena notte. In precedenza, gli investigatori che si erano recati
all’istituto erano stati avvistati da alcuni dipendenti, che subito avevano
provveduto a eliminare carte compromettenti. Gli investigatori, durante le loro
visite, si imbattono, tra le altre cose, nella piscina per la riabilitazione,
divenuta una pattumiera. Scoprono anche che durante il turno notturno centinaia
di degenti sono accuditi solo da tre persone.
L’inchiesta della procura della
Repubblica di Paola apre scenari inquietanti. Le prime ispezioni all’istituto
svelano le disumane condizioni in cui vivono gli assistiti: non sono rispettate
le condizioni igieniche, i malati mangiano a terra tra la sporcizia, la
struttura è fatiscente, le finestre rotte sono “rattoppate” dai cartoni,
sebbene dalle fatture risultino i lavori per la sostituzione dei vetri. Alcuni
operai raccontano che quei lavori sono stati eseguiti nell’abitazione di don Luberto.
I pazienti con problemi psichiatrici sono abbandonati a se stessi, senza alcun
controllo.
Sono 27 gli indagati, tra cui don
Luberto, con l’accusa di associazione per delinquere, appropriazione indebita,
truffa, riciclaggio, furto e abbandono di persone minori o incapaci. Luberto
viene arrestato nel luglio del 2007, accusato di aver distratto centinaia di
migliaia di euro dalle casse del Papa Giovanni. In primo grado viene condannato
col rito abbreviato a sette anni di reclusione (novembre 2009). Segue il
ricorso in Appello, in cui si chiedono cinque anni, pena confermata in via
definitiva dalla Cassazione per truffa
aggravata, utilizzazione di diffuse fatturazioni per operazioni inesistenti,
falsificazioni di documenti contabili e malversazioni contro i degenti della
casa di cura psichiatrica gestita dalla Curia cosentina.
LO SGOMBERO
A causa delle gravi carenze
igienico-sanitarie in cui versava la struttura, nel marzo 2009, per decisione
della magistratura, 360 degenti vengono trasferiti in altre strutture della
provincia. Lo sgombero avviene senza preavviso e in piena notte. Centinaia di
pazienti sono trasferiti con la forza dalla struttura che li ospita da tempo e
soprattutto all’insaputa dei loro familiari. Le immagini trasmesse non solo nelle
televisioni italiane, in apertura dei tg, rimandano scene forti di pianti,
disperazione e brutalità. Anziani e ammalati vengono trascinati via con la
forza dai letti, non hanno nemmeno la possibilità di vestirsi e di prendere i
loro effetti personali. Vengono sistemati su decine di ambulanze e trasferiti
altrove. Un blitz violento nei confronti di disabili e anziani che resterà
sempre nella memoria di tutti. Gli oltre 500 dipendenti, dopo anni e anni di
lavoro, nella struttura denominata “la Fiat del Sud”, vengono tutti licenziati.
I PAZIENTI SCOMPARSI
Uno dei filoni d’inchiesta riguarda
i pazienti scomparsi e alcuni decessi poco chiari avvenuti dal 1995 in poi, tra
cui il caso di una donna ricoverata al Papa Giovanni, deceduta in un ospedale
della provincia a causa di un ictus. Ma dalla denuncia presentata dai
familiari, si evince che la donna è morta a causa di colpi ricevuti in testa.
Ci sono altri casi di morti sospette, come quella di un paziente che aveva
nominato suo erede un dipendente dell’istituto.
La Procura di Paola conferma che
mancano all’appello 13 ricoverati, qualcuno si sarà allontanato dall’istituto
visto che non vi erano controlli, per altri rimane l’ombra dell’omicidio. Nel
2008 si registra l’ultimo caso di persona scomparsa, la quinta dal 1996 in poi.
Da alcune intercettazioni telefoniche si viene a conoscenza di un ospite
trovato morto. Gli inquirenti indagano per capire cosa sia successo alle
persone scomparse dal Papa Giovanni. Le ipotesi al vaglio non escludono un
possibile traffico di organi, anche se prive di elementi probatori.
Il sospetto è che la verità sia
stata nascosta in più occasioni e che in tanti sappiano delle strane sparizioni
e delle morti e ferite sospette, dei segni di percosse e dei maltrattamenti
raccontate dai familiari di alcuni degenti dell’istituto. E le persone
scomparse? Si sono tutte allontanate di propria sponte e hanno trovato
accidentalmente la morte? E l’ipotesi del traffico di organi di cui parlano gli
inquirenti è davvero infondata?
Il procuratore di Paola, Bruno
Giordano, per far luce sulle persone scomparse, scese in seguito ufficialmente
a 7, dispone l’apertura delle bare contenute in diverse decine di loculi del
cimitero di Serra D’Aiello, dove sono sepolti i cadaveri dei degenti del Papa
Giovanni. Lo scopo è di prelevare campioni di ossa o di midollo e inviarli al
Ris di Messina per sottoporli al test del Dna e giungere, eventualmente,
all’identificazione dei resti. Il procuratore riscontra una conduzione
amministrativa dei decessi poco chiara, il dubbio è che non tutte le morti
siano state denunciate nei tempi previsti, a causa della pessima situazione dei
registri.
Alla decisione di estumulare i
cadaveri dalle bare per comparare il Dna con i familiari degli scomparsi, si giunge
dopo la scoperta di quattro bare situate in due loculi. Solo una violazione
delle disposizioni di polizia mortuaria?
Ma il lavoro degli investigatori si
complica, perché sul registro del cimitero i defunti non sono segnati con le
proprie generalità e su molti loculi è apposta solo una o due croci, a indicare
il numero di bare contenute.
IL DANNO ERARIALE
Il secondo
troncone dell’inchiesta
riguarda le procedure di accreditamento e di rimborso sanitario al Papa
Giovanni da parte della Regione Calabria. Le prime segnalazioni giunte in
Procura sul degrado in cui versava l’istituto, risalgono al 2002, ma fino al
2006 la Regione continua ad erogare grosse somme senza mai effettuare un
controllo. Per gli investigatori si profila un danno erariale di almeno 150
milioni di euro. Infatti, come ha verificato la Finanza, per ogni degente del
Papa Giovanni la Regione ha sborsato in media 150 euro al giorno, mentre la
spesa effettiva si è aggirata sui 10/15 euro al giorno. Una differenza
notevole, finita nelle tasche dei gestori, incuranti delle condizioni disumane
in cui versavano i pazienti.
13-3-2018
© Francesca Canino