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19 marzo 2018

Gli ultrasuoni in medicina, perché non provarli sulle cellule cancerogene?

 
Il suono è la medicina del futuro
di Domenico Canino
Che il potere del suono fosse immenso è scritto nella Bibbia, nell’episodio di Gerico, dove il suono di alcune “trombe” distrugge le mura della città. E’ infatti risaputo che a determinate frequenze si può frantumare la materia. Un acuto di un soprano alla giusta frequenza rompe un bicchiere di cristallo. E con gli ultrasuoni si può provocare la cavitazione ed implosione delle membrane delle cellule viventi, e così frantumarle. Lo fece per la prima volta negli anni '30 lo scienziato americano Raymond Royal Rife, che dopo aver inventato un potente microscopio, osservò che le cellule si rompevano se sottoposte a determinate frequenze ultrasoniche (oltre la soglia di udibilità umana) . E guarì molte persone, frantumando cellule cancerose e batteri e virus, ma poi la sua scienza fu ostacolata, e lui finì i suoi giorni dimenticato ed in povertà. E non se ne è parlato sino a circa 20 anni fa quando si è cominciato negli ospedali a rompere con gli ultrasuoni (litotritore) i calcoli renali attraversando i tessuti che stanno davanti senza alcun danno. E poi da circa dieci anni si è cominciato a fare implodere con gli ultrasuoni attraverso la cavitazione le cellule di grasso sottopelle, e farle così assorbire normalmente dall’organismo umano, attraverso sangue e fegato, senza intervento chirurgico invasivo di liposuzione. 
Ma se si possono bombardare con gli ultrasuoni i calcoli renali ed il grasso perché non le cellule responsabili di Parkinson e cancro?
Se lo sono chiesto alcuni scienziati di università americane e si sono messi a sperimentare la tecnica dei FOCUSED ULTRASOUND, ultrasuoni focalizzati; pensate ad una lente ottica che concentra i raggi solari su un punto di un foglio di carta, e lì si accende il fuoco. Ugualmente con una lente acustica, si possono focalizzare e concentrare gli ultrasuoni sulle parti di tessuto organico che si vuole distruggere, sia nel cervello che nei reni, che nei polmoni.
Guardate i filmati dei pazienti trattati dai medici universitari USA e Svezia associati alla FOCUSED ULTRASOUND FOUNDATION, c’è da rimanere a bocca aperta! Vedrete ad esempio una donna malata di tremore fortissimo, con danni in 14 aree del cervello, sottoposta al bombardamento di ultrasuoni con l’ausilio visivo della TAC, e constaterete che alla fine della seduta, dopo molti anni finalmente non trema più, e può tornare ad una nuova vita. Ed è solo uno delle centinaia di pazienti già trattati con successo. (https://www.youtube.com/watch?v=272TzaUXg_U&t=37s).
Molte malattie possono trovare risposta, e gli interventi avvengono senza che ci sia mai nessun bisturi a toccare i tessuti, e senza anestesia e dolore. Riabilitazione immediata. Il prossimo passo è bombardare le cellule cancerogene…
Ricordo che tutti usiamo gli ultrasuoni dagli anni 30 per le ecografie neonatali, per vedere restituita l’ immagine di un feto, e che tutti gli studi dentistici usano degli sterilizzatori ad ultrasuoni, per i loro attrezzi chirurgici, ed usano gli ultrasuoni anche per la pulizia dei denti, che frantuma lo sporco come le mura di Gerico.
Bisogna informare la popolazione dell’esistenza di questa tecnica ultrasonica per combattere malattie gravi in maniera innovativa e insistere perché la sperimentazione arrivi in Italia, per il bene e la salute di tutti.

13 marzo 2018

I misteri dell’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello (Cs), il lager della vergogna




Giuseppe Cosco aveva 42 anni quando ha esalato l’ultimo respiro all’istituto Papa Giovanni che lo ospitava da anni. Un alone di mistero rimane ancora oggi sulle cause della morte, peraltro i suoi familiari non hanno ricevuto alcuna documentazione relativa al decesso. La storia di Giuseppe, un giovane con problemi mentali rinchiuso in diverse strutture psichiatriche da quando era un bambino e deceduto improvvisamente, è triste e la sua morte misteriosa si inserisce nella sconvolgente vicenda dell’Istituto Papa Giovanni XXIII (IPG) di Serra d’Aiello, in provincia di Cosenza, che da casa di accoglienza divenne casa degli orrori.
Giuseppe giunse nella struttura nel 1994, dopo essere stato ospite in vari istituti. La madre, che soffriva di una grave forma di depressione, decise di rinchiuderlo, in tenera età, in un istituto, perché manifestava alcuni disturbi psichici. La sua è stata una vita di sofferenze e incomprensioni: spesso veniva incatenato al letto e dimenticato dagli stessi operatori sanitari che avrebbero dovuto prendersene cura. I diritti di Giuseppe furono calpestati quando ricevette una coltellata da un altro ospite del Papa Giovanni e nessuna avvisò i familiari, oppure quando morì improvvisamente, nonostante una relazione medica di pochi giorni prima il luttuoso evento stabiliva un “lieve miglioramento delle condizioni del paziente affetto da ritardo mentale con turbe del comportamento”. Rimane una morte inspiegabile.
Il caso Cosco non rappresentò, tuttavia, un episodio isolato: l’Istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello, infatti, fondato per accogliere le sofferenze dei malati e dare loro sollievo, fu teatro di fatti inquietanti aventi come protagonisti malati di mente, anziani, disabili, gente sola e abbandonata a se stessa. Un lager di ripudiati. Eppure, il suo fondatore, don Giulio Sesti Osseo, che aveva costruito la struttura negli anni ‘50, era una persona di grande umanità. Costretto in modo subdolo dalla Curia cosentina ad abbandonare la gestione dell’istituto circa mezzo secolo dopo la sua fondazione, don Giulio si ritirò e il Papa Giovanni fu affidato a don Alfredo Luberto. Sotto la sua gestione si verificò il declino della struttura e la trasformazione della casa di accoglienza in “clinica degli orrori”, malgrado gli esosi finanziamenti che la struttura riceveva. Introiti consistenti provenienti dai beni personali dei malati e dai contributi che la Regione Calabria erogava per l’assistenza ai numerosi degenti dell’istituto, migliaia e migliaia di euro inghiottiti dall’avidità del prete che viveva in una lussuosissima casa. Impreziosita da disegni di De Chirico, di oggetti d’oro e d’argento, da una scultura di Manzù, da mobili di lusso, sauna e palestra in mansarda, la casa di Luberto custodiva anche stilografiche preziose e rare collezione di orologi. Il prete con la passione per le moto, nipote a sua volta di un sacerdote cosentino, non si preoccupò mai di lasciare per settimane intere i degenti in mezzo alla sporcizia, tra zecche e scabbia, letti malmessi e senza coperte, finestre rotte anche d’inverno, a fronte di una retta giornaliera per ogni ricoverato pari a circa 150 euro, di cui solo 10/15 euro venivano spesi realmente per i malati. Per questi motivi fu indagato e sospeso a divinis, arrestato nel luglio del 2007 con l’accusa di aver distratto centinaia di migliaia di euro dalle casse del Papa Giovanni. In primo grado fu condannato col rito abbreviato a sette anni di reclusione, in Appello si chiesero cinque anni, pena confermata in via definitiva dalla Cassazione per truffa aggravata, utilizzazione di diffuse fatturazioni per operazioni inesistenti, falsificazioni di documenti contabili e malversazioni contro i degenti della casa di cura psichiatrica di proprietà della Curia cosentina. Gli imbrogli di Luberto coinvolsero anche amministratori e personale della struttura, fu indagato perfino l’allora vescovo di Cosenza, Giuseppe Agostino, che avrebbe dovuto vigilare e che invece lasciò Luberto libero di disporre dei fondi dell’istituto, mentre anziani, paralitici, malati di mente, mutilati, povera gente spesso non voluta dalle famiglie era trattata senza umanità, tra sporcizia, fame, degrado. Ma l’orrore va oltre.
La magistratura si trovò presto di fronte a casi di sparizioni, morti sospette, lesioni gravi, forse anche un traffico di organi. Su queste aberrazioni si aprì un’inchiesta per far luce sulla scomparsa di una decina di ospiti, mai ritrovati. Che fine hanno fatto questi degenti? Si sono allontanati dall’istituto alla ricerca della libertà o sono stati fatti sparire – come hanno ipotizzato gli investigatori – perché qualcuno voleva appropriarsi dei loro beni o dei loro organi?
Non trascorse molto tempo che saltarono fuori le stranezze delle cartelle cliniche, compilate tutte allo stesso modo, con diagnosi uguali. Molte di esse, relative ad alcuni ammalati, non furono mai trovate e tanti decessi non vennero neanche registrati. Si ipotizzò che dietro a ogni decesso non registrato vi fosse l’ombra di un omicidio.
Ma torniamo al sacerdote Luberto, costretto a dimettersi da presidente della fondazione Papa Giovanni dopo una serie di riscontri. Nei giorni precedenti l’arresto, circolavano voci su fatture per viveri ‘fantasma’, merce che non corrispondeva a ciò che realmente arrivava nei magazzini. La gestione personalistica dei fondi destinati all’istituto aveva arricchito il prete-presidente sulla pelle dei poveri degenti. Il sacerdote Luberto milionario e gli ammalati tra le zecche, il freddo, la fame.

In questa sconcertante storia ci fu un episodio che scosse l’opinione pubblica e che decretò la fine dell’istituto: lo sgombero della struttura disposta dalla Procura di Paola il 17 marzo 2009. In piena notte, oltre 300 ospiti del Papa Giovanni furono trasferiti in altre strutture sanitarie della provincia, all’improvviso, all’insaputa dei familiari e soprattutto senza un motivo. Anziani e ammalati furono costretti ad alzarsi dai letti e a lasciare l’istituto in pigiama, senza avere il tempo di prendere le loro povere cose, tra urla, terrore, lacrime. Le immagini dei telegiornali trasmesse il giorno dopo l’evacuazione rimasero impresse nella mente di tutti e aprirono uno squarcio sulla clinica degli orrori: nessuno poteva più ignorare cosa accadeva a Serra d’Aiello. Perché la Curia cosentina non impugnò l’ordinanza per evitare il trasferimento degli ammalati? Rimarrà uno dei tanti enigmi della vicenda.
I riflettori, a questo punto, si accesero sui pazienti scomparsi e sulle morti misteriose. La Procura di Paola ordinò la riesumazione di settanta salme custodite nei loculi del cimitero di Serra d’Aiello per accertare, con l’esame del DNA, che corrispondessero agli scomparsi. Furono riscontrate diverse anomalie durante l’ispezione, tra cui la presenza in alcuni loculi di due bare, realizzate appositamente di una dimensione più piccola del normale per farle entrare in un unico loculo. Ad un successivo controllo effettuato nel febbraio del 2010, con l’apertura delle singole bare si trovarono più corpi all’interno della stessa bara o corpi tumulati e successivamente spostati da una bara all’altra. Le ricerche non sortirono gli esiti sperati, dei degenti del Papa Giovanni non vi era traccia. Scomparsi nel nulla e l’ipotesi del procuratore di Paola, cioè la sepoltura clandestina degli malati, rimase senza riscontri.
Gli inquirenti cercarono anche di far luce sulla morte misteriosa di sette pazienti, tra cui Giuseppe Cosco, ufficialmente morto d’infarto.
I misteri rimangono.

Oggi l’istituto pare sia stato acquistato in parte per essere destinato all’accoglienza dei migranti. È stato questo il motivo dello sgombero notturno, come affermano i bene informati? Trasformare il Papa Giovanni in un centro di accoglienza per i migranti e incassare altri finanziamenti?
Pare anche che durante il periodo di crisi dell’istituto, alcuni politici calabresi abbiano cercato di salvarlo, ma furono eletti deputati e dovettero lasciare la Calabria. Solo un caso?
Pure padre Fedele Bisceglia aveva offerto il suo aiuto per risollevare le sorti dell’istituto, ma solo pochi mesi dopo dal tentativo fatto insieme a una troupe televisiva di visitare l’IPG, fu accusato di aver violentato una suora e arrestato. Fu prosciolto dieci anni dopo perché il fatto non sussiste. Un caso anche questo?

LA STORIA DELL’ISTITUTO

La Fiat del Sud, il sogno di don Giulio Sesti Osseo
L’Istituto Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello, in provincia di Cosenza, vede la luce negli anni ’50 ad opera di don Giulio Sesti Osseo, che realizza una piccola struttura per ospitare poveri, anziani e disabili. Diventa in breve il rifugio di tante persone non autosufficienti, spesso affette da malattie psichiatriche, ma anche di anziani ai quali la famiglia d’origine non può più assicurare la normale assistenza. I ricoverati che percepiscono una pensione la girano all’istituto in cambio delle cure e dell’ospitalità e per i nullatenenti l’istituto incassa i contributi per l’assistenza. Le cure mediche vengono offerte grazie ai rimborsi del sistema sanitario regionale. Nel giro di pochi anni, il sacerdote, vista la crescente domanda di ospitalità alla sua struttura, ha la necessità di assumere del personale per gestirla in modo efficiente. Molti dipendenti sono assunti per compiere un’opera buona verso famiglie in difficoltà, altri in cambio di sostegno elettorale. Negli anni ’70, l’istituto è riconosciuto come “Fondazione di culto e religione” e cresce fino a ospitare circa un migliaio di degenti e ad assumere 1600 dipendenti. Si arricchisce di un’azienda agricola di quasi 100 ettari di terra e di un inceneritore. Contestualmente arrivano i lasciti ereditari e le donazioni private, i quali, dopo l’abbandono della struttura da parte di don Giulio, confluiscono su un conto corrente gestito personalmente dal nuovo presidente della fondazione, don Alfredo Luberto. Ancor prima dell’entrata in scena di Luberto, l’istituto subisce un tracollo. È il 1995, i dipendenti sono circa 2350, i ricoverati 800, le spese aumentano a dismisura così come prolifera la falsa documentazione prodotta per ottenere i rimborsi sanitari, molto spesso per cure mai erogate o per lavori mai effettuati. I debiti si accumulano e dieci anni dopo la Curia arcivescovile di Cosenza invita don Giulio ad abbandonare la gestione, nomina un consiglio d’amministrazione e avvia un piano di risanamento dai debiti calcolato in oltre 15 milioni di euro per stipendi e forniture non pagati e contributi Inps non versati. In realtà, il risanamento rimane solo sulla carta, mentre peggiorano le condizioni della struttura. Intanto la Regione blocca i nuovi ricoveri, ma continua a erogare le prestazioni a favore di chi è già ricoverato. Le redini dell’istituto passano nelle mani di don Alfredo Luberto. Iniziano le proteste dei degenti e dei familiari che sfociano nelle denunce alla polizia giudiziaria. È il 2005.

IL RUOLO DELLA CURIA
Il vescovo di Cosenza del tempo, Giuseppe Agostino, organizza nel periodo pasquale del 2005 una Via Crucis a Serra d’Aiello, per dimostrare l’attenzione della chiesa verso l’istituto Papa Giovanni XXIII, ormai in difficoltà. La Curia di Cosenza continua, tuttavia, a lasciare pieni poteri di gestione al presidente don Alfredo Luberto. Questi viene arrestato nel luglio del 2007, accusato di aver distratto centinaia di migliaia di euro dalle casse del Papa Giovanni. Nel corso dell’inchiesta, cambiano sia la posizione della Curia che le dichiarazioni di Luberto, il quale, in un primo momento, dichiara che la diocesi è a conoscenza di tutto, in seguito ritratta e si assume la responsabilità di quanto accaduto. Inizialmente, anche il vescovo Agostino è tra gli indagati: il Pm è, infatti, in possesso di documenti con la sua firma da cui si evince che egli è a conoscenza dell’operato di Luberto. La Curia sapeva tutto. Il Pm non trova nell’istituto i registri presenze, né una pianta organica effettiva o turni di servizio, ma riscontra, invece, innumerevoli fatture attestanti spese personali, di grossa entità, del presidente don Luberto, pagate con i fondi dell’istituto. Ad Agostino, per il quale viene chiesta l’archiviazione, succede, alla guida dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano, Salvatore Nunnari, che subirà tutto il periodo del processo.

L’INCHIESTA GIUDIZIARIA
Il Pm Eugenio Facciolla, non riuscendo ad acquisire i documenti sull’amministrazione del Papa Giovanni, dispone un blitz in piena notte. In precedenza, gli investigatori che si erano recati all’istituto erano stati avvistati da alcuni dipendenti, che subito avevano provveduto a eliminare carte compromettenti. Gli investigatori, durante le loro visite, si imbattono, tra le altre cose, nella piscina per la riabilitazione, divenuta una pattumiera. Scoprono anche che durante il turno notturno centinaia di degenti sono accuditi solo da tre persone.
L’inchiesta della procura della Repubblica di Paola apre scenari inquietanti. Le prime ispezioni all’istituto svelano le disumane condizioni in cui vivono gli assistiti: non sono rispettate le condizioni igieniche, i malati mangiano a terra tra la sporcizia, la struttura è fatiscente, le finestre rotte sono “rattoppate” dai cartoni, sebbene dalle fatture risultino i lavori per la sostituzione dei vetri. Alcuni operai raccontano che quei lavori sono stati eseguiti nell’abitazione di don Luberto. I pazienti con problemi psichiatrici sono abbandonati a se stessi, senza alcun controllo.
Sono 27 gli indagati, tra cui don Luberto, con l’accusa di associazione per delinquere, appropriazione indebita, truffa, riciclaggio, furto e abbandono di persone minori o incapaci. Luberto viene arrestato nel luglio del 2007, accusato di aver distratto centinaia di migliaia di euro dalle casse del Papa Giovanni. In primo grado viene condannato col rito abbreviato a sette anni di reclusione (novembre 2009). Segue il ricorso in Appello, in cui si chiedono cinque anni, pena confermata in via definitiva dalla Cassazione per truffa aggravata, utilizzazione di diffuse fatturazioni per operazioni inesistenti, falsificazioni di documenti contabili e malversazioni contro i degenti della casa di cura psichiatrica gestita dalla Curia cosentina.

LO SGOMBERO
A causa delle gravi carenze igienico-sanitarie in cui versava la struttura, nel marzo 2009, per decisione della magistratura, 360 degenti vengono trasferiti in altre strutture della provincia. Lo sgombero avviene senza preavviso e in piena notte. Centinaia di pazienti sono trasferiti con la forza dalla struttura che li ospita da tempo e soprattutto all’insaputa dei loro familiari. Le immagini trasmesse non solo nelle televisioni italiane, in apertura dei tg, rimandano scene forti di pianti, disperazione e brutalità. Anziani e ammalati vengono trascinati via con la forza dai letti, non hanno nemmeno la possibilità di vestirsi e di prendere i loro effetti personali. Vengono sistemati su decine di ambulanze e trasferiti altrove. Un blitz violento nei confronti di disabili e anziani che resterà sempre nella memoria di tutti. Gli oltre 500 dipendenti, dopo anni e anni di lavoro, nella struttura denominata “la Fiat del Sud”, vengono tutti licenziati.
 

I PAZIENTI SCOMPARSI
Uno dei filoni d’inchiesta riguarda i pazienti scomparsi e alcuni decessi poco chiari avvenuti dal 1995 in poi, tra cui il caso di una donna ricoverata al Papa Giovanni, deceduta in un ospedale della provincia a causa di un ictus. Ma dalla denuncia presentata dai familiari, si evince che la donna è morta a causa di colpi ricevuti in testa. Ci sono altri casi di morti sospette, come quella di un paziente che aveva nominato suo erede un dipendente dell’istituto.
La Procura di Paola conferma che mancano all’appello 13 ricoverati, qualcuno si sarà allontanato dall’istituto visto che non vi erano controlli, per altri rimane l’ombra dell’omicidio. Nel 2008 si registra l’ultimo caso di persona scomparsa, la quinta dal 1996 in poi. Da alcune intercettazioni telefoniche si viene a conoscenza di un ospite trovato morto. Gli inquirenti indagano per capire cosa sia successo alle persone scomparse dal Papa Giovanni. Le ipotesi al vaglio non escludono un possibile traffico di organi, anche se prive di elementi probatori.
Il sospetto è che la verità sia stata nascosta in più occasioni e che in tanti sappiano delle strane sparizioni e delle morti e ferite sospette, dei segni di percosse e dei maltrattamenti raccontate dai familiari di alcuni degenti dell’istituto. E le persone scomparse? Si sono tutte allontanate di propria sponte e hanno trovato accidentalmente la morte? E l’ipotesi del traffico di organi di cui parlano gli inquirenti è davvero infondata?
Il procuratore di Paola, Bruno Giordano, per far luce sulle persone scomparse, scese in seguito ufficialmente a 7, dispone l’apertura delle bare contenute in diverse decine di loculi del cimitero di Serra D’Aiello, dove sono sepolti i cadaveri dei degenti del Papa Giovanni. Lo scopo è di prelevare campioni di ossa o di midollo e inviarli al Ris di Messina per sottoporli al test del Dna e giungere, eventualmente, all’identificazione dei resti. Il procuratore riscontra una conduzione amministrativa dei decessi poco chiara, il dubbio è che non tutte le morti siano state denunciate nei tempi previsti, a causa della pessima situazione dei registri.
Alla decisione di estumulare i cadaveri dalle bare per comparare il Dna con i familiari degli scomparsi, si giunge dopo la scoperta di quattro bare situate in due loculi. Solo una violazione delle disposizioni di polizia mortuaria?
Ma il lavoro degli investigatori si complica, perché sul registro del cimitero i defunti non sono segnati con le proprie generalità e su molti loculi è apposta solo una o due croci, a indicare il numero di bare contenute.

IL DANNO ERARIALE
Il secondo troncone dell’inchiesta riguarda le procedure di accreditamento e di rimborso sanitario al Papa Giovanni da parte della Regione Calabria. Le prime segnalazioni giunte in Procura sul degrado in cui versava l’istituto, risalgono al 2002, ma fino al 2006 la Regione continua ad erogare grosse somme senza mai effettuare un controllo. Per gli investigatori si profila un danno erariale di almeno 150 milioni di euro. Infatti, come ha verificato la Finanza, per ogni degente del Papa Giovanni la Regione ha sborsato in media 150 euro al giorno, mentre la spesa effettiva si è aggirata sui 10/15 euro al giorno. Una differenza notevole, finita nelle tasche dei gestori, incuranti delle condizioni disumane in cui versavano i pazienti.  

13-3-2018
© Francesca Canino



12 marzo 2018

La legge di iniziativa popolare promossa da “Prima che tutto crolli” e il disinteresse totale di Oliverio & Co. per i centri storici




Da “Prima che tutto crolli” a “Prima che tutto sia insabbiato” il passo più che breve è stato prevedibile. I promotori della legge di iniziativa popolare sui centri storici calabresi hanno fatto il punto della situazione, dopo oltre due anni di attività, nel corso di una pubblica assemblea organizzata nella sala del Coni di Cosenza. In seguito al primo crollo che si è verificato nel centro storico, un gruppo di associazioni ha promosso diverse iniziative per salvare Cosenza vecchia, partendo da una manifestazione organizzata all’Arenella dal significativo nome: “Prima che tutto crolli”.
In un secondo momento, considerando il ruolo che svolgono le città, motore dell’economia e centri di servizi per le aree limitrofe, è stata ideata una proposta di legge che si articola in cinque parti: la prima si fonda sulla qualità urbana e sulla coesione sociale nei centri storici, le altre indicano le azioni che la proposta di legge intende promuovere per la conoscenza e la conservazione del patrimonio storico, la salvaguardia delle culture, la rivitalizzazione dei centri montani e interni, il recupero del patrimonio immateriale calabrese. Particolare attenzione è stata riservata alla sicurezza e all’adeguamento dei centri costieri e all’accessibilità e fruibilità dei centri storici.
Ad oggi, sono una cinquantina i comuni che hanno aderito alla proposta di legge e che premono per la sua approvazione, considerato che i piccoli centri risentono dello spopolamento in modo più grave rispetto alle città e, pertanto, l’abbandono dei centri storici è la naturale conseguenza alla ripresa dell’emigrazione.
La legge, però, non è stata ancora presa in considerazione dal governo regionale, nonostante abbia una sua copertura finanziaria. A ciò si aggiungono i recenti fondi stanziati pochi giorni prima delle elezioni, una pioggia di milioni che rischia di rimanere una delle tante promesse elettorali. Intanto, la richiesta alla Regione di sostenere la legge di iniziativa popolare diventa sempre più stringente, a nulla sono servite, infatti, le passerelle che il presidente Oliverio ha compiuto nel centro storico di Cosenza insieme agli altri politici e agli amministratori della città, disinteressati a risollevarne le sorti.
Cosenza vecchia crolla sotto il peso dei suoi secoli e dell’abbandono, portandosi via la storia e l’arte del capoluogo bruzio, si spera senza vittime, ma fino a quando? Un interrogativo che deve smuovere le coscienze dei politici calabresi per scongiurare tragedie immani.
12-3-18
© Francesca Canino