Approfondite indagini della Guardia di Finanza TPA e
dell’Ispra hanno escluso che la tomba di Alarico sia nelle grotte dell’Alimena
Alarico e il tesoro che non c’è
Nel
novembre 2016 il Mibact si è pronunciato negativamente sulla ricerca del
fantomatico tesoro
16 gennaio 2017
di FRANCESCA CANINO
UNA
ricerca spasmodica. Cosenza cerca Alarico e il suo tesoro nei fiumi cittadini e
nei dintorni della città, firma un protocollo d’intesa con la Soprintendenza
per iniziare le ricerche della tomba del re visigoto, ma la direzione generale
del Mibact e in seguito il Comitato tecnico-scientifico per l’archeologia dello
stesso Ministero revocano, nel novembre
2016, il protocollo. E quando sembrava che sulla leggenda di Alarico fosse
calato il sipario, una testata nazionale
rilancia l'idea e consiglia di proseguire le indagini con l'aiuto di sponsor
privati. L'area da prendere in considerazione è, oltre a quella della
confluenza dei fiumi Crati e Busento, il ponte dell'Alimena, nel comune di
Mendicino.
Ciclicamente
ritorna la storia che vuole il tesoro di Alarico seppellito nelle grotte
dell’Alimena, ipotesi formulata diversi anni fa da alcuni sedicenti
appassionati di archeologia, che hanno dato sempre massima divulgazione alla
loro idea e hanno cercato di coinvolgere il mondo accademico e politico nel
tentativo di dare un fondamento scientifico alle loro tesi e di poter, così,
scavare nell’area. Una passione associata al desiderio di guadagno, infatti, in
relazione a ciò, il Mibact «dal 1998
riceve reiterate – si legge ancora nel parere del Comitato tecnico-scientifico
per l’archeologia dello stesso Ministero – quanto
indebite richieste di premio di rinvenimento sfociate in una causa civile».
Ma
oggi, come in passato, la domanda da porsi è sempre la stessa: dove sono i ritrovamenti?
Finora, è bene sottolineare, non è stato
trovato alcun reperto riconducibile al tesoro di Alarico.
Nel
2008, la Guardia di Finanza, Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico (TPA),
guidata dal colonnello Massimo Rossi, allora comandante del Gruppo TPA oggi
soppresso, e l'Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale, hanno condotto delle indagini di natura geologica nel comune di
Mendicino, in località Ponte Alimena, ed è stata stilata una relazione, in data
7 ottobre 2008, in cui si legge: ‹‹Il 29 luglio del 2008 si è svolto un
sopralluogo tecnico all’Alimena, alla presenza di funzionari del Gruppo Tutela
Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza e del Servizio Geologico
d’Italia-ISPRA. Lo scopo delle indagini è stata – riporta la relazione a firma
dei geologi Roberto Graciotti, Raimondo Policicchio e dell’ingegnere Olimpia
Spiniello - la caratterizzazione fisica di un sito di potenziale interesse archeologico.
In particolare, è stato esaminato il substrato del fondo di una grotta, il cui
imbocco è situato nella parete di una gola di origine fluviale, al fine di
stabilire se tale deposito sia stato originato da opere di riempimento da parte
dell’uomo o da processi di sedimentazione. Durante il sopralluogo sono state
esaminate anche alcune incisioni presenti su un versante roccioso per
determinarne le loro eventuali origini antropiche››.
La
grotta esaminata nel corso del sopralluogo è la stessa indicata dai soliti
appassionati di archeologia come il luogo di sepoltura di Alarico e del suo
tesoro, a causa della presenza di un manufatto che potrebbe rappresentare un
altare. ‹‹La grotta - continua la relazione - si trova nel comune di Mendicino,
in sinistra idrografica del fiume Caronte, nei pressi del Ponte degli Alimena,
con imbocco situato a circa 530 metri s.l.m. Nella parte centrale del piano
calpestabile della grotta è stato praticato uno scavo di circa 2,50 metri di
profondità da parte di ignoti. Un elemento di sicura origine antropica presente
nella grotta è un “sedile” o “altare” scavato nella parete rocciosa sul lato
destro, il cui studio e la valutazione da un punto di vista archeologico si
rimanda agli organismi scientifici. Per quanto riguarda il deposito posto sotto
il piano di calpestio della grotta, visibile nello scavo operato da ignoti, gli elementi descritti nella presente
relazione non sono compatibili con l’ipotesi di un riempimento della cavità di
origine antropica››.
Nessuno scavo, dunque, per
seppellire qualcuno e/o qualcosa è stato effettuato nella grotta.
Non
finisce qui, poiché dalla parte opposta del fiume, molto lontano dalle grotte,
si erge una collina su cui è
visibile la cosiddetta “croce di Regarde”. I soliti appassionati di archeologia,
con molta fantasia, hanno ipotizzato
che fosse una croce runica, incisa per indicare che di fronte, nella grotta
dunque, si troverebbe la tomba del barbaro.
Sempre
nella relazione leggiamo: ‹‹Successivamente è stato effettuato un sopralluogo
presso il costone roccioso collocato nel versante opposto a quello della grotta
ispezionata, alla quota di circa 590 metri s.l.m., per verificare la natura di
una incisione a forma di croce che presenta un elemento orizzontale di circa 20
metri ed uno verticale di circa 15 metri. In particolare, è stato possibile
osservare direttamente che il presunto braccio verticale della croce è in
realtà un solco di origine carsica, ad andamento irregolare e profondità
variabile da pochi centimetri al decimetro, originato dal dilavamento
concentrato delle acque di percolazione. Per quanto riguarda il braccio
orizzontale dalla base della parete si è potuto osservare la presenza di un
piccolo gradino da riferire probabilmente ad un giunto di strato o ad una linea
di fessurazione. Si tratta quindi di forme di erosione carsica e strutturali,
tipiche e diffuse sui costoni carbonatici››.
In altri termini, gli elementi della struttura “a
croce” presente nel versante opposto a quello della grotta si configurano come
forme di erosione carsica, dunque non riconducibili all’opera dell’uomo. La
relazione fu trasmessa alle Autorità di vertice del MiBACT e sue derivazioni
periferiche sul territorio, alla Procura della Repubblica di Roma, all'uopo
interessata per gli aspetti correlati alla presenza - nella cavità ruinica di
Mendicino - di scavi clandestini, poi rivelatisi episodici e comunque aventi
per oggetto la medesima ricerca.
Alarico non si trova qui e
probabilmente nemmeno nel Busento, basterà ora la relazione scientifica a
mettere la parola fine a una ricerca priva di fondamento?
L’OSCURO
antro degli Alimena (dal latino ‘ad limina’, cioè ai confini) è balzato agli
onori della cronaca per l’ipotesi di localizzazione del tesoro di Alarico in
una delle grotte situata sul costone roccioso, contenente un piccolo altare di
pietra. Sembra, invece, che di notte qui si svolgano riti esoterici, come
testimoniano i resti di candele, torce e strani oggetti votivi lasciati in loco
dagli officianti. In realtà, questi gruppi esoterici non sono affatto
interessati a trovare la sepoltura di Alarico o il suo prezioso tesoro e le sue
armi, ma un solo oggetto, frutto della razzia compiuta nel sacco di Roma del
410 d.C.: la sacra coppa del Graal, in cui, secondo il racconto biblico,
Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù sotto la croce. Si narra,
infatti, che i Romani a loro volta lo avessero rubato nel tempio di Gerusalemme
alcuni secoli prima del 410 d.C., quando Alarico devastò e saccheggiò Roma, si
impadronì di un tesoro inestimabile e portò con sé il bottino. Fermato a
Cosenza dalla malaria, la leggenda vuole che qui sia stato sepolto con tutto il
suo oro, quindi il bottino di Roma. Non sappiamo se in questo bottino ci fosse
anche il sacro Graal, ammesso che esista, ma da quel momento in poi iniziò una
ricerca che dura tuttora. Di tutte queste leggende, però, non c’è ad oggi
nessun serio riscontro archeologico, nonostante nel corso dei secoli
l’interesse sia stato sempre alto, tanto che prima della seconda guerra mondiale,
Hitler, fanatico e dedito all’esoterismo, in pieno delirio di onnipotenza,
inviò a Cosenza il suo luogotenente Himmler per trovare il sacro Graal.
Le
grotte nell’area dell’Alimena sono decine, abitate in epoca preistorica e poi
medioevale, in esse sono state ritrovate molte ceramiche dell'età del bronzo,
il corredo funerario di un monaco con un reliquiario, dei chiodi e una croce
stranissima che al posto delle tre braccia dritte ha tre spirali che richiamano
i disegni di Gioacchino da Fiore. Purtroppo, molti hanno interpretato questo
oggetto come idolo esoterico.
Molti anni fa, fu ritrovata da un contadino, in
una tomba vicino alle grotte, una statua in marmo di circa 28 cm, mutila di
testa e gambe, indossante uno strano ‘exomis’ di pelliccia, cioè una
tunica/canotta a una spalla, molto comune tra i pastori di epoca greca e
romana. Il "pastore" di Menekine (antico nome di Mendicino) è una
copia romana in marmo di un originale greco in bronzo risalente probabilmente
al I sec. d.C.
La statua è conservata nella chiesa di S. Pietro a Mendicino.
Nelle vicinanze ci sono ‘le grotte dei forni’, una serie di antichi forni
costruiti a forma di cupola perfettamente emisferica, con pietre e
"sanso", una particolare argilla usata come malta.
Cosenza, 21 gennaio 2018
© DOMENICO E FRANCESCA CANINO