Stravolta
dai lavori. La città dei Bruzi ha mutato il suo aspetto negli ultimi anni a
causa degli innumerevoli interventi edilizi subiti: dai cosiddetti rifacimenti
alle opere ex novo, dalla realizzazione di inutili piazze alla chiusura di
strade importanti. E poi cantieri in ogni dove, disagi provocati ai cittadini per
la chiusura delle strade e dei marciapiedi interessati ai lavori, abbattimenti
di alberi, interventi devastanti sui fiumi e milioni e milioni di euro
sperperati.
A
Cosenza sono state modificate intere zone della parte nuova, quella definita ‘al
di là dei fiumi’, senza alcun rispetto per la storia recente, per i ricordi,
per i più anziani che hanno perso i loro riferimenti. Uno scempio non solo
fisico compiuto in nome del dio cemento, che numerosi appalti assegna alle
ditte amiche per lavori, spesso, di nessuna utilità e bellezza.
Viatico
elettorale, do ut des o solo desiderio - poco credibile - di una ‘città bella’,
i lavori pubblici sono l’anima, molte volte nera, degli enti locali, disposti a
tutto pur di mettervi le mani sopra. Accade, dunque, che la bramosia degli
amministratori sia incontrollabile al punto da far ‘dimenticare’ di richiedere
certe autorizzazioni quando si interviene su piazze, strade e manufatti realizzati
da almeno settant’anni.
Il riferimento è ai lavori di rifacimento dell’ultimo
tratto di corso Mazzini, che comprende anche viale Trieste, corso Umberto e piazza
XX Settembre. Pur volendo tralasciare in questa sede il costo esorbitante dell’opera,
non si può non valutare il contesto di appartenenza: l’area è interessata da
elementi relativi sia alla tutela storico-artistico-architettonico-archeologica,
sia a quella paesaggistica. Ma, mentre per l’aspetto paesaggistico si configura un vincolo generico, per quello storico-artistico-architettonico-archeologico
devono considerarsi gli aspetti legati alla conservazione del restauro e delle
specifiche discipline nei settori di competenza. La giurisprudenza amministrativa
e costituzionale riconduce le piazze, le vie, le strade e gli spazi urbani e
pubblici realizzati da oltre 70 anni alla categoria dei beni culturali, indipendentemente dall’avvio del procedimento di
verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dall’articolo
13 del D. Lgs. 42/2004.
È
bene ricordare che l’area interessata dai lavori in questione è contrassegnata
dalla presenza di architetture e opere d’arte significative, espressione di un
periodo compreso nell’arco temporale che va dal 1800 ai primi del ‘900 ed è
rappresentato in particolare dalla Fontana
di Giugno (l’Etè di Mathurin Moreau,
opera della Fonderia artistica industriale Francesco De Luca di Napoli,1889,
fusione in ghisa che in precedenza fu presentata come struttura in marmo nell’Esposizione
universale di Parigi nel 1855); la
chiesa del Carmine e l’annesso convento seicentesco (appartenuto ai
Carmelitani dell’antica osservanza, giunti in Calabria nel 1582, fu abbandonato
dai frati a causa dei gravi danni provocati dal terremoto del 1783; fu soppresso
nel 1809 e divenne sede della Guardia Provinciale, poi caserma dei Carabinieri
Paolo Grippo); gli arredi urbani
vegetativi e l’arte decorativa del secolo scorso, rappresentata dalle opere
di giardinaggio e arredo urbano da recuperare e restaurare. Non si deve
tralasciare la circostanza che nel sottosuolo dell’adiacente piazza Matteotti
sono stati rinvenuti resti di tombe brettie e romane. Non sembra che sia stato
designato un archeologo che segua i lavori, in considerazione del fatto che ogni
movimentazione di terra, specialmente in una regione come la Calabria notoriamente
definita museo a cielo aperto, deve essere fatta sotto lo sguardo vigile di un
archeologo che, in caso di ritrovamenti fortuiti, saprebbe come comportarsi.
Tutti
questi aspetti non risultano essere stati considerati, né, pare, siano
disponibili i seguenti atti progettuali per il Restauro della Fontana: rilievo metrico delle componenti figurative
dell'opera, analisi dei materiali costruttivi e dell'impianto architettonico in
essere, analisi del degrado, intervento di restauro in tutte le parti
costituenti l'opera. Per gli interventi
nello spazio architettonico si richiedeva: rilievo topografico, analisi
delle fasi storiche, analisi della rete infrastrutturale storica delle
eventuali reti tecnologiche, planimetria delle nuove reti tecnologiche premette
ed elementi proposti, planimetria dello stato di fatto e rilievo delle componenti
spaziali nell'ambito storico, rilievo vegetazionale, studio dell'arredo urbano
e proposte di sistemazione motivate, planimetria del sistema del Verde, studio
dei percorsi con particolare attenzione a quello dei diversamente abili, studio
dei materiali confacenti alla presenza di monumenti significativi, progettazione
impiantistica con particolari esecutivi soprattutto in prossimità dei
palinsesti storico artistici architettonici, esecutivi architettori e
particolari tecnici della proposta accompagnata dalle relazioni esplicative.
Pare
anche che la Provincia abbia eluso gli interessi primari di tutela demandati
alla Soprintendenza, valutando una semplice ‘pavimentazione’. Inoltre, dalla relazione
di accompagno della pratica viene introdotta la realizzazione di una linea tranviaria, che non sembra avere
le autorizzazioni di legge. Si tratta della cosiddetta metropolitana
leggera.
In
conclusione: i lavori dell’ultimo tratto di corso Mazzini sono iniziati senza
chiedere le dovute autorizzazioni alla Soprintendenza, considerato che vie,
piazza e complessi interessati ai lavori risalgono ad oltre 70 anni fa e sono,
dunque, soggetti al vincolo monumentale (come lo è buona parte di corso
Mazzini, su cui ogni modifica, rifacimento e altro – vedi paletti di metallo – è
stato effettuato senza mai considerare il vincolo in questione). La Provincia
ha dato una valutazione troppo semplicistica ai lavori e il passaggio di un
binario della famigerata metro, previsto davanti alla caserma, non avrebbe le
autorizzazioni. Però i lavori sono iniziati e proseguono.
Si
veda: Consiglio
di Stato sez. VI, 24.01 2011, n. 482, secondo cui “Ai
sensi del comma 1 dell'articolo 10, del D.Lgs. 42/2004 le piazze pubbliche sono
“beni culturali” in quanto complesso appartenente ad un ente pubblico
territoriale, non è richiesto che siano fatte oggetto di apposita dichiarazione
di interesse storico artistico al fine di rientrare nella sfera di applicazione
della relativa legislazione;
TAR Puglia, Bari, sez. II,
1.03.2013, n. 307, secondo cui: Dall’articolo 10,
comma 4, lettera g) del Codice dei beni culturali e del paesaggio discende la
riconduzione ex lege alla categoria dei beni culturali delle piazze pubbliche
appartenenti all’ente
territoriale e realizzate da oltre 70 anni, che presentano interesse artistico
e storico indipendentemente dall' Avvio del procedimento di verifica e dalla
specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dal successivo articolo
13
del Codice,
con
la conseguente immediata applicazione del regime di tutela disciplinato dalla
parte seconda del Codice”;
Corte Cost. 8.07.2010,
n. 247;
Il Consiglio di Stato
toglie ogni dubbio sulla diffusa opinione secondo cui vie e strade debbano
ritenersi a tutti gli effetti ‘beni culturali’ solo in presenza della
dichiarazione di interesse storico artistico di cui all’articolo 13. Infatti,
con la sentenza numero 59347/2004 la VI Sez. rafforza l’orientamento secondo
cui le pubbliche piazze, le vie, le strade e gli altri spazi urbani di
interesse artistico o storico sono qualificabili come beni culturali
indipendentemente da una specifica dichiarazione di interesse storico
artistico;
La direttiva del’11.10.2012
del Ministro per i beni e le attività culturali concernenti
“l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma
ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile
con le esigenze di tutela del patrimonio culturale” la quale chiaramente
afferma che “In ogni caso anche tutte le pubbliche piazze, vie, strade e altri
spazi urbani per i quali non sia stato emanato un puntuale provvedimento di
vincolo, ma appartenenti a soggetti pubblici e realizzate da oltre 70 anni sono
comunque sottoposte interinalmente all’applicazione del regime di tutela della
parte seconda del Codice”.
Cosenza, 20 giugno 2019
© Francesca Canino