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19 giugno 2019

I lavori di corso Mazzini e il vincolo monumentale ignorato


Stravolta dai lavori. La città dei Bruzi ha mutato il suo aspetto negli ultimi anni a causa degli innumerevoli interventi edilizi subiti: dai cosiddetti rifacimenti alle opere ex novo, dalla realizzazione di inutili piazze alla chiusura di strade importanti. E poi cantieri in ogni dove, disagi provocati ai cittadini per la chiusura delle strade e dei marciapiedi interessati ai lavori, abbattimenti di alberi, interventi devastanti sui fiumi e milioni e milioni di euro sperperati.
A Cosenza sono state modificate intere zone della parte nuova, quella definita ‘al di là dei fiumi’, senza alcun rispetto per la storia recente, per i ricordi, per i più anziani che hanno perso i loro riferimenti. Uno scempio non solo fisico compiuto in nome del dio cemento, che numerosi appalti assegna alle ditte amiche per lavori, spesso, di nessuna utilità e bellezza.
Viatico elettorale, do ut des o solo desiderio - poco credibile - di una ‘città bella’, i lavori pubblici sono l’anima, molte volte nera, degli enti locali, disposti a tutto pur di mettervi le mani sopra. Accade, dunque, che la bramosia degli amministratori sia incontrollabile al punto da far ‘dimenticare’ di richiedere certe autorizzazioni quando si interviene su piazze, strade e manufatti realizzati da almeno settant’anni. 
Il riferimento è ai lavori di rifacimento dell’ultimo tratto di corso Mazzini, che comprende anche viale Trieste, corso Umberto e piazza XX Settembre. Pur volendo tralasciare in questa sede il costo esorbitante dell’opera, non si può non valutare il contesto di appartenenza: l’area è interessata da elementi relativi sia alla tutela storico-artistico-architettonico-archeologica, sia a quella paesaggistica. Ma, mentre per l’aspetto paesaggistico si configura un vincolo generico, per quello storico-artistico-architettonico-archeologico devono considerarsi gli aspetti legati alla conservazione del restauro e delle specifiche discipline nei settori di competenza. La giurisprudenza amministrativa e costituzionale riconduce le piazze, le vie, le strade e gli spazi urbani e pubblici realizzati da oltre 70 anni alla categoria dei beni culturali, indipendentemente dall’avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dall’articolo 13 del D. Lgs. 42/2004. 
È bene ricordare che l’area interessata dai lavori in questione è contrassegnata dalla presenza di architetture e opere d’arte significative, espressione di un periodo compreso nell’arco temporale che va dal 1800 ai primi del ‘900 ed è rappresentato in particolare dalla Fontana di Giugno (l’Etè di Mathurin Moreau, opera della Fonderia artistica industriale Francesco De Luca di Napoli,1889, fusione in ghisa che in precedenza fu presentata come struttura in marmo nell’Esposizione universale di Parigi nel 1855); la chiesa del Carmine e l’annesso convento seicentesco (appartenuto ai Carmelitani dell’antica osservanza, giunti in Calabria nel 1582, fu abbandonato dai frati a causa dei gravi danni provocati dal terremoto del 1783; fu soppresso nel 1809 e divenne sede della Guardia Provinciale, poi caserma dei Carabinieri Paolo Grippo); gli arredi urbani vegetativi e l’arte decorativa del secolo scorso, rappresentata dalle opere di giardinaggio e arredo urbano da recuperare e restaurare. Non si deve tralasciare la circostanza che nel sottosuolo dell’adiacente piazza Matteotti sono stati rinvenuti resti di tombe brettie e romane. Non sembra che sia stato designato un archeologo che segua i lavori, in considerazione del fatto che ogni movimentazione di terra, specialmente in una regione come la Calabria notoriamente definita museo a cielo aperto, deve essere fatta sotto lo sguardo vigile di un archeologo che, in caso di ritrovamenti fortuiti, saprebbe come comportarsi.
Tutti questi aspetti non risultano essere stati considerati, né, pare, siano disponibili i seguenti atti progettuali per il Restauro della Fontana: rilievo metrico delle componenti figurative dell'opera, analisi dei materiali costruttivi e dell'impianto architettonico in essere, analisi del degrado, intervento di restauro in tutte le parti costituenti l'opera. Per gli interventi nello spazio architettonico si richiedeva: rilievo topografico, analisi delle fasi storiche, analisi della rete infrastrutturale storica delle eventuali reti tecnologiche, planimetria delle nuove reti tecnologiche premette ed elementi proposti, planimetria dello stato di fatto e rilievo delle componenti spaziali nell'ambito storico, rilievo vegetazionale, studio dell'arredo urbano e proposte di sistemazione motivate, planimetria del sistema del Verde, studio dei percorsi con particolare attenzione a quello dei diversamente abili, studio dei materiali confacenti alla presenza di monumenti significativi, progettazione impiantistica con particolari esecutivi soprattutto in prossimità dei palinsesti storico artistici architettonici, esecutivi architettori e particolari tecnici della proposta accompagnata dalle relazioni esplicative.
Pare anche che la Provincia abbia eluso gli interessi primari di tutela demandati alla Soprintendenza, valutando una semplice ‘pavimentazione’. Inoltre, dalla relazione di accompagno della pratica viene introdotta la realizzazione di una linea tranviaria, che non sembra avere le autorizzazioni di legge. Si tratta della cosiddetta metropolitana leggera.

In conclusione: i lavori dell’ultimo tratto di corso Mazzini sono iniziati senza chiedere le dovute autorizzazioni alla Soprintendenza, considerato che vie, piazza e complessi interessati ai lavori risalgono ad oltre 70 anni fa e sono, dunque, soggetti al vincolo monumentale (come lo è buona parte di corso Mazzini, su cui ogni modifica, rifacimento e altro – vedi paletti di metallo – è stato effettuato senza mai considerare il vincolo in questione). La Provincia ha dato una valutazione troppo semplicistica ai lavori e il passaggio di un binario della famigerata metro, previsto davanti alla caserma, non avrebbe le autorizzazioni. Però i lavori sono iniziati e proseguono.

Si veda: Consiglio di Stato sez. VI, 24.01 2011, n. 482, secondo cui “Ai sensi del comma 1 dell'articolo 10, del D.Lgs. 42/2004 le piazze pubbliche sono “beni culturali” in quanto complesso appartenente ad un ente pubblico territoriale, non è richiesto che siano fatte oggetto di apposita dichiarazione di interesse storico artistico al fine di rientrare nella sfera di applicazione della relativa legislazione;
TAR Puglia, Bari, sez. II, 1.03.2013, n. 307, secondo cui: Dall’articolo 10, comma 4, lettera g) del Codice dei beni culturali e del paesaggio discende la riconduzione ex lege alla categoria dei beni culturali delle piazze pubbliche appartenenti all’ente territoriale e realizzate da oltre 70 anni, che presentano interesse artistico e storico indipendentemente dall' Avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dal successivo articolo 13 del Codice, con la conseguente immediata applicazione del regime di tutela disciplinato dalla parte seconda del Codice”;
Corte Cost. 8.07.2010, n. 247;
Il Consiglio di Stato toglie ogni dubbio sulla diffusa opinione secondo cui vie e strade debbano ritenersi a tutti gli effetti ‘beni culturali’ solo in presenza della dichiarazione di interesse storico artistico di cui all’articolo 13. Infatti, con la sentenza numero 59347/2004 la VI Sez. rafforza l’orientamento secondo cui le pubbliche piazze, le vie, le strade e gli altri spazi urbani di interesse artistico o storico sono qualificabili come beni culturali indipendentemente da una specifica dichiarazione di interesse storico artistico;
La direttiva del’11.10.2012 del Ministro per i beni e le attività culturali concernenti “l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale” la quale chiaramente afferma che “In ogni caso anche tutte le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani per i quali non sia stato emanato un puntuale provvedimento di vincolo, ma appartenenti a soggetti pubblici e realizzate da oltre 70 anni sono comunque sottoposte interinalmente all’applicazione del regime di tutela della parte seconda del Codice”.

Cosenza, 20 giugno 2019
© Francesca Canino





14 giugno 2019

Riqualificazione fiume Crati fuori dalle norme. Il silenzio degli enti e della Soprintendenza



I fiumi come gli alberi, nessun criterio seguito per le pulizie degli argini e per le potature. A Cosenza non si rispetta l’ambiente: mentre si oltraggia sistematicamente il verde urbano, sulle sponde del Crati si elimina, senza alcun criterio, tutta la vegetazione. È chiaro ormai da anni che il verde non piace agli amministratori bruzi, infatti, nonostante i numerosi appelli di alcuni comitati ambientalisti, in città si è continuato a tagliare e capitozzare e ora sono scese in campo anche le ruspe per la pulizia degli argini fluviali. In poche ore è stato distrutto l’habitat di molte specie acquatiche, una perdita che si aggiunge a tutte le altre che in città si verificano a ritmi inauditi. Per i fiumi, tuttavia, la questione si immette su binari diversi, offrendo l’opportunità per compiere una disamina sui progetti che hanno interessato e interesseranno i fiumi cosentini.
Da qualche anno, l’attenzione degli amministratori bruzi si è concentrata in maniera spasmodica sul fiume Crati: dalla ricerca del tesoro di Alarico, alla costruzione del museo a lui dedicato in seguito all’abbattimento dell’ex Jolly; dalla riqualificazione degli argini alla realizzazione del belvedere sul fiume e del parco delle scienze, progetti che, oltre a richiedere finanziamenti consistenti, necessitano di una serie di autorizzazioni da parte di altri enti. 
Il Quadro Territoriale Regionale a valenza Paesaggistica (QTRP), approvato con deliberazione del Consiglio regionale nel 2016, riserva particolari disposizioni per i principali fiumi calabresi, di cui il Crati è il maggiore. Nelle previsioni del QTRP, tutti gli interventi su fiumi e torrenti devono essere effettuati con il metodo dell’ingegneria naturalistica. Sono state stabilite delle fasce di rispetto e dalle direttive di cui all’art. 13 (comma 4, lett. a e b del Tomo IV) risulta che: “Sono esclusi nuovi interventi sulle aree fluviali e lacustri, ad eccezione di quelli necessari per la messa in sicurezza o la riduzione dei livelli di rischio ambientale”. Per questi motivi, si richiede una progettazione organica e completa per evitare incongruenze nelle proposte singolarmente pensate e presentate, come accade per il museo di Alarico o per il cosiddetto belvedere, che esula dai principi dell’ingegneria naturalistica e appare avulso dal contesto paesaggistico e dalla naturalizzazione del corso del fiume.
Discorso a parte merita il Parco fluviale del Crati, che per quanto concerne la ricaduta socio-economica-culturale e ambientale, in ragione del bacino idrografico interessato dovrebbe essere valutata la necessità di attivare una procedura VAS e VIA. Poiché le fasce fluviali e gli intorni degli alvei costituiscono gli elementi portanti degli apparati paesistici, che devono essere percepiti come ‘paesaggi di vita’, è necessario tener conto delle preesistenze storiche, artistiche, archeologiche e paesaggistiche presenti nelle fasce fluviali e nei territori limitrofi. Ci si chiede, dunque, se negli atti sono contenuti i cosiddetti ‘sbarramenti flessibili’, per i quali occorrono rendering da più parti e, proprio per il diverso regime idraulico, con particolari esecutivi in opportuna scala di rappresentazione.
E il Parco delle scienze? Pare, fra tutte le altre dimenticanze, che non sia stata verificata la compatibilità della proposta con lo sviluppo ecosostenibile previsto dalla normativa.
L’ennesimo massacro cittadino è andato in scena, ma ciò che indigna, a questo punto, è assistere all’immobilismo degli enti che avrebbero dovuto dare il loro assenso. Provincia, Regione, Segretariato del Mibact regionale, Soprintendenza, silenti e assenti su quanto avviene in spregio alla legge. Sono tutti complici?

Cosenza, 14 giugno 2019

© Francesca Canino

07 giugno 2019

Biblioteca Civica di Cosenza, i motivi della lunga crisi







Biblioteca Civica senza bilanci dal 2013, contributi ridotti da parte della Provincia, centinaia di migliaia di euro stanziati dal Comune mai giunti a destinazione. Queste notizie sono ormai di pubblico dominio, ma nessuno si è degnato di intervenire dopo averle apprese. Senza alcun dubbio, siamo di fronte a una condanna a morte della Biblioteca, e con essa della cultura cittadina, decretata già da diverso tempo. Ma procediamo con ordine e analizziamo gli ultimi fatti che hanno per protagonista il tempio del sapere bruzio.
Solo pochi giorni fa, i media locali hanno riportato, per la seconda volta nel giro di qualche settimana, i comunicati del Meet up Cosenza e oltre, dai quali si apprendono notizie piuttosto raccapriccianti sulla Biblioteca Civica di Cosenza. In seguito all'ennesima protesta dei dipendenti della Biblioteca, senza stipendio da dicembre scorso, il suddetto Meet up ha divulgato una serie di dati inerenti la situazione economica dell'antica e importante istituzione cosentina: “I bilanci della Biblioteca, preventivi e consuntivi, sono stati approvati solo fino al 2013. Dall'anno successivo ad oggi esistono solo delle bozze – fa sapere il Meet up Cosenza e oltree, visto che dal 2014 al 2018 nel bilancio preventivo della Biblioteca Civica era stata prevista un'entrata consistente, della quale non è stato possibile tracciarne la destinazione a causa della mancanza dei bilanci consuntivi, abbiamo chiesto e ottenuto l'accesso agli atti relativi ai bilanci 2010/2018 della Biblioteca sia alla Provincia, sia al Comune di Cosenza. Da una analisi di questi ultimi, si evince che la Provincia, dal 2010 al 2017, ha ridotto drasticamente il contributo destinato alla Biblioteca, partendo da uno stanziamento iniziale pari a 230.000 €, per arrivare a € 0. Per il 2018 non abbiamo ricevuto alcun atto, pertanto non si è a conoscenza di quanto è stato erogato e se è stato realmente erogato qualcosa. Nei bilanci comunali, invece, lo stanziamento iniziale non corrisponde puntualmente al totale delle liquidazioni. Ciò potrebbe significare che il Comune ha destinato centinaia di migliaia di euro alla Biblioteca, che probabilmente non sono giunti a destinazione poiché il Comune, a fronte di stanziamenti consistenti, ha, in sostanza, fatto pervenire alla Biblioteca una cifra inferiore. In pratica, non si è dato seguito a quanto preventivato e dopo gli stanziamenti effettuati realmente, nel corso dell’anno i fondi, con opportune variazioni di bilancio o mandandoli ad economia, sono stati destinati ad altro. Emerge il disinteresse mostrato verso la Biblioteca, usata come una cassa alla quale destinare fondi che poi vengono distratti. Non sappiamo a chi o per che cosa”.
Assenza di bilanci, dunque, erogazioni ridotte, fondi distratti, ecco perché la Biblioteca Civica muore nell'indifferenza delle istituzioni, concordi nel distruggerla perché sempre più distanti dalla cultura.

Salviamo la Biblioteca Civica di Cosenza

Cosenza, 7 giugno 2019
© Francesca Canino