per la serie ''La città di...''
Una bandiera due storie
Dal Quotidiano
della Calabria del 9-12-2011
Viatico di vita e di sangue che ha affiancato le
grandi giornate del Risorgimento calabrese, il Tricolore di Cosenza è stato il
vessillo di gloriosi avvenimenti. Nel 1844 sventolò durante le Idi di Marzo
della città bruzia, teatro di una insurrezione locale contro il governo
borbonico con obiettivi schiettamente unitari. Qualche mese dopo fu spiegato al
vento sul colle della Stragola, nella spedizione dei fratelli Bandiera, condotti
poi a Cosenza e fucilati.
I due eventi sono tra loro strettamente connessi,
spiritualmente e storicamente: il primo fu la determinante ideale e l'antefatto
della spedizione dei Bandiera; il secondo la conseguenza storica che conferma e
accentua l'alto valore dei fatti di marzo.
Il Tricolore di proprietà del Comune di Cosenza, che
oggi è custodito presso il Museo dei Brettii e degli Enotri, narra due storie
parallele, anche se di una sola è stato il protagonista assoluto. Giunto in
Calabria con la spedizione dei fratelli Bandiera, da allora il Tricolore è
rimasto nella città di Cosenza. Di forte impatto emozionale, sembra di vederlo
sventolare nelle campagne di Corfù, ove i Bandiera erano sbarcati per preparare
un piano cospirativo. In una lettera del '44 indirizzata a Mazzini scrissero: “La causa per la quale avremo combattuto e saremo morti è
la più pura, la più santa che mai abbia scaldato i petti degli uomini: essa è
quella della Libertà, dell'Eguaglianza, dell'Umanità, dell'Indipendenza e
dell'Unità Italiana”. Con questi sentimenti si imbarcarono sul San
Spiridione e approdarono in Calabria sventolando lil Tricolore E proprio la bandiera costituì uno dei corpi
di reato. Fornita a Corfù dal patriota Miller, rimase in potere della polizia
in seguito alla cattura dei partecipanti alla spedizione e dopo che, per breve
tempo, era stata sventolata sotto il sole della Patria. Essa fu raccolta
dall'Urbano di San Giovanni in Fiore, Saverio Foglia, dopo il conflitto della
Stragola, il quale la avvolse in un telo incerato e la consegnò personalmente
alle autorità di Cosenza. Questa finora la storia
ufficiale.
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Emilio Bandiera
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Attilio Bandiera |
Nell'ambito delle celebrazioni per il 150°
anniversario dell'Unità d'Italia, la bandiera è stata esposta in una mostra
permanente allestita al Museo dei Brettii. Dopo averla visitata ho voluto
scrivere la sua storia, ma mentre mi documentavo su di essa, mi sono imbattuta
in una 'storia' diversa. In un libro del 1939 intitolato “Il Processo ai
Fratelli Bandiera” di Luigi Carci, conservato nella Biblioteca Civica di
Cosenza, spunta l'ipotesi secondo la quale il Tricolore conservato a Cosenza
non sia quello dei fratelli veneziani, bensì la bandiera che sventolò il notaio
Francesco Salfi il 15 marzo 1844, durante la sommossa della città.
Carci, infatti, scrisse: “Il dotto e acuto storico Comm. Carlo Corigliano,
recentemente, lo mise in dubbio, propendendo per la tesi che sia stata la
bandiera sventolata dal notaio Francesco Salfi, il 15 marzo 1844, perché corrisponde alla
descrizione fatta nel verbale della Reale Gendarmeria, redatto in quella
occasione. Quella della spedizione, fornita dal Miller, era una bandiera più
grande, con un'aquila gialla nel mezzo, così è descritta dal Sotto Intendente
Bonafede nella sua relazione”. Il Tricolore cosentino che Carlo Corigliano
aveva dinanzi a sé era una piccola bandiera di lana.
Proseguendo le
ricerche tra i documenti custoditi nell'Archivio di Stato, ho trovato, nelle
carte della Corrispondenza Ufficiale della Gran Corte Criminale, un'intera
busta che contiene gli atti del “Processo de' Calabresi del '44” in cui
numerosi sono i riferimenti alla
bandiera, tra questi: “Processo verbale constatante l'attacco alla Gendarmeria
Reale avuto luogo con un numeroso attruppamento rivoluzionario armato, il quale
portando una Bandiera tricolore, gridando Libertà e Coraggio, si era recato
dinanzi al Palazzo di questa Intendenza ed era intento ad aggredire e fare
massacrare il sig. Intendente della Provincia. L'anno 1844, il giorno 15 del
mese di marzo alle ore 12 italiane in Cosenza noi sergente... caporale...
trovandosi tutti riuniti con l'intera compagnia avanti lo spiazzale di questo
Carcere Centrale sentimmo delle grida per la città che indicavano una sommossa
di popolo. Alla testa dei sommossi una bandiera tricolorata bianca, rossa e
verde”. (1844 - Regno delle Due Sicilie Gendarmeria Reale, 3°
Battaglione, I Campagna Prov. di Cal Citra circond.).
Il tentativo
insurrezionale del 15 marzo fallì e 'rimase in potere della polizia la Bandiera
Tricolore che per breve tempo era stata sventolata per la prima volta sotto il
sole della patria'.
Tra gli atti della
Gran Corte Criminale si trova una descrizione della bandiera che sembra corrispondere a quella attualmente
conservata nel Museo dei Brettii: “Volendo poi passare all'analisi dei tre fucili
alla paesana, della bandiera... la Bandiera costituzionale a tre colori, cioè verde, rosso e bianco di
tela così detta di Francia a tre strisce ognuna della lunghezza di palmi due e
mezzo e della larghezza di un palmo e più, posta nell'estremità di una canna ed
inchiodata con tre cosiddette tacce. La canna è della lunghezza di palmi 12 e
più ed alquanto puntata nel termine inferiore. Tutte le accennate armi e
oggetti sono state suggellate a cera lacca con delle strisce di Carta da noi
fissate e fatte tornare con una copia del presente al Sig. Procuratore Generale
del Re presso questa Gran Corte per l'uso di giustizia”. (Processi Politici
1844 - Gran Corte Criminale, decisioni della Comm. Mil. del 10/7 /'44)
Altri documenti
dell'Archivio di Stato (in Processi politici) riportano gli interrogatori dei
cospiratori cosentini del 15 marzo '44, in molti citano la bandiera. Il
rivoltoso Francesco De
Simone racconta come Antonio Raho avesse confezionato la bandiera tricolore
inalberata al grido di “Viva Iddio, Viva il Re, Viva la Costituzione” in Piazza
dell'Intendenza il 15-3-1844. Il De Simone l'aveva accomodata in un'unica e
lunga canna. Il sacerdote Francesco Stella attribuisce, invece, a De Simone la
confezione di una bandiera bianca, rossa e verde, che “aveva riunite tre liste
di tela in cotone del Regno, della lunghezza di circa due palmi, e di un mezzo
di larghezza, una bianca, l'altra color rosso e la terza verde e le aveva seco
portate da Cosenza. In questo pezzo di tela tricolore fermato all'estremità di
una canna con due piccoli chiodi, componendosi una bandiera”.
Dall'interrogatorio di Raho reso al Procuratore del Re
il 24 marzo del 1844, si apprende: “Crebbe maggiormente la mia sorpresa quando
vicino al fuoco vidi una bandiera tricolore sorretta da una canna”. In seguito:
“Arrivati in città, la bandiera intanto fu consegnata ad un contadino”.
Francesco Tavolaro, un altro partecipante alla
sommossa dice al Procuratore: “Al far del giorno, nei pressi di Cosenza vidi
che si portava una bandiera tricolore, sospesa ad una canna intorno a cui si
gridava: viva la libertà”.
Le contraddizioni evidenti
nelle dichiarazioni degli insorti devono essere attribuite al tentativo che
ognuno di loro fece per scagionarsi dalle accuse. La bandiera tricolorata
costituiva, come accadde poi per i Bandiera e i loro compagni, un
inequivocabile corpo di reato. Nessuno si assunse la paternità della
realizzazione per non aggravare la propria posizione. Oggi non sappiamo,
dunque, chi realmente l'abbia voluta e cucita per la sommossa del 15
marzo.
Le ricerche tuttavia non finiscono qui: nei mesi
scorsi, nel corso di una conferenza svoltasi per presentare il restauro del
Tricolore cosentino, un timbro sulla striscia bianca recante la data del 15
marzo 1937, Anno XV, ha aperto nuovi interrogativi. Il 15 marzo è senza dubbio
il giorno in cui scoppiò la sommossa cosentina del 1844, ma che significato si
deve dare al 1937? E perchè in un angolo della bandiera sono poste due
coccarde, una color giallo ocra con la scritta 'guesin Fiume annessione 1923' e
l'altra, un piccolissimo tricolore su cui si legge appena '1929 Minezzo'?
Ho intuito subito che l'anno 1937 fosse stato timbrato
sulla bandiera in occasione dell'anniversario del moto rivoluzionario scoppiato
a Cosenza durante l'epidemia di colera del 1837, come attesta una lapide posta
in piazza Matteotti a Cosenza, sulla facciata laterale della chiesa del
Carmine, di fronte alla vecchia stazione, che ricorda la fucilazione di cinque
patrioti. Un secolo dopo era stato deciso di celebrare i moti cosentini del '37
e del '44 nella giornata del 15 marzo. Sarebbe rimasta solo un'intuizione se
per caso non avessi trovato al Museo dei Brettii, una cassa piena di antichi
documenti, tra i quali un fascicolo contenente la dettagliata cronistoria delle
celebrazioni del 1937, organizzate dal Regio Istituto di Storia del
Risorgimento Italiano. Fautore dell'iniziativa fu il Presidente Cav. Prof.
Michele Scornajenchi, preside di una scuola professionale con sede nell'ex
albergo Vetere. Fu un evento grandioso, iniziato molti mesi prima, di cui
restano i verbali manoscritti di ogni riunione dei soci, attraverso i quali
possiamo ora ricostruire la giornata del 15 marzo 1937. Le celebrazioni si
svolsero in tre tempi e in concomitanza di altre cerimonie organizzate nelle
città natali dei martiri della spedizione dei Bandiera, venuti a morire a
Cosenza per sollevare il popolo calabrese. In quella occasione, dopo una
solenne funzione nel Duomo, la benedizione dei loculi dei martiri e un discorso
commemorativo da parte di un oratore designato dalle Gerarchie del Partito, i
resti dei martiri non cosentini furono riportati nelle città natie, dove ad
attenderli c'erano altre celebrazioni in loro onore. Le 'martiri spoglie'
attraversarono le vie di Cosenza, affollatissime di persone d'ogni età e in
testa al corteo c'era il Tricolore cosentino. Reduci di guerra e gente del
popolo lanciavano fiori, piccole bandiere, coccarde. Come quelle che oggi sono
apposte ad un angolo della bandiera e che rimandano ad altri momenti della
storia italiana. Come l'annessione di Fiume.
Fu prevista anche una Mostra, come si apprende dai
documenti, “inaugurata il 2-4-1937 – MMDCXCI Anniversario del Natale di Roma -
II dell'Impero – XV dell'Era fascista. Essa illustra i periodi rivoluzionari
del 1844 – 1848 e l'epopea garibaldina, espone preziosi cimeli che si
riferiscono alle dolorose vicende del 1844. Al posto d'onore brilla nei suoi
ancora vividi colori la bandiera che sventolò in Piazza dell'Intendenza, a
Cosenza, il notaio Salfi. In Rende invece si sostiene che il vessillifero fosse
Gennaro Rovella, in seguito condannato a 30 anni di ferri e la tradizione
poggia su un rozzo ricordo poetico che così suonò: C'è Ginnaro di Ruvella, malandrino di galera, zumpa e vula cumu nu grillu e va'
piglia la bannera”.
L'oratore fu l'onorevole Maurizio Maraviglia, che in
una appassionata rievocazione dell'insurrezione cosentina e delle gesta dei
Bandiera, riportata dal giornale 'La Tribuna' del 18 marzo 1937, infiammò gli
animi dei presenti e commosse i cosentini citando l'eroismo dei martiri, ai
quali: “la morte
doveva apparire bella e infinitamente più desiderabile della opaca vita
individuale, che non può essere destinata a nulla di veramente grande quando è
costretta a risolversi nel vassallaggio collettivo di un popolo che non ha
patria, di un volgo che nome non ha”.
La tesi che il Tricolore fosse appartenuto ai martiri
delle Idi di Marzo, e non ai fratelli Bandiera, sorse dunque nel 1937. In ogni
caso è stato protagonista dei fatti risorgimentali cosentini e le sue
vicissitudini le racconta tutte tra le trame a tratti allargate della lana, tra
gli orli laceri e tra i segni delle bruciature disseminati sull'intero drappo,
quasi una mappa della storia che vi è passata sopra e dei percorsi che si sono
incrociati nel corso dei secoli. Il Museo dei Brettii che oggi la custodisce,
non è altro che l'antico Convento della Chiesa di Sant'Agostino, luogo in cui i
fratelli Bandiera furono condotti per l'ultima messa e qui furono poi riportati
per essere sepolti in una fossa lì vicino. E' sicuramente uno dei più antichi
d'Italia, anche se non sappiamo ancora come sia diventata di proprietà del
Comune di Cosenza, visto che l'unico documento esistente è una dichiarazione
dell'ufficio del protocollo, attestante che dal Museo Civico, in data 13
novembre 1952, alle ore 13, la bandiera fu portata nella cassaforte
dell'Economato. E non sappiamo a chi sia appartenuta,
ma ci piace ora immaginare che sia passata di mano in mano, di martire in
martire, dalle Idi di marzo allo sbarco di giugno dei Bandiera, quasi una
staffetta ideale che ha accomunato sentimenti e sommosse, cosentini e veneziani
che volevano essere solo Italiani.
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Ara dei Fratelli Bandiera, Vallone di Rovito-Cosenza
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17-2-2015
©Francesca Canino
La foto del Tricolore cosentino è stata già
pubblicata sul Quotidiano della Calabria dopo l’autorizzazione che l’allora
dirigente comunale mi concesse.