E’
il vero teatro italiano dell’antichità, l’archetipo massimo della commedia
dell’arte, in cui lo sberleffo e la situazione comica provocavano sane risate
di pancia. Qui nascono i tipi, le maschere comiche, i movimenti grotteschi e
palesemente enfatici che daranno vita, nei secoli successivi, al teatro latino
di Plauto e alla commedia dell’arte europea. In queste rappresentazioni gli
Italici si prendevamo bellamente gioco dei Greci e della loro mitologia e,
attraverso un canovaccio farsesco con costumi e maschere tipizzate, rimarcavano
la loro diversità culturale dai coloni greci.
I
Fliaci, dal greco φλύακες, Flyakes, cioè buffoni, chiacchieroni, erano
compagnie girovaghe, quasi dei saltimbanchi, che si spostavano in tutta la
Magna Grecia, da Sibari a Taranto o a Locri. Provenivano verosimilmente dalla Sicilia e,
per il loro carattere nomade, erano soliti muoversi su carri che fungevano
anche da spazio scenico.
Nella
prima fase del teatro fliacico, gli attori non usavano testi scritti, erano
improvvisatori abilissimi sulla base di canovacci popolari, sui quali
accomodavano i diversi dialoghi. Su rozzi
palcoscenici improvvisati, le loro rappresentazioni erano un richiamo continuo
alle feste dionisiache, di cui ne esaltavano l'atmosfera gioviale e licenziosa.
Gli spettacoli, improntati su una mimica a
tratti esasperata, assumevano un significato magico e propiziatorio per
l’agricoltura, anche se gli argomenti richiamavano i quotidiani
conflitti dell’ambiente popolare o le parodie mitologico-eroiche. I personaggi
erano maschere a tipo fisso (spesso di carattere fallico e osceno), infatti gli
attori portavano maschere molto espressive e pesanti e indossavano costumi
buffi: di solito una stretta camicia e rigonfiamenti posticci; per gli uomini
il costume prevedeva anche un grande fallo, esibito o coperto.
La farsa fliacica
fu codificata dal tarantino Rintone, nel III sec. a.C., che tentò di
organizzarle in forma più compiuta, dettandone dei canoni precisi. Pochissime
sono le fonti scritte sul teatro fliacico, ma esiste una vasta iconografia sui
vasi antichi che mostra le maschere, le scenette di satira mitologica e di vita
popolare, le strutture dei palcoscenici in legno. I musei archeologici della Magna
Grecia sono ricchi di questi preziosi vasi, da cui si cerca di ricostruire le
scene di quel tipo di teatro. Al British Museum di Londra c’è un vaso che
rappresenta la scalata notturna data da un giovane alla casa della fanciulla
amata.
La
maschera più comune del teatro fliacico è rappresentata con la bocca enorme
aperta, con il labbro inferiore pronunciato e rialzato, con l’occhio ammiccante
sotto il sopracciglio arcuato, la fronte molto rugosa, i capelli disordinati
sulla testa o raccolti in grosse trecce, naso grosso e ricurvo, spesso con
grosse zanne al posto dei denti e abbigliati con pantaloni e tuniche. I Fliaci
si accompagnavano con il tamburello in scena, dunque c’era una parte musicale
molto ritmica, con danze dionisiache sfrenate, simili a quella che è stato un
tempo la ‘sfessania’ napoletana e la tarantella più di recente. In molte scene
i Fliaci danzavano in maniera buffa, portando in mano delle grosse torce
infuocate, compiendo riti dionisiaci con la vecchia prostituta Konnakis.
I
tipi del teatro fliacico erano fissi: il servo astuto, l’anziano avaro, il
fannullone, riproposti, poi, nella commedia dell’arte. Ma che nomi avevano le
maschere di quel teatro, gli Arlecchino, i Pulcinella, i Pantalone di allora?
Non lo sappiamo, ma un esempio di farsa fliacica è rappresentata su un
calice-cratere denominato di 'Assteas', trovato a Nola, in cui la scena
rappresenta un povero vecchio di nome Carino, che è aggredito da due ladri che
vogliono portare via il forziere su cui Carino è sdraiato. Il ladro a destra,
di nome Cosilo, afferra e strattona il mantello su cui è steso il vecchio,
l’altro, di nome Gymnilos, afferra Carino per i piedi. Sulla destra uno schiavo
imbelle di nome Carione, osserva terrorizzato senza intervenire a favore del
padrone.
Era
dominante, senza alcun dubbio, l’elemento osco-italico. Anche la lingua
parlata era l’osco, d'altro canto,
presso gli Italici ed in particolare presso gli Oschi della Campania, furono
coltivate forme di poesia e di rappresentazione scenica come le “Atellane”,
così chiamate dalla città campana di Atella, improntate su una comicità
popolaresca e mordace. Era una farsa con maschere fisse, ove gli attori
improvvisavano le battute comiche in forma non dissimile dalla commedia
dell'arte (sembra vi sia una certa continuità fra l'Atellana e le maschere
popolari napoletane). Questa stessa comicità, l'Italum acetum, sarà trasportata
su di un piano più alto di arte dal grande commediografo Plauto e sopravviverà
ancora a lungo nella tradizione letteraria latina ed italiana.
L'inclinazione
verso il realistico e il popolaresco della letteratura latina, che si manifesta
sia nella sfera del comico, sia poi in quella più elevata della
caratterizzazione del singolo individuo, deriva dalla primitiva struttura
dell'Italia contadina di cui il teatro fliacico ne fu il fedele interprete. In
esso erano presenti tutte le caratteristiche che ritroveremo nel teatro comico
europeo dei secoli successivi e fu in assoluto la prima forma di teatro
veramente comica, legata indissolubilmente alla personalità dissacrante e
beffarda dei popoli italici del Sud.
Cosenza, 26 novembre 2018
© Domenico e Francesca Canino