Un re e un tesoro mai trovati
Una leggenda narra che Alarico I
re dei Visigoti, morto forse in Calabria durante le sue razzie, sia stato
seppellito nei pressi di Cosenza con il suo tesoro. Da oltre 1600 anni in tanti
cercano la sua tomba, ma non solo: sempre in questo arco temporale sono stati
scritti romanzi, poesie e articoli di giornali sulla base di un fondamento
storico molto labile.
Cassiodoro,
magister officiorum di Teodorico, su richiesta di quest'ultimo scrisse la “Historia
Gothorum” per glorificare la dinastia del re
ostrogoto (il ramo orientale dei Goti). L'opera è andata perduta, non prima
però di essere stata letta da Jordanes, goto romanizzato che intorno al 552
d.C., confidando sulla sua memoria, delineò
la storia del suo popolo in “Getica”, utilizzando i fatti narrati da
Cassiodoro. Molti studiosi ritengono che l'opera sia mitologica, i più scettici
si interrogano addirittura se Jordanes sia davvero esistito. Alarico compare in
poche righe dei “Getica”, quindi la storia è davvero scarsa, non suffragata
peraltro da alcun ritrovamento riferibile alla sua persona.
Ma la ricerca del tesoro è stata
una costante nel corso dei secoli: a rabdomanti pugliesi, donne francesi e
gerarchi nazisti si sono alternati ricercatori locali, sognatori, tombaroli e
re che speravano di trovare l’oro di Roma. Sì, anche sovrani che volevano
sovvenzionare gli scavi nel Busento. Risale, infatti, al 1952 l'emissione di un
libretto di deposito al portatore da parte della Cassa di Risparmio di Calabria,
Direzione generale Cosenza che, intestato a “Fondi scavi Alarico”, riporta due
versamenti: uno di diecimila lire e l'altro di quattrocento lire. Sembra che in
quell'anno si trovasse a Cosenza re Gustavo di Svezia che, avendo saputo di
alcune ricerche intraprese per ritrovare il tesoro di Alarico, versò la cifra
di diecimila lire per finanziare in parte l'operazione. Una leggenda nella
leggenda? Forse.
Spesso la 'faccenda Alarico' è
diventata un tormentone estivo:
archeologi in erba ed esperti dell'ultima ora hanno riempito le pagine dei quotidiani
locali indicando nuovi o vecchi siti come la tomba del re goto. Le dispute
sull'ubicazione della sua tomba si sono sprecate, ognuno l'ha localizzata
secondo il suo estro, senza addurre mai una prova, un reperto. Tutti archeologi
dilettanti che stimolano la fantasia del lettore con la riscoperta di antiche
leggende. Entusiasmante. Ma dove sono gli ori, le armature, gli scudi?
Molti
studiosi hanno asserito nel corso degli anni di aver individuato la tomba in
diverse aree fluviali, vicino Cosenza, ma senza esito.
Un'affascinante ipotesi localizza il luogo della sepoltura di Alarico nel
misterioso antro dell'Alimena, pauroso strapiombo di rocce che separa Mendicino
da Carolei, a 5 km da Cosenza, la cui profondissima gola è attraversata dal
fiume Acheronte, un torrente che nasce da monte Cocuzzo e confluisce nel Crati
sotto il ponte di Carolei. Il tratto dell'Acheronte sotto l'Alimena è balzato
agli onori della cronaca per l’ipotesi di localizzazione del tesoro di Alarico
in una delle grotte situata nelle rocce. Ma la leggenda narra che Alarico è
stato sepolto nel Busento, non vicino l'Acheronte, che è così definito dalla notte
dei tempi. Continuando a sviscerare 'l'affascinante ipotesi', gli autori hanno
individuato in una delle suddette grotte un piccolissimo altare di pietra,
lillipuziano quasi, sotto il quale sarebbero le spoglie e il tesoro del re
visigoto. Non sappiamo cosa li abbia spinti a formulare 'l'affascinante
ipotesi', considerato che un po' di terra smossa vicino a ciò che è stato
definito un altare non prova nulla. Invece sembra che queste grotte siano
frequentate da gruppi che non sono affatto interessati a trovare la tomba di
Alarico o il suo prezioso tesoro e le sue armi. La loro ricerca è concentrata
su un solo oggetto, frutto della razzia compiuta da Alarico nel sacco di Roma
del 410 d.C.: la sacra coppa del Graal, in cui, secondo il racconto biblico,
Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù sotto la croce. Si narra,
infatti, che i Romani lo avessero rubato nel tempio di Gerusalemme alcuni
secoli prima del 410 d.C., anno in cui Alarico devastò e saccheggiò Roma e si
impadronì di un tesoro inestimabile che portò con sé nel suo viaggio verso
l'Africa. Fermato a Cosenza dalla malaria, la leggenda vuole che qui sia stato
sepolto con tutto il suo oro, quindi con il bottino di Roma. Non sappiamo se ci
fosse anche il sacro Graal, ammesso che esista, ma da quel momento in poi
iniziò una ricerca che dura tuttora. Di tutte queste leggende, però, non c’è ad oggi nessun serio riscontro
archeologico, nonostante nel corso dei secoli l’interesse sia
stato sempre alto, tanto che prima della seconda guerra mondiale, sembra che
Hitler, fanatico e dedito all’esoterismo, in pieno delirio di onnipotenza,
inviò a Cosenza il suo luogotenente Himmler per trovare il Graal.
Su Alarico e sulla ricerca del suo tesoro si potrebbe
scrivere un lunghissimo trattato. Di fantasia naturalmente,
visto che le notizie storiche sono scarse e fors'anche dubbie e i ritrovamenti,
ad oggi, inesistenti. Il tesoro proveniente dai saccheggi di Roma, che in
tanti hanno cercato nei secoli, con ogni probabilità è stato portato via da
Ataulfo, cognato e successore di Alarico e usato per le sontuose nozze con
Galla Placidia, durante le quali ‘un grande tesoro fu messo in mostra’. Anche
l'immagine finora attribuita a lui che lo ritrae giovane e con una scritta
intorno, in realtà non gli appartiene, sebbene sia largamente utilizzata da
operatori culturali e commerciali come un marchio. L'immagine che
ritrae un busto e la scritta “Alaricus Rex Gothorum”, cioè Alarico re dei Goti
si riferisce al re visigoto Alarico
II, vissuto tra il 484 ed il 507 dopo Cristo, nel suo regno in Spagna, come
potete leggere in un precedente post di questo blog.
12-1-15
©Francesca Canino
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