Seguendo il filo della storia
attraverso ciò che di essa rimane si può essere proiettati in realtà lontane
nel tempo e nello spazio. Mondi
sconosciuti si palesano ai viventi attraverso le indagini e gli scritti di
studiosi alla ‘cerca’ di vicende non ancora note, di testimonianze inedite e di
ritrovamenti che aggiungono nuove pagine alla storia. Con questo spirito Maria Angela Merolla ha
vissuto e insegnato, danzato e studiato a fondo arte e letteratura, sviscerato
miti e tradizioni. Grecista, artista teatrale e
coreografa, pioniera della sperimentazione teatrale per la creazione del nuovo
linguaggio Orfico-Pitagorico della danza, psicoterapeuta di stampo analitico, è
oggi, a distanza di alcuni anni dalla sua scomparsa, quasi dimenticata. Non
sempre apprezzata in vita, nonostante il suo vasto sapere e il dinamismo che
hanno caratterizzato la sua esistenza, la professoressa Merolla ha lasciato
un’eredità culturale ancora poco conosciuta.
Nativa
di Cerchiara di Calabria, Maria Angela conseguì la laurea in Lettere classiche
all’Università ‘La Sapienza’ di Roma per poi insegnare al Liceo classico
‘Telesio’ di Cosenza. Impegnata in molte attività letterarie e artistiche, mise
in scena opere teatrali, si occupò di arte, particolarmente in occasione del premio
“Il Sensivismo”, esponendo una interessante relazione dal titolo “Dal Sensismo di Telesio al Sensivismo del M°
Aldo Del
Bianco”.
Partecipò insieme al suo “Gruppo studentesco per il dramma
antico” alle rappresentazioni classiche del
Teatro Greco di Siracusa, dove riscosse un inaspettato successo. Nel 2008, nel
corso delle celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Ruggero
Leoncavallo, compositore napoletano che trascorse a Montalto Uffugo una parte
della sua infanzia, deliziò i partecipanti al Convegno organizzato
dall’Istituto per gli Studi Storici – di cui era membro – con un’appassionata
disquisizione di cui riportiamo l’incipit: «Tra
baracche di rivenduglioli si aggiravano donne in costumi locali: stoffe
sgargianti dai colori dell’oro e del rosso avvolgevano corpi procaci che si
muovevano graziosamente tra i suoni di tamburelli e ciaramelle alla festa di
Mezzagosto. Una scena simile aprirà l’opera più conosciuta di Ruggiero
Leoncavallo “I Pagliacci”, nata da un ricordo che rimase scolpito per sempre
nella sua mente, tanto da riproporlo nel suo capolavoro».
Maria Angela
Merolla fu anche regista e coreografa alla ricerca di nuovi linguaggi, seguì seminari
di danza ebraica e fu una grande conoscitrice del mondo antico. Insieme al suo
“Gruppo studentesco per il dramma antico” mise in scena diverse
rappresentazioni di opere greche e bibliche, attribuendo alla danza un
significato profondo: la danza è preghiera. In una intervista rilasciata al
Quotidiano della Calabria, la professoressa Merolla spiegò che «provenendo dal teatro greco è normale la mia
passione anche per la danza biblica. Il popolo ebraico, a differenza di quello
greco, non fa alcuna distinzione fra idea religiosa e vita quotidiana. Ogni
lavoro, ogni momento di svago, ogni festa pubblica o privata sono
essenzialmente preghiera, che si traduce in musica e canto. Ma la nota
peculiare è che la poesia è sempre unita alla musica e alla danza. Quando il
poeta pensa ai suoi versi l’immagine che gli si presenta è nello stesso momento
poetica, melodica e plastica. I movimenti sono espressi nella circolarità, il cerchio
della vita che nelle varie culture viene raffigurato con l’uovo che è poi anche
il simbolo della fecondità e della Pasqua. La danza ebraica è caratterizzata da
una complessa simbologia delle figure, che si esprimono non solo attraverso il
movimento delle gambe e delle braccia, ma attraverso tutto il corpo. Linguaggio
tramite il quale si perviene ad un discorso danzato, come la danza dell’antica Grecia
o come la danza classica indiana. Una danza, questa, fortemente mimica, dove tutto
il corpo, compreso il movimento degli occhi, è interessato ad esprimere forti
stati d’animo o a narrare qualche cosa, oppure ad evocare fatti storici, come
il paesaggio del Mar Rosso».
Oltre alla danza, alla musica e alle
arti visive, Maria Angela Merolla eccelse nello studio della cultura greca, dei
culti e dei misteri che emergono dalle laminette di età ellenistica (IV e III
secolo a.C.) rinvenute a Petelia, a Hipponion, a Creta e a Roma. Si tratta di sottilissime lamine d’oro ripiegate e poste vicino
alla testa dei defunti che si riferiscono ai culti misterici della
religione orfica, incentrata sul desiderio di purificazione liberatrice che, partita dall'Oriente (forse dalla
Mesopotamia), si diffuse nell'Ellade, specialmente in Attica, dove Eleusi divenne
il centro iniziatico. I culti giunsero in seguito nella Magna Grecia e la
Calabria divenne il centro dell'orfismo pitagorico. Le laminette riportano
formule mistiche, preghiere e indicazioni segrete che dovevano servire ai
defunti iniziati ai misteri durante la vita terrena a intraprendere il loro
viaggio verso gli inferi e a raggiungere la sede dei beati. Con la formula,
l'adepto si faceva riconoscere come tale. Attraverso un approfondito studio
pubblicato nel volume “Ricerche
archeologiche e storiche in Calabria, modelli e prospettive”, Merolla
introdusse il motivo dominante riportato sulle laminette, ovvero il
congiungimento dell'iniziato con la divinità sotterranea, Persefone. «L'iniziato – scrisse la professoressa - ha necessità di bere l'acqua alla sua fonte,
unica via di salvezza e non a quella dell'oblio, riservata ai profani. Infatti,
sulla laminetta ritrovata nell’antica Hipponion e conservata nel Museo di Vibo
Valentia, in cui si evoca Mnemosine, figlia
del cielo e della terra, vi è questa iscrizione: “Figlio della Greve e del Cielo stellato, di sete son arso e vengo meno,
ma datemi presto da bere la fredda acqua che viene dal Lago di Mnemosine».
Le laminette auree si rivelano le
portatrici di una verità assoluta: la morte è l'inizio della vita. Sarà stato
così anche per la professoressa Merolla, incompresa e derisa in tante occasioni
per il suo anticonformismo, per l’eloquio pungente e per la sua eccentricità. Donna
intelligente e coltissima della terra di Calabria, merita riconoscenza e stima
e non l’oblio riservatole dai suoi stessi conterranei.
Cosenza, 30 gennaio 2021
© Francesca Canino
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