Moneta dei Sileraioi con scritta SILA e toro con testa umana che
rappresenta un fiume |
di DOMENICO e FRANCESCA CANINO
IN UN'ASTA numismatica indonesiana svoltasi
pochi anni fa, è comparso un preziosissimo reperto che apre uno spiraglio sui
misteriosi 'Sileraioi', gli antichi guerrieri della Sila. Mai era stato trovato
il nome 'Sila' in alcuna fonte storica di epoca precedente al 138 a.C., quando
la più antica attestazione del toponimo Sila, intesa come zona montana interna
della Calabria, comparve in una notazione di Cicerone in merito a una causa tra
boscaioli.
Il reperto battuto all'asta è una moneta
coniata intorno al 357 a.C. a Siracusa per pagare alcuni mercenari che
combattevano per la città; questo il motivo per cui sui coni appariva il nome
del popolo combattente. La moneta reca inciso sul dritto una protome di toro
con volto umano e la scritta 'Sileraion'. Sul retro è visibile un guerriero con
scudo e lancia che corre verso destra e la scritta chiara ed inequivocabile
'Sila' in lettere greche. L'icona della protome di toro si ritrova anche su
molte monete greche coeve e simboleggia la forza di un fiume, mentre la figura
del guerriero che corre con il gonnellino, con lo scudo ovale di foggia italica
e la lancia, ci racconta qualcosa del costume di questi combattenti, così forti
e coraggiosi da essere ingaggiati come mercenari in Sicilia, al servizio dei
potenti tiranni dell’epoca.
La scritta Sila sulle monete non era mai stata
ritrovata in maniera completa e leggibile. Spesso si leggeva solo 'Si' o solo
'Sil', scritte che avevano fatto attribuire le monete a presunti mercenari
provenienti dal fiume Sele in Campania, pensando che la scritta completa fosse
'Sile' o 'Seile'. Il ritrovamento di questo esemplare finalmente completo e
leggibile, fuga ogni dubbio: l’etnico era 'Sileraion' (come Brettion era
l’etnico dei Brettii) e il nome della regione da cui provenivano è chiaramente
indicato in Sila.
L’equivoco sulla possibile provenienza di
questi mercenari dalla regione del fiume Sele, nacque nel 1800 con il
ritrovamento delle monete di Paestum nel V sec. a.C. in cui si credette di
leggere il toponimo 'Seile', con riferimento al fiume campano, ma i successivi
studi del 1909, ad opera dello studioso americano Kluge, e del 1965 di
Margherita Guarducci, tolsero ogni dubbio. Infatti, sulle monete di Paestum
c’era scritto chiaramente Megyl (forse il fondatore della città di Paestum) e
non Sil, dunque non si ha prova dell’esistenza di questo toponimo, in quel
tempo, nella regione salernitana, mentre la moneta in questione prova
l'esistenza, nel 357 a.C., del toponimo Sila e dell’etnico Sileraion.
Esisteva, dunque, un popolo nella Sila che
dalla grandiosa foresta traeva il suo nome e nella quale viveva forse da
un'epoca antichissima, come attestano i numerosi reperti archeologici rinvenuti
in tutta la Valle del Mucone. Negli anni scorsi sono stati effettuati
alcuni scavi e riportati alla luce i resti di una civiltà che abitava la zona
già nel Paleolitico. Le buone condizioni ambientali hanno assicurato una
continuità abitativa protrattasi fino ai giorni nostri.
Il traffico clandestino dei
reperti archeologici
LA presenza di un'antica moneta della Sila in
un'asta indonesiana apre alcuni interrogativi sul commercio dei reperti
archeologici, che ha assunto dimensioni internazionali allarmanti. Alimentato
da potenti lobby che impongono le leggi del mercato fissando le regole della
domanda e dell'offerta, ogni anno sono migliaia i reperti trafugati che
arriscono le grandi organizzazioni criminali. Un mercato clandestino sostenuto
dai grandi collezionisti internazionali e da alcune istituzioni museali
straniere, compiacenti e spesso committenti.
Il traffico dei beni archeologici è complesso e
organizzato, interessa soprattutto le aree più indigenti perchè sfrutta le
condizioni di bisogno. Bisogna distinguere i saccheggiatori occasionali da
quelli che agiscono con mezzi appropriati, spesso distruttivi di reperti e
contesti. I primi sono quasi sempre agricoltori o scavatori della domenica e di
recente la tipologia dello scavatore in Italia ha assunto i tratti degli
immigrati che vivono e lavorano nella penisola, visto l'incremento della manovalanza dell’est europeo. La seconda
categoria è quella dei predatori 'professionisti' che conoscono il mercato
dell'illecito in cui collocano i reperti attraverso vere e proprie aste o
vendite organizzate, coadiuvati da trafficanti nazionali ed esteri.
La merce passa velocemente dal produttore di
beni archeologici - in genere i paesi del Mediterraneo - al consumatore, cioè i
paesi ricchi, in cui esistono case d'asta, collezionisti e musei in grado di
investire grandi capitali per un'opera d'arte, spesso italiana.
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