‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

29 settembre 2018

Incendi, mafia dei boschi e affari con la legna


Gli incendi che hanno distrutto pochi giorni fa migliaia di alberi a Scalea, Guardia Piemontese, Tortora, Papasidero, Scalea, Firmo, Serra d'Aiello, Catanzaro e Crotone (tra questi  la pineta di Sovereto, nella Riserva Marittima Protetta di Isola Capo Rizzuto, già interessato da incendio la scorsa estate e l’area intorno alla grotta del Prete, in prossimità dell'isola di Dino, zona che lambisce il Parco Marino Regionale della Riviera dei Cedri), mentre in Calabria le temperature subivano un vertiginoso calo, sono la dimostrazione che il fuoco non agisce solo d’estate e che soprattutto ha una regia. Sì, una regia che pianifica il progetto criminale degli incendi multipli e che mette in serie difficoltà l’esiguo corpo dei Vigili del fuoco. Lo scorso anno, la Calabria ha perso gran parte del suo patrimonio boschivo a causa dei numerosi incendi che l’hanno percorsa da nord a sud. Niente è stato fatto in seguito né per le aree colpite, né per prevenire una piaga che, insieme ai tagli e alle potature sconsiderate, alle centrali a biomasse e all’incuria dell’uomo, ha ridotto di molto il patrimonio boschivo calabrese. È ormai risaputo che “l’affare dei boschi” è un business milionario che arricchisce i clan alla pari degli altri traffici illegali.
Il 4 gennaio 2017, è stata presentata alla Camera dei Deputati la “Relazione sull’attività delle forze di polizia sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” relativa all’anno 2015, in cui, nella sezione dedicata alle nuove minacce in ordine alla tutela ambientale, si legge: «Nel 2015 inoltre, anche a causa della crisi economica, si è assistito ad una recrudescenza di fenomeni di illegalità nei confronti della risorsa forestale. Da fenomeni più banali, quali il taglio condotto con modalità non conformi, si arriva ad irregolarità via via più gravi, con reati che assumono la dimensione del reato associativo, fino alla turbativa d’asta pubblica. Il taglio del bosco rappresenta infatti una risorsa che, in tempo di crisi economica, riacquista un valore tutt’altro che trascurabile soprattutto se attuato con prelievi molto più intensi di quelli autorizzati o se condotti a seguito di aste pubbliche non conformi alla norma. In certe aree della Calabria, sono state accertate così spesso infiltrazioni di criminalità organizzata nel settore, da indurre il Corpo forestale dello Stato, a proporre, anche per le alienazioni dei boschi pubblici, le procedure di certificazione antimafia previste dalla normativa per gli appalti pubblici. Sono state accertate infatti, da parte delle ditte boschive che partecipano alle aste, accordi preventivi illeciti finalizzati alla spartizione di lotti da aggiudicare e ricorso a “cartelli” finalizzati a tenere bassi i prezzi della base d’asta mediante accordi segreti ed illegittimi. Si instaurano così dei monopoli od oligopoli ove pochi soggetti, di fatto, tengono in pugno pubbliche amministrazione, anche mediante minacce o atti corruttivi, e determinano il prezzo finale del lotto boschivo. Successivamente si verificano prelievi di legna illegittimi, sconfinamenti di superfici, subappalti illegittimi, utilizzo di manodopera in nero se non addirittura clandestina. Si deve constatare che dopo il passaggio di competenze fra lo Stato e le Regioni, alcune di queste non sono state in grado di sviluppare un sistema armonico e funzionale per la gestione della tutela della risorsa forestale ed hanno perso la visione d’insieme».
L’operazione Stige di qualche mese fa è stata la dimostrazione di ciò che la relazione enuncia e i pentiti hanno parlato di “riconquista criminale della Sila”. I boschi della Sila sono in mano alle mafie da decenni, numerosi erano i camion pieni di tronchi che quotidianamente percorrevano l’autostrada, visti e segnalati dalle associazioni ambientaliste agli uffici preposti che, però, hanno preferito fare orecchie di mercante. Ora il problema è emerso insieme a tutti gli altri affari illeciti dei clan, tra cui il grande business delle centrali a biomasse. E già, le mani delle cosche si sono allungate anche sul legname da fornire alla centrale del Mercure: l’impresa Spadafora di San Giovanni in Fiore aveva conquistato il monopolio per le forniture di legname da bruciare nella suddetta centrale. Prontamente l’Enel ha minimizzato e sospeso il contratto con l’azienda coinvolta nell’indagine.
La Centrale Enel a biomasse del Mercure, è attiva dal 2016 ed è nel cuore del parco del Pollino, vicino al fiume Mercure-Lao. Proprio nell’anno in cui ha iniziato la sua attività, ha incassato, secondo quanto ha pubblicato l’Enel, 49 milioni di euro. Di questi, solo 10 milioni sono provenuti dalla produzione energetica, mentre i rimanenti 39 milioni sono giunti da incentivi pubblici. Non è stato difficile capire il gioco, visto che i guadagni della produzione energetica sono risultati provenire da incentivi pubblici e, soprattutto, la produzione non viene fatta secondo le richieste di energia del territorio. In altri termini, si produce un’eccessiva quantità di energia – che supera di molto il fabbisogno energetico della Calabria – per cui si ha bisogno di una quantità smisurata di biomassa necessaria al suo funzionamento (circa 350.000 tonnellate all’anno), spesso reperita anche sul territorio dell’Unione Europea, rischiando di importare specie contaminate da pesticidi, pericolosissimi per la biodiversità del parco e per la salute dei residenti. Inoltre, la centrale opera con autorizzazione scadute e proroghe della Regione Calabria, che sono state anche impugnate dalle associazione ambientaliste del territorio e manca uno studio ad hoc sul microclima della Valle del Mercure (quello fatto è stato impostato sui dati di una valle diversa) e l’assenza di una Valutazione d’Impatto sulla Salute. Da considerare, infine, le infiltrazioni criminali con i loro grossi interessi nella produzione energetica. L’operazione Stige lo ha ampiamente dimostrato e gli incendi di fine settembre, visto che nei mesi estivi non se ne erano verificati, sono stati ordinati da un regista occulto perché funzionali al grande business della legna.
Cosenza, 29 settembre 2018
© Francesca Canino



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