‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

28 marzo 2017

C'era una volta a Cosenza: Il Villaggio del Fanciullo "Cristo Re"

La nave con la prua a sud 
  


RISUCCHIATA dalla nebbia del tempo, riaffiora a volte nei ricordi di chi la vide affrontare i flutti delle miserie umane, superare tempeste, rimanere a galla e tramutarsi in faro di speranza per tanta gente, fino ad affondare nel mare della burocrazia e dell’ingenerosità.
C’è una nave a Cosenza che diverse miglia ha percorso negli anni passati senza mai toccare il mare, si chiamava Villaggio del Fanciullo ‘’Cristo Re’’. Ospitava ragazzi in condizioni di disagio.
‘’L’ideale che fin da giovane spuntò nel mio cuore dopo aver tanto pregato, era togliere dalla strada i fanciulli, per una bonifica integrale della società di domani, per il trionfo di Cristo Re’’.
Era il 13 giugno 1950 e così don Luigi Maletta, parroco della chiesa di san Gaetano in Cosenza, scriveva al vescovo del tempo, Aniello Calcara, per comunicargli le sue intenzioni in merito all’erigendo Villaggio del Fanciullo intestato a ‘Cristo Re’. Tre giorni dopo, 16 giugno, festa del Sacro Cuore di Gesù, la posa della prima pietra in contrada Caricchio. Era il battesimo della nave al grido di ‘’Salviamo il fanciullo ed abbiamo salvato la società’’.
Ricco di fede e povero di borsa, don Maletta, già fondatore del gruppo scout di Cosenza, iniziava la sua traversata con la certezza che ogni nube si sarebbe diradata. ‘’Terra all’orizzonte!’’ avrà esclamato da buon capitano, quando un benefattore, Matteo Fiorentini, donò alla chiesa di san Gaetano il terreno su cui sorse la struttura. I fondi per la sua realizzazione, invece, giunsero da diversi benefattori, tra cui molti emigranti residenti in America. La costruzione avrebbe dovuto rappresentare una nave, simbolo dell’emigrazione stessa.
Nel 1951 si formò un comitato pro Villaggio del Fanciullo composto dal vescovo Aniello Calcara, dal donatore del suolo Matteo Fiorentini, dal prefetto Marifisa, dal sindaco della città Alberto Serra, mentre un comitato parallelo sorse in America sotto la guida del benefattore Fred Morelli, che si avvalse dell’aiuto indefesso di altri due italo-americani: Niccolò Lo Franco, vice presidente del comitato e direttore del giornale ‘’L’Italia’’ di Chicago e mister Vincent Coco, anch’egli giornalista della stessa testata, originario di Spezzano Sila. In breve venne organizzata una festa di beneficenza allo Sherman Hotel di Chicago per una raccolta di fondi, in tutto dieci milioni di lire. Fu nel mese di dicembre di quell’anno che mister Niccolò venne in Italia per la consegna del denaro raccolto. In quell’occasione fu organizzato un incontro presso la sala provinciale di Cosenza e scattate alcune foto durante la serata, che sembra siano state successivamente riprodotte nel bronzo ‘’a perenne ornamento dell’opera che egli sposò come propria creatura’’, come si legge su un giornale dell’epoca.
La nave fu costruita solo per metà, ancora oggi è possibile identificare, nel lato a sud, la prua ed in quello di sud-est il ponte. Il flusso di denaro proveniente dall’America, ad un certo punto si interruppe, forse per via di alcune voci che circolarono a riguardo delle finalità. Voci rimaste tuttavia infondate, ma che recisero i rapporti con la comunità italiana d’America. Malgrado ciò, don Luigi, ‘nocchiere in gran tempesta’, realizzò un edificio posto su quattro livelli, usati nel tempo con modalità diverse e rimasto sempre tale. Il piano seminterrato era stato adibito a cucina-refettorio; il piano terra comprendeva i laboratori, la scuola, i servizi, gli uffici amministrativi ed uno spazio per le attività ricreative. Al primo piano erano posti i dormitori e la chiesa; al secondo la biblioteca, l’ambulatorio, il guardaroba, il deposito ed un alloggio privato.
La struttura ospitava minori di sesso maschile provenienti in prevalenza da Cosenza e provincia, alcuni vi entravano dalla prima infanzia per rimanervi fino alla maggiore età, allora 21 anni. Il Villaggio era dotato di vari laboratori artigianali diretti da maestri artigiani che insegnavano il ‘mestiere’: c’era, infatti, una tipografia, una falegnameria, una fucina ed una fattoria in cui venivano allevati animali da cortile.
I bambini frequentavano le scuole pubbliche cittadine, ma in poco tempo furono istituite due pluriclassi delle scuole elementari all’interno del Villaggio, dipendenti dalla Direzione didattica delle scuole dello Spirito Santo. I ragazzi della scuola media inferiore e superiore, continuarono, invece, a frequentare gli istituti cittadini, accompagnati da don Luigi a bordo di una vecchia auto. Un gruppo di minori con problemi di udito e di linguaggio, frequentava una scuola specialistica sita in città, precisamente in via Sertorio Quattromani, al palazzo Ferrara, che operò fino alla fine degli anni ’70.
In media l’istituto ospitò, negli anni ‘60, circa una sessantina di ragazzi. Questi facevano parte degli Scout della parrocchia di san Gaetano e d’estate si trasferivano in Sila per le vacanze, vicino al lago Cecita, in locali che sembra appartenessero alla Curia. Ad affiancare don Maletta nell’attività assistenziale, vi era un ristretto numero di persone, tra cui una volontaria, Rosaria Bengardino, che priva di legami parentali, dedicò la sua esistenza ai ragazzi del Villaggio sin dalla sua fondazione e fino alla sua morte avvenuta nel 1978. Viveva nell’istituto, si prodigava per la questua coinvolgendo i fanciulli ed era solita raccontare come in gennaio si andasse per le case di campagna a riempire il ‘pignatello’, un recipiente che veniva colmato con il grasso di maiale regalato dai contadini e che serviva in cucina per l’inverno, quando faceva freddo. Anche il cibo era poco ed era consuetudine al Villaggio, uccidere il maiale per fare la provvista di salumi. In quell’occasione si faceva festa. A dire il vero i ragazzi non erano abituati alle feste, provenendo da realtà familiari disgregate, emarginate ed estremamente precarie dal punto di vista economico, culturale, sociale e sanitario. Non erano infrequenti i casi di pediculosi e di scabbia in alcuni minori all’ingresso nella comunità, oltre alla mancanza di indumenti e del materiale scolastico. L’età media, intanto, cresceva sempre più e la maggioranza era costituita da adolescenti. Dopo la chiusura dell’orfanotrofio Vittorio Emanuele, non esistevano in città o in provincia, istituti in grado di accogliere ragazzi di età superiore ai 10 anni. I diversi istituti religiosi presenti sul territorio, si limitavano ad ospitare i minori fino al completamento delle scuole elementari, mandandoli, nell’età adolescenziale, allo sbando.
I fanciulli non manifestavano solo la ribellione propria della loro età, ma soprattutto grande disagio derivante dalla carenza affettiva, poiché le famiglie di provenienza, spesso, erano incapaci di trasmettere sentimenti, affetti, valori. La comunità era divisa in due gruppi: minori con famiglie problematiche, ma comunque ‘normali’ e minori con famiglie assenti e multiproblematiche. Nel periodo delle Feste o delle vacanze, un gruppetto non rientrava mai a casa e veniva ospitato da alcuni dipendenti dell’Istituto. Tale stato di cose generava difficoltà nelle relazioni sociali e nello sviluppo armonico della personalità, tanto che l’assistente sociale, coordinatrice anche del personale educativo, tentava di rimediare incrementando le relazioni familiari ed intervenendo con gli altri organismi preposti, ma in particolare cercava di mantenere rapporti costanti con i minori per il bisogno che essi avevano di confrontarsi con una figura femminile. Nonostante le difficoltà, molti ospiti del Villaggio si inserirono bene nella società, alcuni proseguirono gli studi, altri emigrarono, ma per tanti la struttura continuò ad essere un punto di riferimento anche dopo la maggiore età.
Del vecchio Villaggio, oggi, rimane la struttura grigia e rovinata, quasi un vascello fantasma se si considera che le ricerche effettuate (presso la parrocchia di san Gaetano, l’Archivio della Curia arcivescovile, l’Archivio provinciale e l’ex Baliatico, l’Archivio comunale, l’Archivio di Stato, le Biblioteche) per reperire atti, fotografie o altre prove documentali a testimonianza dell’operato che l’Istituto svolse negli anni passati, sono risultate vane. La storia, però, è rimasta nella memoria e nel cuore di chi ha prestato servizio presso la struttura, grazie a loro è stata possibile raccontarla e rivivere il viaggio della nave con la prua rivolta verso sud. 

Le traversie burocratiche

Negli anni ’70 le entrate finanziarie costituite dalle rette della Provincia e dell’Enaoli (ente che assisteva le vedove e gli orfani dei lavoratori, in seguito soppresso), diminuirono, divenendo inadeguate ad assicurare le necessità primarie dell’ente assistenziale e a garantire i nuovi parametri sociali, pedagogici e culturali imposti dalla crescita sociale del tempo. Don Luigi fu costretto a rivolgersi alle Istituzioni locali. Gli subentrò l’Ente Comunale Assistenza (ECA), retto da un Consiglio di Amministrazione nominato dal Consiglio comunale di Cosenza, che riorganizzò la comunità assicurando il vitto e stanziando dei contributi per il perseguimento delle finalità. Distaccò anche una parte del personale comunale presso il Villaggio, tra cui un’assistente sociale. Era la fine del 1971. Gradualmente furono assunte alcune figure professionali per migliorare gli intenti dell’opera: un direttore, degli istitutori, un cuoco, un guardiano notturno, una guardarobiera, alcuni inservienti. Furono sollecitati altri Enti per avere dei contributi (Comune, Provincia, Regione, Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania).
Sulla base di una convenzione, fu incaricato il medico comunale per le visite periodiche e per i problemi di salute dei minori. Anche i pasti venivano decisi secondo tabelle dietetiche prestabilite. Intanto, per garantire una qualità migliore della vita, vennero aumentati gli spazi riservati al dormitorio, abolendo i letti a castello e diminuendo il numero degli ospiti (40 circa). E’ in questo periodo che per favorire la socializzazione dei minori, due classi elementari vennero trasferite nella scuola integrata di via Negroni. Le difficoltà economiche erano ancora tante e verso la metà degli anni ’70 si avviò la procedura, lunga e difficile, per il riconoscimento di Ente Pubblico, ossia di IPAB (Istituto Pubblico Assistenza e Beneficenza) dopo che il fondatore, don Luigi, rinunziò alla proprietà privata. Qualche anno più tardi morì. Nel 1977 si ebbe il riconoscimento, ma nello stesso anno venne soppresso l’ECA dalla legge nazionale per gli enti considerati inutili. Il nuovo Ente ‘Villaggio del Fanciullo’, preparò un proprio regolamento organico e fu nominato un commissario ad acta da parte della Regione Calabria.
Al personale dipendente, al quale si era anzitempo unito quello dell’orfanotrofio Vittorio Emanuele, fu applicato per la prima volta un regolare contratto. Ma le rate pagate dalla Regione per ogni minore, sempre in ritardo, si rivelarono insufficienti a coprire il bilancio. Iniziò, così, una nuova stagione di proteste per assicurare l’assistenza ai minori e rivendicare le spettanze del personale, mentre aumentavano i bisogni dei ragazzi, specialmente quelli di ordine psicologico.
Verso la fine degli anni ’70, la situazione economica dell’Ente apparve insanabile. Intanto, l’art. 25 della Legge 616/77, in base al quale era stata portata a termine la procedura di passaggio dell’Ente sotto la gestione del comune di Cosenza, fu dichiarato incostituzionale. Nella struttura rimasero pochi minori, quelli con più problemi ed il personale non percepiva lo stipendio. Inevitabilmente si decise di chiudere alla fine del 1985. Solo all’ultimo momento si venne a conoscenza della legge sulle Opere Pie del 1890, che prevedeva il passaggio dei beni immobili degli Enti che non potevano proseguire le loro finalità, e per estensione il personale, al comune sul cui territorio era situato, quindi al comune di Cosenza.
Oggi i locali sono utilizzati come Centro sociale, denominato Neo Ex Villaggio del Fanciullo. 

  5 marzo 2007

© Francesca Canino

21 marzo 2017

Sistema trasfusionale, affidato senza gara il trasporto del sangue

dal Quotidiano del Sud del 20 marzo 2017

FA discutere la nota del Dipartimento tutela della salute dello scorso mese di febbraio che ha invitato i direttori generali delle ASP e degli ospedali calabresi ad attivare “con estrema urgenza” l’accentramento delle attività di validazione e lavorazione delle unità di sangue. Disposizioni confermate dal commissario Scura che prevedono che la lavorazione del sangue e la validazione biologica degli emocomponenti sia compiuta solo nelle sedi di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. Un accentramento nei tre hub regionali che sembra avviato, almeno in alcune sedi.
La scelta dovrebbe garantire qualità, sicurezza e sostenibilità delle attività trasfusionali, accentrate con carattere di ‘urgenza’, però secondo direttive nazionali note da anni. Esse stabiliscono che i servizi trasfusionali degli spoke dipenderanno da quello degli hub, cioè il sangue raccolto dal servizio trasfusionale di uno spoke dovrà essere inviato nell’hub di riferimento con un automezzo per essere lavorato. In seguito, potrà ritornare nello spoke di partenza per essere utilizzato. Considerate le distanze e la particolare orografia della regione, un percorso del genere può richiedere anche quattro ore, salvo imprevisti. È troppo per un paziente che ha bisogno di essere trasfuso, specialmente se è un caso di emergenza. L’accentramento delle unità trasfusionali in tre sedi, dunque, rende i Servizi trasfusionali periferici dipendenti dagli hub e la sicurezza trasfusionale insufficiente: mancano protocolli operativi che tengano conto delle distanze, della viabilità principale e secondaria, dell’organizzazione nell’affrontare le emergenze.
Le autorità regionali competenti, però, non hanno provveduto in tempo a una revisione del sistema trasfusionale regionale, organizzato in strutture non funzionalmente collegate dal punto di vista gestionale, con realtà disomogenee, di cui alcune riclassificate H 6. Inoltre, nel 2014 è stato deciso di accentrare le attività di validazione biologica per l’intera regione nel Servizio trasfusionale di Catanzaro, anche se oggi l’attività non è ancora iniziata.
La Simti (Società italiana medicina trasfusionale e immonoematologia) ha inviato un documento al presidente della Regione, al direttore del dipartimento Fatarella, a tutti i direttori generali delle aziende sanitarie, al centro nazionale sangue, al direttivo nazionale Simti e ai responsabili dei Servizi trasfusionali regionali per informarli sulla necessità di una riorganizzare ‹‹e correggere anomalie derivanti da decisioni sostenute e\o accettate dal Centro Regionale Sangue nelle attività di alcuni Servizi Trasfusionali››. Il documento individua anche ‹‹l’assenza di una cabina di regia regionale ‘forte’ per la gestione/monitoraggio delle attività trasfusionali, e quella che dovrebbe essere una struttura regionale sovraordinata, con il supporto tecnico-scientifico degli esperti, appare invece un’istituzione che ‘dispensa’ saltuariamente direttive, lasciando alle singole Aziende e alle Strutture Trasfusionali le successive fasi, soprattutto di responsabilità penale e civile››.
La Simti si sofferma anche sui trasporti, affidati, pare, senza capitolato e gara. ‹‹Per la complessità, l’onerosità e l’importanza del sistema trasporti nel processo da attuare – si legge nel documento - sarebbe stato indispensabile un capitolato e una gara d’appalto regionale (tutt’ora ipotizzata) e non appare rassicurante la modalità che sembra si voglia adottare di affidare temporaneamente il servizio a una gestione mista, parte alle associazioni di volontariato e parte alle Aziende sanitarie, senza condivisione dei protocolli d’intesa››.
Attualmente, oltre l’80% della raccolta di sangue viene effettuata fuori dagli ospedali e ora potrebbe essere privatizzato, senza gara, pure il trasporto. I trasfusionisti calabresi auspicano il ritorno dei primari nei servizi trasfusionali territoriali, che dovrebbero gestire anche le raccolte di sangue nel territorio, evitando di affidare ai privati incarichi onerosi.   
21 3 2017
© Francesca Canino

16 marzo 2017

Un nuovo Rinascimento è necessario


da "Il Quotidiano della Calabria", 17 marzo 2011

IL 17 MARZO di 150 anni fa, il Parlamento italiano sanciva la proclamazione del Regno d'Italia dopo secoli di divisioni e invasioni, conflitti, trattati e spargimenti di sangue. Si era giunti all'unificazione, sebbene incompleta, della penisola italiana, un processo durato parecchi decenni in cui uomini valorosi e idee nuove comparvero sulla scena della storia italica. Ma alle soglie del secolo e mezzo dall'Unità, numerose sono le polemiche sorte intorno all'anniversario, che rappresenta tuttavia una meta importante per la nostra storia, sempre più spesso rinnegata, oltraggiata, obliata. Ecco perché, in occasione del conferimento della cittadinanza cosentina allo storico calabrese Rosario Villari, gli abbiamo posto alcune domande su ciò che rappresenta la storia oggi, per studenti e cittadini.
Historia magistra vitae, lo è ancora?
Domanda difficile: a noi che studiamo la storia capita di dove constatare che essa spesso non insegna ciò che dovrebbe, si ripetono gli stessi errori. Qualche volta è magistra vitae, a volte sfortunatamente non lo è.
Lacune storiche: perché tanti avvenimenti non trovano spazio nei libri di storia?
In parte sono giustificate perché ci sono degli avvenimenti di carattere più generale, nazionale, che in qualche modo incorporano anche i singoli avvenimenti verificatisi nelle regioni. Si commette però un torto, un'ingiustizia, poiché in questo assimilare le esperienze particolari a quelle più generali, si compie un atto di dimenticanza verso persone che hanno sacrificato la loro vita per un ideale, un obiettivo collettivo. In questi casi bisognerebbe fare il possibile per evitare le lacune, perché il riconoscimento della generosità, del senso di giustizia, della dedizione all'interesse generale, specialmente in questa fase in cui prevale spesso l'interesse individuale ed il particolarismo più gretto, alcuni momenti personali di generosità e sacrificio possono essere esemplari e rappresentare un contrasto con gli aspetti negativi della realtà attuale.
Sarebbe utile, quindi, colmarle?
Sì.
Il Risorgimento dal punto di vista di un Meridionale.
E' stata l'occasione per dare al Mezzogiorno la consapevolezza dei suoi problemi e una dimensione più ampia nella concezione dei rapporti sociali, della cultura, della scienza, del sentirsi parte di una comunità forte come una nazione che è più forte di una provincia, di una sezione, di una parte incompleta. Il Risorgimento è tutta l'esperienza di una nazione meravigliosa come quella italiana.
Il personaggio più attuale del Risorgimento?
Questa è una domanda difficile: è arduo, infatti, individuare un personaggio, io gliene dico tre, anzi me li dica lei.
Mazzini, Garibaldi e Cavour?
Siamo d'accordo
Un altro Risorgimento è possibile?
E' necessario direi.
La storia si ripete e la storia la fanno i vincitori, quanto sono vere le due citazioni?
Purtroppo, devo dire, in parte sono vere. Fare la storia dei vincitori è la cosa più conveniente e più facile. Quando si ha la vocazione a scrivere la storia generale, si deve fare uno sforzo per comprendere anche i vinti, per comprendere le loro ragioni ed i loro sogni, perché a volte i perdenti sono quelli che hanno sognato le cose più belle e allora lo storico deve cercare, per essere un vero storico, di scrivere la storia dei perdenti e di rinunciare ai vantaggi che si hanno a fare la storia dei vincitori.
Sa che tra gli studenti di oggi lei non riscuote tanta simpatia per il fatto che devono studiare i libri che ha scritto? E' stato conveniente o no, quindi, scrivere?
Non ho fatto questa esperienza, anzi ho parlato sempre con persone che erano contente di aver studiato sui miei libri, a volte le loro considerazioni mi hanno spinto a rivedere i miei limiti. Mi piacerebbe conoscere gli studenti a cui risulto 'antipatico' e riuscire a trasformare la loro antipatia in una critica che mi aiuterebbe.
17-3-2017
© Francesca Canino


07 marzo 2017

Assicurazioni al comune di Cosenza e candidati

Sono state senza assicurazione per anni – e hanno subito anche un paio di danneggiamenti – finché, circa un anno fa, si è proceduto ad assicurare le statue del Mab con una compagnia assicurativa - Groupama di Elisa Vommaro – a cui erano state affidate anche le assicurazioni di mostre e dei Bocs art. Accadeva l’aprile scorso, mentre ci si preparava alle elezioni amministrative ed Elisa Vommaro proponeva la sua candidatura nelle liste di Occhiuto.
A distanza di un anno, si ripresenta la necessità di rinnovare la polizza assicurativa per il Mab e giorno 2 marzo è stata pubblicata una determina in cui si legge: ‹‹negli atti di donazione modale che la famiglia Bilotti ha sottoscritto con il Comune di Cosenza per il potenziamento delle statue del Museo è espressamente previsto che il Comune provveda alla sicurezza delle opere "attraverso la stipula di una polizza assicurativa con Compagnia di suo gradimento ma comunque di primaria importanza e per un adeguato importo contro i rischi di danneggiamento, di atti di vandalismo e comunque di ogni e qualsiasi atto che pregiudichi la manutenzione, la conservazione, la sicurezza e l'integrità delle sculture", pena la risoluzione della donazione stessa da parte della famiglia Bilotti››.
Ci si chiede, però, come mai non vi sia stata la risoluzione della donazione, considerato che le statue del Mab non sono state coperte da alcuna assicurazione per molto tempo.
La determina in questione affida alla Groupama di Vommaro Elisa la polizza incendio con una spesa annuale pari a € 12.816 e la polizza furto, danni e atti vandalici alla Compagnia MunichRE, per il tramite della SYNKRONOS ITALIA SRL, che comporta una spesa annuale di € 19.496, per un totale di € 32.312.
Sempre il 2 marzo, un’altra determina viene pubblicata sull’Albo pretorio del Comune di Cosenza, avente ad oggetto: “Rinnovo anno 2017, polizza assicurativa opere d'arte concesse in comodato d'uso”.
Si tratta della stipula di una polizza assicurativa, il cui premio è pari a € 6444, ‹‹a salvaguardia di eventuali rischi dovuti a danneggiamento, furto, incendio, con l’Agenzia Groupama›› per le seguenti opere ricevute dal comune in comodato d’uso:
· Opera d’arte olio su tela, del maestro Mario Schifano, dal titolo “Gigli d’Acqua”, (cm100x100), del valore di € 40.000,00 (Quarantamila);
· Opera d’arte olio su tela, del Maestro Antonio Sciacca, dal titolo “Confluenza del Crati e del
Busento” (cm100x150) del valore di € 20.000,00 ;
· Opera d’arte olio su tela, del Maestro Antonio Sciacca, dal titolo “La Cattedrale” (cm100x150) del valore di € 20.000,00.
Nel 2016, le suddette opere erano state assicurate dalla stessa agenzia (Groupama). Nulla di strano in tutto ciò che abbiamo scritto finora, il Mab è una realtà e deve essere assicurato. Sulle altre tre opere di Schifano e Sciacca, concesse in comodato d’uso al comune, aleggiano, tuttavia, alcuni misteri: nessuno sa quale sia la struttura museale o similare che le ospita e se, dunque, sono fruibili dai cittadini. Insomma, dove si trovano questi dipinti? Potrebbero essere queste le opere date in comodato a palazzo dei Bruzi da una gallerista che risulta imparentata con l'assicuratrice Vommaro, di cui scrivevamo lo scorso anno? Lo pubblichiamo di seguito.



dal Quotidiano del Sud, aprile 2016
SENZA copertura assicurativa ed esposte a intemperie e ad eventuali atti vandalici. Così è stato per le statue del Mab, in particolare per una di esse che, circa due mesi fa, è andata in frantumi per la seconda volta.
Il 28 febbraio scorso, la città è stata colpita da un evento atmosferico eccezionale, un ciclone a cui i meteorologi hanno dato il nome di Zissy. Nel giro di poche ore sono stati numerosi e gravi i danni provocati in città e in tutta la regione. Cosenza ha perso buona parte del suo patrimonio arboreo e ha visto di nuovo finire a terra una delle tre colonne di Sosno, inserita nel percorso urbano del Mab.
Un paio d’anni fa, la stessa opera fu danneggiata da un camion di Ecologia oggi e poi restaurata e risistemata al suo posto, ma le potenti raffiche dell’ultima domenica di febbraio l’hanno ridotta di nuovo in tanti pezzi sparsi sul principale corso cittadino. Immediati gli interventi dei responsabili comunali al Mab e della Soprintendenza, che hanno provveduto a raccogliere i resti e a proteggere la base, per poi dare avvio, nei giorni seguenti, alle pratiche per il restauro della statua. La sorpresa è stata grande quando ci si è accorti che le statue del Mab risultavano prive di copertura assicurativa, nonostante ciò fosse una condizione prevista dal contratto di donazione. Successivamente al danno, sull'albo pretorio del comune compare una determinazione per l'assicurazione del Mab che, però, essendo successiva all'evento non copre il danno.
Non è usuale che opere d’arte di un certo valore collocate all’aperto non siano assicurate e la sfortuna ha voluto che un vento fortissimo frantumasse una colonna di marmo da poco restaurata. Nei giorni successivi all’accaduto si è appreso che le statue non erano nemmeno assicurate. La colonna di Sosno, se sarà restaurata viste le pessime condizioni, peserà, dunque, sulle casse comunali e si spera che non si faccia ricorso al solito affidamento diretto. Ma nelle ultimissime settimane, il comune di Cosenza sta assicurando tutto e per giunta con la stessa agenzia assicurativa – la Groupama di Elisa Vommaro - a cui ha affidato l'assicurazione delle mostre al castello e a palazzo Arnone, dei Bocs art e di recente dei teatri. Inoltre, pare che la stessa compagnia abbia assicurato le opere date in comodato a palazzo dei Bruzi da una gallerista che risulta imparentata con l'assicuratore in questione. Insomma, una sorta di monopolio delle assicurazioni detenuto al comune da un solo soggetto, Elisa Vommaro, oggi finanche candidato in una delle liste dell'ex sindaco Occhiuto.

7-3-2017

© Francesca Canino

02 marzo 2017

La città illuminata: tanti soldi e ribassi inimmaginabili

CENTINAIA di migliaia di euro per illuminare la città e gare dagli strabilianti ribassi. Accade a Cosenza, dove in alcuni periodi dell’anno non si bada a spese per dotare di lucine le piazze e le vie più importanti. Ma quanto si spende realmente e come ci si aggiudica la gara?
C’è una pagina sul Portale trasparenza del sito comunale bruzio, nella sezione “Avvisi di aggiudicazione, esiti e affidamenti”, il cui contenuto è stato aggiornato il 13 febbraio scorso, sebbene l’argomento sia riferibile al mese di novembre del 2016. Si tratta dell’affidamento del “Servizio di fornitura e installazione luminarie cittadine”, datato 24/11/2016, giorno che segna l’inizio dei “lavori o forniture”.
Il comune di Cosenza, quale amministrazione aggiudicatrice, indice una gara per l’affidamento del servizio ‘luminarie’, alla quale – da quel che si apprende dalla pagina del Portale – partecipano tredici ditte (Med Labor, cooperativa sociale, Le Pera Stefano Srl di Acri Melania & C; Leone Luminarie Srls; Mariano Lighit Srl; Lady Luce; Sansalone Santo; Lucifesta Srl; Art Lux; Decolait Srl; Elettromusic di Fernando Fazio; Stardeco AR Luminarie Srl; F.lli Carlone Soc. Coop.; Premiata ditta Antonio Santoro Srl). La procedura di scelta del contraente è quella “negoziata senza previa pubblicazione del bando”. Ad aggiudicarsi il servizio è la Med Labor, con un ribasso minimo, quasi formale. Infatti, l’importo a base d’asta corrisponde a € 182.207, mentre l’importo di aggiudicazione a € 181.322,50, ciò significa che l’aggiudicatario ha proposto un ribasso pari allo 0,485%, inferiore, dunque, all’1%.
Appare sconcertante il fatto che con una base d'asta di € 182.207 nessuna tra le altre dodici ditte abbia detto che era in grado di fare i lavori per mille euro in meno.
Sorprende, poi, notare che la pagina del Portale sia stata aggiornata più volte: l’ultima revisione risalente al 13 febbraio è stata preceduta da un aggiornamento datato 9 febbraio, in cui, come si può vedere dallo screen-shot, l’affidamento del servizio di fornitura per le luminarie cittadine viene affidato alla Med Labor, che risulta unica partecipante alla gara. Non compaiono le altre dodici ditte presenti nella pagina del 13 febbraio.
La Med Labor, inoltre, una decina di giorni prima, si era aggiudicato il “Servizio di fornitura e installazione luminarie” nella ex piazza Fera con un ribasso di quasi il 50%, dato sbandierato nel mese di dicembre come se fosse stato un grande vanto, mentre, invece, si è taciuto sul ribasso proposto dalla stessa Med Labor - equivalente allo 0,485% - per le luminarie nel resto della città, ad esclusione dei mercatini natalizi situati nella villa Nuova.

Questi ultimi sono stati affidati alla ditta Le Pera, risparmiando solo 5000 euro sulla base d’asta.
A conti fatti, come si desume dal Portale trasparenza del comune di Cosenza, le luci natalizie nella città dei Bruzi, visti anche gli insoliti ribassi proposti dalle ditte aggiudicatarie dei servizi, sono costate oltre 268.000 euro.

2-3-2017

© FRANCESCA CANINO