‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

27 dicembre 2020

La scoperta dei Sileraion, gli antichi guerrieri della Sila

  

 

Moneta dei Sileraioi con scritta SILA e toro con testa umana che rappresenta un fiume


di DOMENICO e FRANCESCA CANINO

 

IN UN'ASTA numismatica indonesiana svoltasi pochi anni fa, è comparso un preziosissimo reperto che apre uno spiraglio sui misteriosi 'Sileraioi', gli antichi guerrieri della Sila. Mai era stato trovato il nome 'Sila' in alcuna fonte storica di epoca precedente al 138 a.C., quando la più antica attestazione del toponimo Sila, intesa come zona montana interna della Calabria, comparve in una notazione di Cicerone in merito a una causa tra boscaioli.

Il reperto battuto all'asta è una moneta coniata intorno al 357 a.C. a Siracusa per pagare alcuni mercenari che combattevano per la città; questo il motivo per cui sui coni appariva il nome del popolo combattente. La moneta reca inciso sul dritto una protome di toro con volto umano e la scritta 'Sileraion'. Sul retro è visibile un guerriero con scudo e lancia che corre verso destra e la scritta chiara ed inequivocabile 'Sila' in lettere greche. L'icona della protome di toro si ritrova anche su molte monete greche coeve e simboleggia la forza di un fiume, mentre la figura del guerriero che corre con il gonnellino, con lo scudo ovale di foggia italica e la lancia, ci racconta qualcosa del costume di questi combattenti, così forti e coraggiosi da essere ingaggiati come mercenari in Sicilia, al servizio dei potenti tiranni dell’epoca. 

La scritta Sila sulle monete non era mai stata ritrovata in maniera completa e leggibile. Spesso si leggeva solo 'Si' o solo 'Sil', scritte che avevano fatto attribuire le monete a presunti mercenari provenienti dal fiume Sele in Campania, pensando che la scritta completa fosse 'Sile' o 'Seile'. Il ritrovamento di questo esemplare finalmente completo e leggibile, fuga ogni dubbio: l’etnico era 'Sileraion' (come Brettion era l’etnico dei Brettii) e il nome della regione da cui provenivano è chiaramente indicato in Sila.

L’equivoco sulla possibile provenienza di questi mercenari dalla regione del fiume Sele, nacque nel 1800 con il ritrovamento delle monete di Paestum nel V sec. a.C. in cui si credette di leggere il toponimo 'Seile', con riferimento al fiume campano, ma i successivi studi del 1909, ad opera dello studioso americano Kluge, e del 1965 di Margherita Guarducci, tolsero ogni dubbio. Infatti, sulle monete di Paestum c’era scritto chiaramente Megyl (forse il fondatore della città di Paestum) e non Sil, dunque non si ha prova dell’esistenza di questo toponimo, in quel tempo, nella regione salernitana, mentre la moneta in questione prova l'esistenza, nel 357 a.C., del toponimo Sila e dell’etnico Sileraion.

Esisteva, dunque, un popolo nella Sila che dalla grandiosa foresta traeva il suo nome e nella quale viveva forse da un'epoca antichissima, come attestano i numerosi reperti archeologici rinvenuti in tutta la Valle del Mucone. Negli anni scorsi sono stati effettuati alcuni scavi e riportati alla luce i resti di una civiltà che abitava la zona già nel Paleolitico. Le buone condizioni ambientali hanno assicurato una continuità abitativa protrattasi fino ai giorni nostri.

 

Il traffico clandestino dei reperti archeologici

 

LA presenza di un'antica moneta della Sila in un'asta indonesiana apre alcuni interrogativi sul commercio dei reperti archeologici, che ha assunto dimensioni internazionali allarmanti. Alimentato da potenti lobby che impongono le leggi del mercato fissando le regole della domanda e dell'offerta, ogni anno sono migliaia i reperti trafugati che arriscono le grandi organizzazioni criminali. Un mercato clandestino sostenuto dai grandi collezionisti internazionali e da alcune istituzioni museali straniere, compiacenti e spesso committenti.

Il traffico dei beni archeologici è complesso e organizzato, interessa soprattutto le aree più indigenti perchè sfrutta le condizioni di bisogno. Bisogna distinguere i saccheggiatori occasionali da quelli che agiscono con mezzi appropriati, spesso distruttivi di reperti e contesti. I primi sono quasi sempre agricoltori o scavatori della domenica e di recente la tipologia dello scavatore in Italia ha assunto i tratti degli immigrati che vivono e lavorano nella penisola, visto l'incremento della manovalanza dell’est europeo. La seconda categoria è quella dei predatori 'professionisti' che conoscono il mercato dell'illecito in cui collocano i reperti attraverso vere e proprie aste o vendite organizzate, coadiuvati da trafficanti nazionali ed esteri.

La merce passa velocemente dal produttore di beni archeologici - in genere i paesi del Mediterraneo - al consumatore, cioè i paesi ricchi, in cui esistono case d'asta, collezionisti e musei in grado di investire grandi capitali per un'opera d'arte, spesso italiana.

Il significato della parola Sila

 



di DOMENICO CANINO

C’è un filo rosso che lega i nostri attuali linguaggi a quelli degli antichi popoli del Mediterraneo: dal sumero all'accadico, dall'ebraico all'arabo, dal latino al greco e ad altre ancora. È sorprendente trovare temi e radici comuni non solo in tutte queste lingue, ma anche in quelle anglo-sassoni. Le iscrizioni su cu cui basarci per una ricostruzione del linguaggio, tuttavia, non sono moltissime.

Nel 1956, il linguista Giacomo Devoto ipotizzò che, prima delle lingue indoeuropee, nel Mediterraneo del sud si parlasse una lingua antichissima di substrato, molto diversa dalle lingue ‘nuove’ che arrivavano da Est. Chiamò questa lingua “Mediterranea” e raccolse i termini in un piccolo vocabolario. Le conoscenze sulle antiche lingue orientali si sono, oggi, ampliate, tanto che siamo in grado di far risalire all’antica lingua madre diverse parole moderne di uso comune.

Ecco un primo esempio: la parola “SI”, nelle antiche lingue del Mediterraneo (tra cui il sumero), significava “lungo e stretto, canale d’acqua, fiume” e “LA” significava “lontano”. Da ciò possiamo tentare di interpretare il vero significato della parola Sila, che non deriverebbe, così, dal latino Silva. Sila potrebbe corrispondere, secondo questa ricostruzione, al “canale d’acqua lungo e stretto che scorre lontano”. La Sila è realmente un altopiano in cui scorrono numerosi canali d’acqua. A sostegno di quanto appena scritto, vi è la moneta degli abitanti della Sila, il popolo dei Sileraioi - guerrieri mercenari che prestavano servizio presso i tiranni in Sicilia - che reca inciso un toro con la testa umana, il simbolo, cioè, di un fiume.

A ulteriore conferma del significato del toponimo, abbiamo il fiume Sele in Campania, il Sile in Veneto, il canale orientale del Nilo che si chiama Sile e innumerevoli altri fiumi con questo nome in tutto il mondo. Sila, ancora oggi, in arabo significa canale, collegamento.

I derivati sono tantissimi: il Silos è un contenitore lungo e stretto, la Silhouette, parola inglese, è una figura lunga e stretta, Slim in inglese significa snello, Siluro, è un’arma lunga e stretta.  

 

 

Antiche civiltà sul lago Cecita

 Dal Paleolitico all'età romana la Sila fu occupata da insediamenti di agricoltori e pescatori


Il LAGO Cecita è unico al mondo per il suo orizzonte non circondato da montagne. Custodisce un incommensurabile patrimonio archeologico venuto alla luce alcuni anni fa. I ritrovamenti hanno proiettato la storia antica della Calabria in uno scenario nuovo, ancora da indagare per conoscere i protagonisti e le attività della preistoria calabrese in un contesto naturale di rara bellezza e ricchezza.  

La vicenda archeologica del Cecita ebbe inizio nel 2004 in seguito alla segnalazione di un’attività di scavo non autorizzata nella zona del lago. Dopo un accurato sopralluogo effettuato nell'area lacustre dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, furono scoperti importantissimi reperti in tutta la Valle del Mucone. Il grande valore della scoperta fece ottenere un finanziamento ministeriale di 25.000 euro, con i quali è stato possibile compiere gli scavi e riportare alla luce i resti di una civiltà che abitava la zona già nel Paleolitico antico.



Il lago, che oggi è artificiale ed esiste dal secolo scorso, forse esisteva anche nel periodo a cui si riferiscono i ritrovamenti, come testimoniano non solo i pesi da pesca ritrovati, ma anche i molteplici insediamenti nella zona dovuti alla presenza di molta acqua. I manufatti ritrovati finora risalgono ad epoche diverse che coprono un lungo arco di tempo. Dal Neolitico all'antica età del Bronzo e poi fino alla tarda età romana, tutta la Sila fu occupata da insediamenti di agricoltori e pescatori. Il gran numero di fori ritrovati sul terreno ha fatto ipotizzare la presenza di pali, probabilmente conficcati nel terreno per reggere alcune capanne a forma di abside. Molti i vasi rinvenuti quasi integri durante gli scavi che presentano una singolare caratteristica: sono posti con l’apertura verso il basso. Alcuni di essi sono a bocca quadrata, simili a quelli dell’eneolitico iniziale ritrovati nel Nord Italia. La presenza di selci, asce litiche, fuseruole e macine fanno pensare che l’area sia stata frequentata da uomini che svolgevano attività agricole, domestiche e di transumanza. La fuseruola serviva a filare fibre tessili, forse provenienti dalla ginestra, mentre con la macina si trituravano le granaglie e le radici arrostite, poi trasformate in farina. Presenti anche le canne nella Sila preistorica a causa di un clima diverso da quello attuale, con temperature più elevate che favorivano il proliferare di latifoglie.



Poche le punte di frecce ritrovate finora, fissate alle aste con la pix brettia, la grande ricchezza dell’altopiano. La pece bruzia era odorosa e preziosa e nell’età romana era fondamentale per la costruzione delle navi, delle armi, ma non solo, era usata anche per sigillare gli otri di vino e per curare alcune malattie. Era la ricchezza dei Brettii, veniva estratta dal pino laricio e usata soprattutto dai Romani per i quali costituiva una risorsa molto redditizia. A questo periodo risalgono statuette e steli, ritrovate insieme a monete romane, cioè sesterzi e quirinari argentei.

Tutti i reperti sarebbero dovuti confluire nel Museo archeologico silano, a Camigliatello, come annunciato in una conferenza svoltasi quattro anni fa in Sila. Il Museo avrebbe dovuto aprire al pubblico nei primi mesi del 2010. Ad oggi, però, non sembra sia stato inaugurato alcun Museo, infatti, il Comune di Spezzano della Sila al quale abbiamo telefonato per avere informazioni in merito, è stato piuttosto vago e ci ha dirottato verso l'ex APT di Camigliatello. Ma giunti qui, non abbiamo trovato niente.

Cosenza, 17 settembre 2013

Francesca Canino


 

23 dicembre 2020

LETTERE: Invalidità, l'INPS dorme

foto dal web

Gentile giornalista,

mi rivolgo a lei perché tutti devono sapere quello che accade quando una persona con gravi patologie croniche presenta domanda per veder riconosciuta la sua invalidità. I tempi sono biblici e ciò è dovuto in parte al problema Covid e in parte alla disorganizzazione dei vari uffici preposti. 

Circa un anno fa, ho presentato domanda per un mio familiare, molto anziano e affetto da patologie invalidanti, chiedendo il riconoscimento della sua invalidità. Dopo qualche mese, dall'INPS mi telefonarono per chiedermi se avessimo certificati rilasciati dalle strutture sanitarie pubbliche relativi a visite specialistiche effettuate negli ultimi mesi. Ne eravamo in possesso e li abbiamo inviati tramite mail, sperando di accelerare i tempi. Era aprile scorso. Da allora il nulla, fino a metà settembre 2020 quando abbiamo ricevuto la visita dei medici dell'INPS. Ci dissero che ci avrebbero fatto sapere entro una settimana, come è di prassi, invece ancora siamo in attesa di conoscere l'esito della suddetta visita medica.  

Una settimana fa, ho cercato di informarmi, ma dagli uffici mi hanno risposto che del verbale non v'è traccia e di rivolgermi ad un impiegato che potrebbe sapere, e quindi rispondermi, se il verbale è stato fatto o meno. 

Ritengo sia una esagerazione che nell'era digitale servano tempi così lunghi per approntare una pratica di una facilità estrema, visto che i certificati medici in cui si attestano le condizioni di salute del mio familiare li abbiamo mandati, la visita è stata effettuata oltre tre mesi e mezzo fa, ho chiesto informazioni sollecitando il tutto e nessuno risponde. Questi disservizi sono inaccettabili per chi paga le tasse e reclama i suoi diritti, mentre dall'altra parte non si compie il proprio dovere e non si capiscono le condizioni in cui vivono gli invalidi e i propri familiari. 

Ricordo anche che per far inoltrare la domanda dal mio medico ho dovuto pagare la somma richiesta e in cambio ricevo ritardi e probabilmente riceverò anche una risposta negativa, visto che ultimamente, dopo gli scandali sulle pensioni di invalidità, si è molto restii a riconoscerle. 

E' una vergogna che pesa sulle spalle dei malati, ma tanto a chi interessa?

Lettera firmata

14 dicembre 2020

LETTERE: La dura vita di una aspirante specializzanda ai tempi del Covid-19


Ad oggi, dicembre 2020, a termine di un anno che rimarrà celebre per quella che si configura come una delle più grosse crisi sanitaria/economica/sociale/psicologica degli ultimi decenni, si ripeto, ad OGGI IN PIENA EMERGENZA SANITARIA ci sono circa 24000 MEDICI BLOCCATI DAL MINISTERO. I primi di dicembre, secondo il cronoprogramma pubblicato dal MUR, doveva avere inizio la fase di assegnazione alle scuole di specializzazione.

Per l'ennesima volta però, dopo un'estenuante giornata carica di ansia (mi capirete se si tratta di stabilire quale specializzazione fare per il resto della vostra vita e in quale città dovrete trasferirvi per i prossimi 5 anni e tra meno di un mese), i "diligenti" impiegati del MUR si sono degnati di inoltrarci un comunicato in cui rinviavano l'avvio di tale fase a data da destinarsi, sicuramente successiva al 15 dicembre. Taledecisione è dovuta al fatto che è necessario attendere il pronunciamento del Consiglio di Stato in merito al controricorso del MUR indirizzato ad alcuni aspiranti specializzandi, che a loro volta hanno fatto ricorso contro l'annullamento di una domanda del concorso.

Purtroppo questo è l'ennesimo pronunciamento per cui tutte le procedure relative al concorso stanno slittando e, per quanto si possa essere tentati di prendersela con i ricorsisti, la colpa è dell'incompetenza del MUR che, prima scrive un bando attaccabile da tutti i punti di vista (e di ciò fanno fede gli innumerevoli ricorsi susseguitisi in questi mesi), poi scrive domande inaccettabili per il concorso e infine dà adito a tutte queste procedure legali e burocratiche, rendendoci ostaggi dei tempi della giustizia italiana.

Questo concorso, che personalmente attendo da un anno e mezzo, doveva svolgersi a luglio, ma a causa della pandemia in atto è stato posticipato al 22 settembre. Da allora si sono susseguiti solo rimandi, prese in giro, cronoprogramma che sono stati puntualmente ignorati e un silenzio imbarazzante, rotto solo oggi dal ministro Manfredi, che si limita a chiederci di "pazientare" solo qualche altro giorno (si parla di almeno 13 giorni che si aggiungono a più di 2 mesi) rivolgendosi in toni paternalistici, a noi 'cari specializzandi'.

Caro ministro, purtroppo specializzandi non lo siamo ancora ed è tutto ciò che vorremmo diventare.

Altro elemento da non sottovalutare: se in base a ciò che c'è stato comunicato, apprenderemo il nostro destino presumibilmente e "inderogabilmente" (come piace dire al ministero) dopo il 15 dicembre e la presa di servizio rimane fissata per il 30 dicembre, in soli 15 giorni è logico aspettarsi una grossa mobilitazione in tutta Italia degli aspiranti specializzandi nelle rispettive sedi, con il rischio che si creino assembramenti.

Se poi si vuole rispettare ciò che ci ha appena spiegato il nostro Presidente del Consiglio, così fiero dei suoi preziosi Ministri, ed in particolare il divieto di spostarsi tra le regioni a partire dal 21 dicembre, tale grossa mobilitazione avrebbe luogo in soli 4-5 giorni, incorrendo nel rischio di violare non un semplice decreto legge, ma il semplice e paventato buon senso.

#SBLOCCATE#ILCONCORSODI#SPECIALIZZAZIONE#23MILA #MEDICIBLOCCATI #DALMINISTERO

Lettera firmata

 

   

03 dicembre 2020

LETTERE: Cosenza, si potano selvaggiamente gli alberi e i resti finiscono nei cofani di auto private

 


Come ogni anno siamo costretti ad assistere alle potature senza alcun criterio effettuate sugli alberi della città. Da inizio autunno, e fino a primavera inoltrata, Cosenza subisce gli attacchi dei tagliatori che capitozzano gli alberi grandi e piccoli situati sui marciapiedi e negli spazi verdi. Ben vengano le potature quando sono fatte seguendo le regole e controllate da agronomi competenti, ma a Cosenza, purtroppo, ciò non avviene. Abbiamo chiesto proprio alle tute arancioni chi desse loro indicazioni su come e cosa potare, quando e dove, ma la loro risposta è stata piuttosto sorprendente per noi abituati a rispettare le regole: “Nessuno ci dice cosa fare, decidiamo noi”. Il sospetto lo avevamo da sempre, ma ora è arrivata la conferma che il patrimonio arboreo cittadino è alla mercé di chiunque, armato di motosega e altri attrezzi, fa man bassa di legna e fogliame.

Sono anni che chiediamo al comune di prestare maggiore attenzione al nostro verde, mai abbiamo ottenuto risposte, anzi gli scempi si sono moltiplicati e aggravati. Adesso siamo indignati anche per le segnalazioni che in questi giorni ci sono pervenute dal centro città e da alcune vie periferiche, dove taluni cittadini hanno visto che i rami tagliati venivano sistemati in cassette di legno e messe nei bagagliai di alcune auto private. Non ci vuole molto a capire che il taglio degli alberi pubblici, di tutti cioè - e lo ribadiamo perché sembra che in città non si capisca il senso di ‘cosa pubblica’- andranno ad ardere in qualche caminetto privato. Noi non ci stiamo e denunciamo, come sempre abbiamo fatto, l’ennesimo abuso sul verde pubblico. Chiediamo nuovamente all’amministrazione comunale, sperando che non ignori come al solito il nostro appello, di vigilare sul verde e sull’operato dei potatori, e di affidarsi a un agronomo esperto per predisporre il piano di potature cittadino. Ribadiamo che si tratta di verde pubblico, quindi di tutti, e che gli alberi donano benefici immensi alle città e alla salute dei cittadini, per questo non devono finire nei caminetti, specialmente se privati.

Comitato Alberi Verdi

 

Gualtieri, Segretario Aziendale CISL Medici AO Cosenza: Lettera aperta al nuovo commissario alla sanità Longo


Egregio commissario,

nel porgerle il benvenuto in Calabria, regione che mai come oggi necessita di aiuti concreti e ‘pulizia’ in ogni suo settore, vorrei sottoporre alla sua attenzione alcune considerazioni sulla nostra sanità. Commissariata nel lontano 2010, dopo un precedente piano di gestione imposto alla giunta Loiero per limitare la voragine debitoria, la sanità calabrese è stata gestita finora da diversi commissari ad Acta e da sub commissari che hanno occupato poltrone e ricevuto consistenti compensi per riequilibrare i conti e migliorare l’offerta sanitaria. Ma, mentre i compensi sono stati regolarmente percepiti dai componenti della struttura commissariale, la contabilità e i servizi sanitari sono enormemente peggiorati, al punto che, in un momento di crisi come quello attuale determinato dalla pandemia, la Calabria, pur registrando un numero di contagi giornalieri minore rispetto a quelli di tante altre regioni italiane, è stata dichiarata ‘zona rossa’ fino a domenica scorsa. La decisione è scaturita, come sappiamo, dalle pessime condizioni in cui versano gli ospedali calabresi e la rete territoriale, dalla carenza atavica di personale sanitario, dalla mancata attuazione del piano Covid.

La pandemia ha messo in risalto le debolezze di un sistema ormai allo stremo, peggiorato, ci duole sottolinearlo, dal decennio di commissariamento. E se lo sfacelo, vissuto sulla pelle dei calabresi, è sotto gli occhi di tutti, lo stesso non può dirsi dell’operato dei vari commissari, di cui non è dato sapere ciò che hanno fatto in questi anni, a parte una marea di Decreti senza precedenti. Nessuno è a conoscenza, infatti, della reale consistenza del disavanzo sanitario dal 2010 ad oggi: pare non esistano carte ufficiali che lo certifichino, pare che i bilanci siano fermi al 2014, pare che nessuno se ne sia accorto fino a qualche settimana fa, quando la Corte dei Conti ha dichiarato che non esiste un prospetto contabile degli ultimi sei anni. Possibile che nessuno sapesse tra commissari, consiglieri, assessori, dirigenti, presidenti di regione? Perché non si sono mai posti il problema della mancanza dei bilanci?

Occorre, tuttavia, ricordare anche le verifiche del Tavolo Adduce e i controlli periodici dell’advisor Kpmg, ben retribuito dai calabresi, di cui non si è mai avuta alcuna notizia. Kpmg, infatti, avrebbe dovuto controllare nello specifico l’Asp di Reggio Calabria, ma è dovuta arrivare la Guardia di Finanza per aprire un’inchiesta. Ora è sciolta per mafia, ma ci chiediamo cosa abbia fatto l’advisor in tutti questi anni.

La nostra sensazione è che immobilismo e silenzio siano state le parole d’ordine nel periodo di commissariamento, sensazione avallata dai recenti avvenimenti, quali le grottesche affermazioni di ex commissari e i balletti dei nuovi, probabili commissari che il Ministero ha proposto nelle ultime settimane. Sembrava ormai impossibile riuscire a individuare qualcuno che avrebbe potuto mettere in ordine i conti e migliorare la sanità regionale, fin quando non è stato proposto il suo nome. Cosa sottendevano realmente le risibili affermazioni e i rifiuti dei candidati commissari? Forse non si vuole scoperchiare il gran calderone degli interessi trasversali e sporchi della sanità calabrese e anche nazionale? Sì, nazionale, quella che non è sotto i riflettori, quella dimenticata dai giornalisti impegnati solo a divulgare i misfatti della sanità calabrese, dimenticando che quest’ultima è strettamente connessa con quella delle altre regioni.

Riteniamo, ora, che non sia più procrastinabile ottenere le risposte anche alle altre domande che da tempo ci poniamo: Chi ha fatto cosa? A quanto ammonta oggi il debito sanitario? A quanto ammontava nel momento in cui la sanità calabrese è stata commissariata? Quanti milioni sono giunti in Calabria in questi anni per la sanità? Quanto è stato realmente speso e come? Quante risorse sono confluite nella sanità privata? Perché si decise di sopprimere 18 ospedali per sostituirli con tre grandi nuove strutture da realizzare in project financing con aziende lombarde? Quali le commistioni tra la sanità e le organizzazioni criminali? Saranno mai puniti i responsabili di questo disastro?

Siamo certi che il suo impegno e quello dei suoi collaboratori forniranno le risposte alle domande che oggi vi sto formulando, nell’attesa le auguro buon lavoro.

Dr. Rodolfo Gualtieri

Segretario Aziendale CISL Medici AO Cosenza

 

 

 


20 novembre 2020

L'Asp di Cosenza cerca laboratori privati per processare i tamponi e dimentica quelli pubblici


Attraverso una indagine di mercato, l’Asp di Cosenza cercherà di individuare dei laboratori «per processare fino a 1.000 tamponi/die per mesi 2 (due), finalizzati all’effettuazione delle analisi dei test molecolari per la diagnosi di infezione al virus SARS-CoV2».

Nelle ultime settimane si è registrata una crescita dei contagi, pertanto le richieste dei tamponi sono aumentate al punto che è diventato molto difficile smaltirne la processazione. L’Asp bruzia cerca di riparare agli errori commessi in questo periodo di emergenza sanitaria, ammettendo alla manifestazione d’interesse i Laboratori privati accreditati con Settori specializzati. Ad essi affiderà il compito di processare i tamponi «con prezzo massimo di € 30,00 per singolo test e numero di tamponi da processare minimo di 250 al giorno da dedicare al presente appalto… Il Laboratorio dovrà rendere disponibile il referto dell’esame inderogabilmente entro un massimo di 18 (diciotto) ore, decorrenti dal momento della avvenuta ricezione dei tamponi da processare. Detta tempistica deve essere rispettata computando anche i giorni festivi. Il Laboratorio deve garantire l’apertura della sede operativa per la ricezione dei tamponi nelle fasce orarie dalle 09:00 alle 18:00, giorni festivi inclusi». Le risposte dovranno pervenire entro il 20.11.2020.



È doveroso ora chiedersi perché durante l’estate non è stato approntato un piano per fronteggiare la seconda ondata dei contagi, potenziando il personale e la strumentazione. Il piano avrebbe evitato i disagi degli ultimi giorni, il ritardo nel conferimento dei tamponi e le gravi ripercussioni per la sanità pubblica. Il dubbio che si sia voluto creare il problema in modo da giustificare il conferimento della processazione dei tamponi ad un laboratorio privato, non è del tutto infondato. Vediamo perché.

Il laboratorio dell’ospedale di Cosenza processa 300/350 tamponi al giorno provenienti da tutta la provincia, precisamente dalle case di cura private, dai vari laboratori, dalle Rsa. Un aiuto considerevole sarebbe potuto giungere dai laboratori degli ospedali di Castrovillari e di Corigliano-Rossano, che sono invece rimasti inattivi. Rossano ha iniziato a processare i tamponi solo un paio di giorni fa e non è ancora a regime perché mancano personale e reattivi. Castrovillari è ancora ferma, nonostante abbia una strumentazione adatta a processare i tamponi. I suddetti laboratori sono rimasti inspiegabilmente chiusi e hanno lasciato all’Annunziata un carico di lavoro enorme, fin quando non si è inceppato lo strumento con cui si processavano i tamponi urgenti e il sistema è andato in tilt. I tamponi sono stati, quindi, mandati a Bari.

Ci sarebbero state, tuttavia, delle valide alternative all’indagine di mercato dell’Asp: pare infatti che l'Unical si fosse offerta a eseguire un centinaio di tamponi a costo zero, da sommarsi ai 280 tamponi al giorno che avrebbe potuto processare Rossano, ai 100 di Castrovillari e ai 300/350 dell’Annunziata, per un totale di circa 680 tamponi giornalieri senza alcuna spesa. L’Asp di Cosenza ha, invece, preferito optare per una manifestazione di interesse. Il laboratorio a cui sarà affidato il servizio potrà processare fino a 1000 tamponi al giorno per due mesi, con un costo complessivo di 1.800.000 euro. Le strutture pubbliche del cosentino potrebbero processare fino a 680 tamponi al giorno a costo zero.

Siamo di fronte al solito spreco di risorse pubbliche, si deve solo capire se c’è stata l’incapacità di redigere un piano o se questo non è stato fatto per favorire qualche laboratorio privato.

Cosenza, 20 novembre 2020

© Francesca Canino

 

18 novembre 2020

Carenza di personale sanitario all'ospedale di Cosenza, il commissario Panizzoli assume un fisico

 


L’atavica carenza di personale sanitario all’ospedale di Cosenza è un fatto noto e dibattuto, rimasto tuttavia senza soluzioni, nonostante i periodici gridi di allarme provenienti dagli stessi sanitari, dai sindacati, dai cittadini. Oggi, in piena pandemia determinata dalla SARS-CoV2-19, il problema si è acuito, causando gravi disagi ai pazienti che si sommano alla mancanza di spazi idonei. E mentre si attendono le assunzioni di medici, infermieri e Oss, il commissario straordinario dell’Azienda ospedaliera bruzia, Giuseppina Panizzoli, con delibera n. 00221 del 16/11/2020, pubblicata sull’Albo pretorio dell’azienda, assume «a tempo pieno ed a tempo indeterminato dirigente fisico mediante utilizzo graduatoria concorsuale dell’A.O. Pugliese Ciaccio approvata con provvedimento n. 472 del 5.11.2018».

In premessa si apprende che «con deliberazione n. 55 del 15.04.2020 questa Azienda ha approvato il Piano Triennale del Fabbisogno del Personale ed il Piano delle Assunzioni anno 2020; che la Struttura Commissariale per il Piano di Rientro della Regione Calabria, con DCA n. 78 del 24.04.2020 ha preso atto del predetto PTFP ed ha autorizzato l’A.O. di Cosenza alle assunzioni del personale in esso previste per l’anno 2020 e l’anno 2021; che nel Piano delle assunzioni per l’anno 2020 è stata prevista, tra le altre, la figura di un dirigente fisico; che non essendo presenti graduatorie concorsuali valide agli atti di questa Azienda, è stata fatta richiesta all’A.O. Pugliese Ciaccio di Catanzaro di utilizzare la graduatoria valida approvata dalla stessa Azienda con provvedimento n. 472 del 5.11.2018; … che entro il termine indicato ha espresso disponibilità la sola dott.ssa Bonetti Ilaria, utilmente collocata al 4° posto nella graduatoria concorsuale; che, questa Azienda ha concordato, con la dott.ssa Bonetti, la data del 16.02.2021 quale data di immissione in servizio; che ai fini del necessario impegno di spesa dovrà procedersi con successivo atto gravando il costo per tale assunzione sul Bilancio dell’anno 2021».

La delibera è stata firmata dal commissario straordinario Panizzoli, dal direttore amministrativo Laura Coppola e dal direttore sanitario f.f. Francesco Zinno.

L’assunzione di un fisico da graduatorie altrui all’Hub di Cosenza, in periodo pandemico e a fronte di un risicato numero di sanitari che si sottopongono a turni massacranti, è per la dirigenza ospedaliera un atto di primaria importanza, mentre l’UOC di Otorinolaringoiatria e di Chirurgia pediatrica sono senza primario, Terapia intensiva pediatrica è stata chiusa per mancanza di personale e tutti i reparti sono in sofferenza. Equivale a dire che la nave affonda e si lucidano gli ottoni.

Cosenza, 18 novembre 2020

© Francesca Canino

 

17 novembre 2020

LETTERE: La sanità calabrese sull’orlo del precipizio. Prima di sprofondare si tenti una soluzione alternativa

 


Alla luce della rinnovata attuale emergenza sanitaria, della quale al momento non si intravede la conclusione, verranno montati gli ospedali militari da campo. Ma l’urgenza di realizzare nuovi posti letto dedicati ai malati covid 19 non può essere definitivamente soddisfatta nei prossimi mesi “solo” da questi presidi provvisori. Come si può pensare, infatti, di ricoverare nella stagione invernale malati gravissimi sotto le tende pensate per le zone di guerra, in una regione come la Calabria che per le sue caratteristiche climatiche presenta in larga parte del suo territorio inverni molto rigidi?

Anche da un punto di vista economico l’operazione non convince per nulla. Il presidente di Confagricoltura, in una recente intervista resa a “Il sole 24ore“ afferma che “la crisi del commercio internazionale non sarà di breve durata. Per salvaguardare l’attività economica e l’occupazione è necessario riconquistare gli spazi oggi occupati dalle importazioni”, “dobbiamo far crescere la produzione agricola italiana da destinare alla trasformazione”. Non possiamo ignorare questi appelli e rischiare di far seguire ad una crisi sanitaria una crisi alimentare.

Nel territorio della provincia di Cosenza insistono diversi presidi ospedalieri (nei comuni di Castrovillari , Trebisacce, Corigliano-Rossano, San Marco Argentano, Lungro, Cariati) che, all’interno di un piano “ambizioso” e “faraonico” di nuovi presidi sanitari già finanziati, vengono progressivamente dismessi e sostituiti da un nuovo manufatto ancora tutto da realizzare che potrebbe essere messo in uso solamente tra diversi anni: il cosiddetto Ospedale della Sibaritide. A nostro avviso, Il nosocomio della Sibaritide si configura come una riproposizione di vecchie logiche basate sulla costruzione di nuove strutture in sostituzione di quelle preesistenti, senza tenere in nessuna considerazione la colata di cemento che si abbattera’ su centinaia di ettari di terreno fertile e vocato all’agricoltura di qualita’. Questa progettazione contrasta anche con la fragilità idrogeologica del territorio calabrese, particolarmente nella zona della Sibaritide dove ancora non sono stati riparati i danni alle colture, agli insediamenti urbani e al parco archeologico dovuti all’imponente alluvione del 12 agosto 2015.

E’ evidente, dunque, che l’unica scelta razionale è l’utilizzo dei fondi e della gara di appalto, anche con una transazione tra la stazione appaltante e la ditta appaltatrice del nuovo Ospedale della Sibaritide per la riapertura immediata e la riqualificazione dei sottoelencati Ospedali, allo scopo di realizzare un servizio sanitario territoriale adeguato alle indicazioni e alle esperienze emerse nella prima fase pandemica: Ospedale di Castrovillari, Ospedale di Trebisacce, Ospedale di Corigliano-Rossano, ospedale di San Marco Argentano, Ospedale di Lungro, Ospedale di Lamezia Terme,

di Paola e Praia a Mare. Considerazioni analoghe si possono ripetere in riferimento alla realizzazione dell’ospedale della Piana dove si sta ripercorrendo il sentiero che, negli anni settanta, sempre nella piana di Gioia Tauro, portò a programmare il “V centro siderurgico“ prima e a realizzare il Porto dopo, in una zona ricca di pini e eucalipti, agrumeti e uliveti secolari con una produzione agricola di pregio lasciando un territorio devastato, trecento ettari di terreno sbancati, 140 ettari di strade. e - a imperitura testimonianza dello spreco - il porto di Gioia Tauro. Anche in questo caso si propone di utilizzare fondi e gara di appalto del nuovo ospedale della Piana per utilizzare a pieno regime e velocemente, riqualificandoli i seguenti nosocomi: Ospedale di Siderno, Ospedale di Palmi, Ospedale di Locri, Ospedale di Polistena. Quanto esposto si auspica possa rientrare in una seria ed efficace pianificazione territoriale di cui la Calabria, come dimostrano le attuali condizioni urbanistiche e ambientali, resta in attesa di una decisiva e definitiva attivazione. Significa riorganizzare il territorio, le aree interne, le comunità, gli ospedali ad alta specializzazione rispetto agli ospedali Zonali, e ai distretti socio-sanitari, occorre considerare la mappa della Calabria: 1) il Pollino, 2) l’alto Jonio, 3) l’alto tirreno, 4) il Cosentino, 5) il Crotonese, 6) il Lametino, 7) il Catanzarese, 8) il Vibonese, 9) la Locride, 10) la piana di Gioia Tauro, 11) il Reggino; considerare: le popolazioni insediate, la densità, la viabilità, i trasporti, ecc. vuol dire tenere in debito conto le effettive esigenze del territorio e delle popolazioni insediate. Il Covid, non può rappresentare il blocco di tutte le altre cure mediche, pertanto vanno individuate strutture sparse nei vari territori, utilizzando presidi già esistenti, possibilmente baricentriche e tali da costituire una rete “aggiuntiva e collegata” con il sistema sanitario, non si può pensare a tendopoli, perché non si ha il coraggio di toccare interessi di parte, o di istituire presidi che purtroppo, devono resistere nel tempo e garantire la cura ad altre malattie, parimenti pericolose per il genere umano.

16 novembre 2020

INU Calabria


WWFF

Associazione Medici cattolici

Associazione scientifica biologi senza frontiere

15 novembre 2020

Lavori infiniti al Mariano Santo, ecco i motivi


Oggi avremmo avuto a disposizione 120 posti letto in più se il Mariano Santo non fosse stato chiuso nell’ormai lontano 2015 per diventare un cantiere infinito. Posti letto che sarebbero stati di grande aiuto per fronteggiare l’emergenza sanitaria degli ultimi mesi, dislocati appena fuori città, poco distanti dall’Hub cosentino che avrebbe potuto continuare a svolgere le sue solite funzioni. Invece, l’ex sanatorio è ancora ‘sotto i ferri’ degli operai che effettuano, almeno sulla carta, lavori di ristrutturazioni e adeguamento dal 2011, con evacuazione dello stabile nel maggio 2015. Una piccola “fabbrica di San Pietro”, come suol dirsi alle nostre latitudini, che non ha alcuna intenzione di riaprire i battenti, nonostante si lavori a singhiozzo, si approvino varianti su varianti, si investano risorse pubbliche. Ci sfuggono le logiche sotterranee che, delibera su delibera e determina su determina, rimandano di anni la riapertura di un importante presidio ospedaliero, pur essendo nota la carenza di strutture sanitarie e di posti letto in tutta la regione.

La determina di agosto 2020

Forse una risposta potrà giungere dalla disamina di un atto rinvenuto sull’albo pretorio dell’azienda ospedaliera di Cosenza. Si tratta della determinazione n. 00854 del 10/08/2020, adottata dal direttore della UOC “Gestione Tecnico Patrimoniale” ing. Amedeo De Marco, avente ad oggetto: “Lavori di Ristrutturazioni e Adeguamento Normativo presso il Presidio Ospedaliero Mariano Santo di Cosenza” - Approvazione Perizia Di Variante Corpo 9 P.O. Mariano Santo. L’atto ripercorre le tappe dei lavori che hanno interessato l’ex sanatorio dal 2011 a oggi, si rivela dunque un utile compendio per cercare di dipanare l’ingarbugliata matassa degli appalti, delle indagini strutturali, delle sospensioni dei lavori. Ma procediamo con ordine.

 


Le tappe dei lavori, dal 2011 al 2020

Il 28 dicembre 2011, l’Azienda ospedaliera di Cosenza dispose l’aggiudicazione dell’appalto relativo ai Lavori di “Ristrutturazione ed Adeguamento Normativo presso il Presidio Ospedaliero Mariano Santo di Cosenza”, denominato AOCS2, all’Impresa ATI Consorzio AGP-ICM Srl - Aerclima srl, successivamente riunite in Consorzio GICO srl e, contestualmente, approvò il Quadro economico (totale quadro economico 12.430.000,00). I lavori furono consegnati in data 26.10.2012 e il 13.02.2013, completate le previste indagini strutturali, fu stipulato il relativo contratto d’appalto con la Ditta aggiudicataria. La consegna definitiva dei lavori avvenne il 29.7.2014. Il 19.05.2015 i lavori oggetto dell’appalto principale – si legge nella determina - furono sospesi per “sopravvenute cause impreviste ed imprevedibili emerse in corso d’opera”, per le quali si rendeva necessaria la redazione di una Perizia di Variante.

Dalle cronache del mese di febbraio 2015 emerge che: “Con una relazione inviata all'Ufficio tecnico dell'ospedale, la ditta che stava eseguendo i lavori di ristrutturazione del Mariano Santo (febbraio 2015) informò l'azienda ospedaliera che alcune travi dell'edificio erano a rischio crolli, quindi la struttura risultava pericolante
(http://francescacanino.blogspot.com/2020/07/mariano-santo-uno-scandalo-della-sanita.html).

A maggio 2015 l’edificio fu evacuato e nella determina n. 00854 del 10/08/2020 si legge che i lavori furono sospesi il 19.05.2015 perché era necessaria una perizia di variante, approvata il 18.10.2016 e redatta dal Consorzio Telesio, concernente la “Ristrutturazione ed Adeguamento Normativo presso il PO Mariano Santo”.

Disposte altre modifiche nel 2017

E il 17/01/2017, per cause impreviste e imprevedibili al momento della redazione della progettazione esecutiva, il Direttore Generale dell’Ao disponeva alcune modifiche da apportare, viste le nuove esigenze sopravvenute alla data di redazione della progettazione esecutiva delle opere in oggetto. Solo il 4/12/2018, il RUP approvava la bozza del progetto architettonico relativa alla riprogettazione, dando effettivo inizio alla progettazione completa della perizia di variante. Alla suddetta approvazione seguirono una serie di verbali, pec, proposte, autorizzazioni, trasmissioni di elaborati, comunicazioni, relazioni di verifica, pareri.

Agosto 2020

In data 03/08/2020 il RUP, ing. Amedeo De Marco, validò la Perizia di Variante relativa alla realizzazione del Corpo 9 del P.O. Mariano Santo di Cosenza, specificando che le opere riprogettate con la perizia di Variante «non generano nuove spese per la stazione appaltante ma realizzano un’economia di € 49.638,87 al lordo del ribasso d’asta… che la realizzazione delle variante in oggetto deve essere affidata alla stessa Impresa esecutrice dell'appalto principale GICO srl, in quanto ricorrono le condizioni di cui all’art 311 co 4 DPR 207/2010». Da agosto ad oggi i lavori pare siano come al solito fermi.  

 


Ricapitolando: Nel 2011 furono appaltati alcuni lavori per mettere in sicurezza, sotto l’aspetto statico, alcuni plessi del Mariano Santo. Nella fase di indagine, però, sorsero alcuni problemi con le travi e con i montalettighe. Si decise, pertanto, di demolire i corpi 4 e 5 del complesso del Mariano Santo e di ricostruirli. Ma questo lavoro non poteva essere realizzato dall’impresa originaria perché l’oggetto dell’appalto era diverso. La nuova progettazione fu quindi affidata ad una società denominata ‘Consorzio Telesio’, consociata della Regione, la cui determina di approvazione per l’avvio lavori risale allo scorso agosto e stabilisce che i lavori vengano affidati alla ditta originaria, GICO.

In realtà, pare che i lavori non siano andati avanti in tutti questi anni non solo perché non si poteva intervenire sui corpi 4 e 5, ma anche perché si dovevano montare montalettighe adeguati e gli spazi risultavano angusti. Sorge a tal punto un dubbio: il progetto appaltato era effettivamente esecutivo?

È lecito ritenere alla luce dei fatti un difetto delle necessarie indagini preventive ed è doveroso chiedersi se le perizie (e i nuovi prezzi) siano state fatte perché il progetto potrebbe essere stato non adeguato. L’eccesso di perizie e di atti contrattuali aggiuntivi, contenenti la formulazione di nuovi prezzi non presenti nel contratto d’appalto, uniti alle sospensioni dei lavori alquanto prolungate (la durata complessiva della sospensione dei lavori non può superare i sei mesi secondo il Regolamento dei Lavori Pubblici, oltre questo termine l’impresa può rescindere il contratto e chiedere i danni) fa supporre che andava lentamente modificandosi l’oggetto originario dell’appalto, introducendo categorie di lavori e prezzi più remunerativi a fronte del praticato ribasso del 20% circa sul prezzo originale di contratto.

Sarebbe ora importante sapere, viste tutte queste traversie e i fondi spesi, quando si pensa di completare l’opera e di rimetterla in funzione. Servirebbe a sgravare l’Annunziata e ad offrire assistenza sanitaria ai tanti pazienti che oggi sono ammassati nel Pronto soccorso bruzio.

 

Cosenza, 14 novembre 2020

©Francesca Canino 

12 novembre 2020

Strane combinazioni: Panizzoli non spende fondi per reclutare personale sanitario, Occhiuto emana ordinanza per reclutare personale sanitario

 


Da un comunicato stampa diramato oggi da Giuseppe Mazzuca, Assemblea nazionale PD, si apprende che: «Il Piano di assunzioni che avrebbe consentito alla dottoressa Panizzoli di “gestire la seconda ondata pandemica” è infatti in realtà un bluff, un’operazione di maquillage mediatico smentita ufficialmente in un documento firmato dalla Regione di cui siamo entrati in possesso. È il verbale di una riunione tra il dipartimento Tutela della salute e l’Azienda ospedaliera di Cosenza in cui possono leggersi alcuni passaggi grotteschi ma illuminanti relativamente ai reclutamenti effettuati e alla spesa realmente sostenuta. Alla Regione risulta che l’Annunziata non ha utilizzato tutte le risorse disponibili (assegnategli con circolare n.124025) e pari a 2.850.500,00€ ma soltanto una piccola parte: nello specifico 557.349,68€ per 6 medici, 26 infermieri, 2 tecnici e 4 biologi e “invita” l’Azienda a voler procedere ad utilizzare le risorse già assegnate e disponibili. Numeri ben diversi da quelli sbandierati dalla Panizzoli e che difficilmente potrebbero essere sufficienti per realizzare all’interno di un ospedale hub un Piano di emergenza anti-Covid. Sta di fatto che siamo dinanzi all’ennesima bocciatura di una manager che non ha i titoli per stare al suo posto… Non siamo più disposti a tollerare le inadempienze e i ritardi della manager Panizzoli».

L’ospedale di Cosenza, dunque, ha utilizzato solo una parte delle risorse assegnategli per rivedere il piano di assunzioni e fronteggiare la seconda ondata pandemica con più personale. La Regione ha pertanto invitato, dopo una riunione svoltasi il 3 novembre scorso, l’Azienda ospedaliera di Cosenza a ‘spendere’ il rimanente dei fondi, circa 2.300.000 euro. 

E mentre il morbo infuria e la notizia dei milioni da utilizzare diventa di pubblico dominio, il sindaco di Cosenza emana un'ordinanza affinché l'ospedale assuma nuovo personale. Con le risorse ‘risparmiate’ in questi mesi dal commissario dell’Ao Panizzoli, l'ospedale può disporre, infatti, di una cospicua somma da spendere. Così, senza perdere tempo, il sindaco ordina l'assunzione di personale sanitario all’Annunziata, esorbitando dai suoi limiti e giustificando il suo provvedimento come un atto dovuto in un momento di emergenza sanitaria. 

Ricapitolando: il commissario Panizzoli, da marzo ad oggi, non ha speso oltre due milioni di euro per aumentare il personale sanitario ospedaliero e, non appena la notizia si è diffusa, il sindaco Occhiuto ha ordinato di assumere immediatamente personale. Solo una coincidenza? 

Non è, tuttavia, la prima volta che il sindaco di Cosenza emana un’ordinanza del genere: nel 2014 Occhiuto emise un provvedimento simile che fu poi annullato dal Tar. I giudici fecero rilevare un difetto di potere, poiché in regime di Piano di rientro sono ben altri gli organismi che dovrebbero assumere siffatti provvedimenti. Il comune fu condannato a pagare 3500 euro per ognuna delle parti costituite in giudizio, più le spese legaliNon vorremmo che a rimetterci anche questa volta fossero i cittadini e gli ammalati.

Cosenza, 12 novembre 2020

© Francesca Canino

10 novembre 2020

Il sindaco di Cosenza ci riprova a ordinare l’assunzione di personale sanitario, non gli è servita la batosta di cinque anni fa

 


 

Oggi il sindaco Occhiuto ha fatto visita all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza, in affanno per l’esaurimento dei posti letto da destinare ai pazienti Covid e per la carenza cronica di personale sanitario. Quest’ultimo problema ha spinto il sindaco a emanare un’ordinanza contingibile e urgente per imporre all’Azienda ospedaliera di assumere medici, infermieri, Oss, tecnici. Una trovata che ricorda quella di qualche anno fa, clamorosamente fallita quando il Tar annullò un’ordinanza di Occhiuto emessa per gli stessi motivi.

Facciamo un salto indietro: il 4 luglio 2014, il sindaco Occhiuto emise un’ordinanza contingibile e urgente che ordinava alla Direzione generale dell’Azienda ospedaliera di Cosenza «di provvedere immediatamente, nelle more ed anche in assenza del superamento del temporaneo blocco del turn-over, all’ulteriore prosieguo dell’avviato procedimento per il reclutamento di n. 4 unità di personale medico per il Pronto Soccorso e n. 3 unità di personale medico per l’U.O.C. di Anestesia e Rianimazione, garantendone la più celere conclusione, in sintonia con i principi fissati dalla legge n. 241 del 1990, in considerazione della assoluta eccezionalità della prospettata situazione attuale di grave pericolo che involge l’intera collettività locale».

Paolo Maria Gangemi, allora direttore generale dell’Azienda ospedaliera bruzia, prese atto del provvedimento e predispose da un lato le graduatorie e dall’altro propose ricorso dinanzi al Tar in autotutela.

L’ordinanza di Occhiuto fece molto discutere i vertici della sanità regionale e cosentina, oltrepassando in breve i confini degli ambienti sanitari per investire la società civile. Il quesito che in molti si posero era: “Può il sindaco ordinare delle assunzioni, sebbene per un tempo limitato e in presenza di forti criticità? Ovvero: può un sindaco ordinare a un ente autonomo, quale è la Regione da cui dipende l'ospedale, di assumere personale a carico della stessa Regione, tra l’altro sottoposta a Piano di rientro?”.

L’allora sub commissario per il Piano di rientro, Luciano Pezzi, intimò al direttore generale dell'ospedale, Paolo Gangemi, di non ottemperare all'ordinanza di Occhiuto. Gangemi, dal canto suo, affermò testualmente che avrebbe proceduto con le assunzioni, ma avrebbe, allo stesso tempo, impugnato l’ordinanza dinanzi al Tar. Così fece.

Diversi mesi dopo, esattamente a maggio 2015, i giudici amministrativi si pronunciarono annullando il provvedimento del sindaco. Nel giudizio, l’azienda ospedaliera era rappresentata dall’avvocato Paolo Siciliano, mentre il comune da Benedetto Carratelli. Il Tar giunse alla conclusione che il provvedimento del sindaco Occhiuto non fosse legittimo, facendo anche rilevare un difetto di potere, poiché in regime di Piano di rientro sono ben altri gli organismi che devono assumere provvedimenti del genere. L’iniziativa del primo cittadino fu, dunque, censurata dal Tar, che condannò il Comune a pagare 3500 euro per ognuna delle parti costituite in giudizio, più le spese legali. Come sempre, a farne le spese sono i cittadini, ma ora non è più tempo di commettere errori che peseranno sulle tasche dei cosentini, c’è un precedente, non si sbagli di nuovo.

Cosenza, 10 novembre 2020

© Francesca Canino