‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

27 dicembre 2020

La scoperta dei Sileraion, gli antichi guerrieri della Sila

  

 

Moneta dei Sileraioi con scritta SILA e toro con testa umana che rappresenta un fiume


di DOMENICO e FRANCESCA CANINO

 

IN UN'ASTA numismatica indonesiana svoltasi pochi anni fa, è comparso un preziosissimo reperto che apre uno spiraglio sui misteriosi 'Sileraioi', gli antichi guerrieri della Sila. Mai era stato trovato il nome 'Sila' in alcuna fonte storica di epoca precedente al 138 a.C., quando la più antica attestazione del toponimo Sila, intesa come zona montana interna della Calabria, comparve in una notazione di Cicerone in merito a una causa tra boscaioli.

Il reperto battuto all'asta è una moneta coniata intorno al 357 a.C. a Siracusa per pagare alcuni mercenari che combattevano per la città; questo il motivo per cui sui coni appariva il nome del popolo combattente. La moneta reca inciso sul dritto una protome di toro con volto umano e la scritta 'Sileraion'. Sul retro è visibile un guerriero con scudo e lancia che corre verso destra e la scritta chiara ed inequivocabile 'Sila' in lettere greche. L'icona della protome di toro si ritrova anche su molte monete greche coeve e simboleggia la forza di un fiume, mentre la figura del guerriero che corre con il gonnellino, con lo scudo ovale di foggia italica e la lancia, ci racconta qualcosa del costume di questi combattenti, così forti e coraggiosi da essere ingaggiati come mercenari in Sicilia, al servizio dei potenti tiranni dell’epoca. 

La scritta Sila sulle monete non era mai stata ritrovata in maniera completa e leggibile. Spesso si leggeva solo 'Si' o solo 'Sil', scritte che avevano fatto attribuire le monete a presunti mercenari provenienti dal fiume Sele in Campania, pensando che la scritta completa fosse 'Sile' o 'Seile'. Il ritrovamento di questo esemplare finalmente completo e leggibile, fuga ogni dubbio: l’etnico era 'Sileraion' (come Brettion era l’etnico dei Brettii) e il nome della regione da cui provenivano è chiaramente indicato in Sila.

L’equivoco sulla possibile provenienza di questi mercenari dalla regione del fiume Sele, nacque nel 1800 con il ritrovamento delle monete di Paestum nel V sec. a.C. in cui si credette di leggere il toponimo 'Seile', con riferimento al fiume campano, ma i successivi studi del 1909, ad opera dello studioso americano Kluge, e del 1965 di Margherita Guarducci, tolsero ogni dubbio. Infatti, sulle monete di Paestum c’era scritto chiaramente Megyl (forse il fondatore della città di Paestum) e non Sil, dunque non si ha prova dell’esistenza di questo toponimo, in quel tempo, nella regione salernitana, mentre la moneta in questione prova l'esistenza, nel 357 a.C., del toponimo Sila e dell’etnico Sileraion.

Esisteva, dunque, un popolo nella Sila che dalla grandiosa foresta traeva il suo nome e nella quale viveva forse da un'epoca antichissima, come attestano i numerosi reperti archeologici rinvenuti in tutta la Valle del Mucone. Negli anni scorsi sono stati effettuati alcuni scavi e riportati alla luce i resti di una civiltà che abitava la zona già nel Paleolitico. Le buone condizioni ambientali hanno assicurato una continuità abitativa protrattasi fino ai giorni nostri.

 

Il traffico clandestino dei reperti archeologici

 

LA presenza di un'antica moneta della Sila in un'asta indonesiana apre alcuni interrogativi sul commercio dei reperti archeologici, che ha assunto dimensioni internazionali allarmanti. Alimentato da potenti lobby che impongono le leggi del mercato fissando le regole della domanda e dell'offerta, ogni anno sono migliaia i reperti trafugati che arriscono le grandi organizzazioni criminali. Un mercato clandestino sostenuto dai grandi collezionisti internazionali e da alcune istituzioni museali straniere, compiacenti e spesso committenti.

Il traffico dei beni archeologici è complesso e organizzato, interessa soprattutto le aree più indigenti perchè sfrutta le condizioni di bisogno. Bisogna distinguere i saccheggiatori occasionali da quelli che agiscono con mezzi appropriati, spesso distruttivi di reperti e contesti. I primi sono quasi sempre agricoltori o scavatori della domenica e di recente la tipologia dello scavatore in Italia ha assunto i tratti degli immigrati che vivono e lavorano nella penisola, visto l'incremento della manovalanza dell’est europeo. La seconda categoria è quella dei predatori 'professionisti' che conoscono il mercato dell'illecito in cui collocano i reperti attraverso vere e proprie aste o vendite organizzate, coadiuvati da trafficanti nazionali ed esteri.

La merce passa velocemente dal produttore di beni archeologici - in genere i paesi del Mediterraneo - al consumatore, cioè i paesi ricchi, in cui esistono case d'asta, collezionisti e musei in grado di investire grandi capitali per un'opera d'arte, spesso italiana.

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