‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

30 giugno 2020

Ospedale di Cosenza, il disastro dell'atto aziendale e l'inadeguatezza dei manager cittadini e regionali


Qualche tempo fa è stato pubblicato un ottimo articolo, un’analisi abbastanza impietosa, in grandissima parte condivisibile, del nuovo Atto Aziendale dell’A.O. di Cosenza. Ne veniva fuori un quadro a dir poco devastante non solo e non tanto per il documento in sé, ma soprattutto perché delineava l’assoluta pochezza, se non la perniciosità, dell’attuale management. 

Adottare un nuovo Atto Aziendale solo ed esclusivamente per effettuare un’attività che nel regno animale viene indicata come “marcatura del territorio”, è l’equivalente della celeberrima frase di Alberto Sordi, ne Il Marchese del Grillo, “io so’ io e voi non siete un c….”, questa volta indirizzata a tutti i cittadini della provincia di Cosenza. 

L’Atto Aziendale è, per un’Azienda Sanitaria, l’equivalente del Piano Industriale di una qualsiasi azienda produttiva. Dovrebbe delineare obiettivi e modalità per raggiungerli; strategie per abbattere i costi migliorando o, almeno, mantenendo qualità e numerosità dei servizi; tagliare ciò che risulta non necessario, mantenendo ed implementando quello che serve ai suoi clienti. Tutto ciò tenendo ben presente che, un’azienda sanitaria, nel computo dell’economicità delle sue attività, deve tener presente in più anche i costi sociali determinati dalle sue scelte e non solo il suo bilancio interno. Oggi, nulla di tutto ciò. Non c’è analisi dei fabbisogni, non c’è visione e neppure progettualità per il futuro. Mero gioco delle tre carte dove l’asso lo trova solo e sempre il compare di turno. 

A questo disastro provinciale riesce a dare anche una valenza regionale l’azione compiuta dal Commissario Cotticelli e dalla sua vice Crocco. Tutto il loro gran da fare per correggere e salvare un Atto Aziendale irricevibile, si è risolto in una delibera integrativa da parte del management dell’A.O. di Cosenza che, definire di semplice maquillage, è un’offesa all’estetista della periferia della solita Voghera. 

Se si esclude il furto perpetrato ai danni dell’U.O.C. di Oculistica della “Banca regionale trapianto ed innesti corneali”, da sempre eccellenza di questa U.O., il resto è solo cambio di denominazioni a contenuti invariati. Quel documento, ovvero l’Atto Aziendale dell’A.O., spacciato per necessario e risolutivo per il buon funzionamento dell’Hub di Cosenza, è rimasto fermo quattro mesi per queste offensive banalità. A questo punto, le possibili ragioni che hanno portato a questa perdita di tempo ed alla odierna integrazione sono due: la prima è che, vista l’assoluta inutilità per la razionalizzazione delle attività, ci si poteva permettere di perdere tempo per fare i “furbetti” e far finta di fare modifiche senza farlo; la seconda, è che risponde veramente alle prescrizioni dell’ufficio del Commissario ad Acta. Nel primo caso si tratterebbe della certificazione dell’inadeguatezza di un management aziendale che doveva essere rimosso già da tempo. Nel secondo, visti i quattro mesi persi per la valutazione di questo nulla assoluto, avremmo la certificazione che anche l’Ufficio del Commissario ad Acta è assolutamente inadeguato

Alla fine della fiera, in qualunque caso, la sanità cosentina e regionale deve assolutamente cambiare rotta e timonieri se vuole ancora sperare di risollevarsi da una situazione non più gestibile da nessuno, calabrese o meno.

 

         Dr. Rodolfo Gualtieri                                                                     Dr. Luigi Ziccarelli

Segretario Aziendale CISL Medici                                                  Segretario Aziendale ANAAO

 

Considerazioni a margine

Modificato in notturna, secondo la tendenza nazionale, l’atto aziendale dell’Azienda ospedaliera di Cosenza, è stato licenziato dalla Struttura Commissariale agli inizi di marzo scorso e rivisto alcune notti fa. Ecco le discutibili variazioni su un testo già contestato:

UOC Accettazione, Accoglienza, Attività Sanitarie: viene cambiato il nome e diventa “Spedalità, Accoglienza, Specialistica Ambulatoriale e A.L.P.I” al fine di mantenerla all’interno dell’ospedale e giustificare, così, un Dipartimento del genere o per creare un primariato per chi si è sempre interessato di ALPI. Ulteriore conseguenza, non si sa fino a quanto non voluta, è stata dare risposta alla domanda su quali dovessero essere i criteri per diventarne Direttore. C’è praticamente già il nome. Nella foga del maquillage, è scappata quella “Specialistica Ambulatoriale” che nulla ha a che vedere con l’AO, essendo di competenza dell’ASP.U.O.C. Terapia del dolore, la quale, su richiesta del suo Direttore e in coerenza con le linee programmatiche della Conferenza Stato-Regioni del 2017, passa dal Dipartimento dell’Emergenza a quello Onco-Ematologico. Ma, è d’obbligo ora chiedersi: perché fino ad oggi andava bene la sua errata localizzazione nell’Emergenza e ora finisce nell’Onco-Ematologico? Sarà per evitare contrasti di leadership nel Dipartimento Emergenza? Perché questa stessa Conferenza Stato-Regioni viene tenuta in considerazione per la Terapia del Dolore e non per la Terapia Intensiva Pediatrica che, dove c’è (e c’è, vedi DCA 89/2017), dice debba essere gestita in locali e personale diversi da quelli dedicati agli adulti?

U.O.S.D. Banca Regionale Trapianto Innesti Corneali (esistente da quasi 20 anni come U.O.S. all’interno di Oculistica, viene costituita come dipartimentale per rispondere al DCA 62 del 06/03/20, aggiornamento ed integrazione del DCA 112/16, posteriore all’adozione di questo Atto Aziendale del 05/03/20). Anche qui due pesi e due misure con la TIP. Non se ne comprende, poi, il suo inserimento nel Dipartimento dei Servizi e non in quello di Neuroscienze (dove è allocata Oculistica) o Chirurgico Polispecialistico insieme ad altre chirurgie. Essendo in un Dipartimento diverso da Oculistica, quali medici vi afferiranno? Il bando di ammissione in una struttura Dipartimentale, dovrebbe essere intra dipartimentale. Anche qui, sarà forse solo accentramento di potere, da più tempo inseguito dal Direttore del Dipartimento dei Servizi, più che razionalizzazione?

Dipartimento Materno-Infantile Area Nord, sparisce la dicitura Area Nord “al fine di distinguere questo Dipartimento gestionale Aziendale da quello funzionale trasversale interaziendale tra AO Cosenza e ASP Cosenza” (citazione dalla Delibera). Peccato che nel testo dell’articolo 35 “Dipartimento Materno-Infantile”, tranne il nome, rimane tutto com’era, continuando a considerare interaziendale lo stesso Dipartimento e mantenendo all’interno tutte le strutture dell’ASP compresa Neuropsichiatria Infantile ed i Consultori Familiari.

Dipartimento del Governo Clinico cambia solo nome e diventa “Dipartimento di Staff” in aggiunta alle strutture di Staff che rimangono.

UOC Neurologia con Stroke Unit di II livello sparisce dalla denominazione “Stroke Unit di II livello” perché già presente una UOS, con lo stesso nome, sotto ordinata.

Ci si chiede: Per queste modifiche, banali e inconcludenti, è lecito ritardare (siamo già a 4 mesi) l’applicazione di un Atto Aziendale che, a parole, doveva razionalizzare ed efficientare l’Azienda?

Cosenza, 30 giugno 2020

© Francesca Canino

 



25 giugno 2020

Cosenza, la città dei sette colli ne perde uno



Cosenza, come Roma, è la città dei sette colli, anche se da tempo ne ha perso uno. Sono in pochi a sapere, infatti, che nel 1994 Colle Triglio è scomparso dalle carte della Variante al Piano Regolatore Generale che, in violazione della legge 1497/39, lo ha designato come zona edificabile. Un’area di grande interesse storico e paesaggistico, tutelata dalla legge, è così destinata ad essere distrutta, con conseguente alterazione dell’immagine della città antica.

Uno studio compiuto dal ‘Comitato per la Difesa della Bellezza e del Paesaggio di Colle Triglio’ dal titolo “Colle Triglio, della bellezza, dell’ambiente, del paesaggio”, riporta le fasi, le motivazioni e gli interessi di speculatori e amministratori comunali che hanno fatto sparire uno dei sette colli cosentini. Nella Carta fatta stampare dal comune di Cosenza in seguito alla Variante al PRG del settembre 1994, Colle Mussano è indicato come area di espansione sino a comprendere Colle Triglio, la cui denominazione scompare.

«L’area di Colle Triglio – precisa il Comitato – viene denominata Colle Mussano; Colle Triglio viene indicato come un quartiere alle pendici di Colle Mussano. Con sprezzo della storia… Si realizzerebbe così una insanabile mutilazione dell’organismo urbano costituito da Cosenza vecchia, mentre la città perderebbe uno dei colli più verdi, il più celebrato dagli artisti che visitarono la città tra il ‘700 e l’800. La trasformazione di Mons Triliens lo Triglio in area edificabile, prima che una sfrontata impudenza – sostiene il Comitato - è un delitto che colpisce l’identità, la cultura, la bellezza, l’ambiente e il paesaggio di Cosenza».

Nessuno ha sollevato obiezioni, il Colle è stato escluso dal centro storico e da zona A, in cui è impedita ogni nuova edificazione, è diventato zona di espansione, edificabile, tralasciando un particolare: l’area è a rischio idrogeologico. Non solo, Colle Triglio, come tutti i colli cosentini, emblema della città, è tutelato dal Decreto Ministeriale del 15/7/1969, che «legittima -  continua il comitato - la Dichiarazione di notevole interesse pubblico del centro storico ed aree limitrofe del comune di Cosenza. E mette queste aree sotto la tutela della legge 1497/39. Inoltre, una consistente porzione del suo territorio (nella sua interezza quello collinare posto a sud del centro) è sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale… in forza del pronunciamento della commissione riunitasi nel Capoluogo in data 23/2/1967».

A difesa dell’ambiente di Colle Triglio è opportuno ricordare che la tutela del paesaggio nel nostro paese ha il suo fondamento nell’art. 9 della Costituzione e la conservazione degli elementi costitutivi delle morfologie e dei beni paesaggistici è prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, «che prevede il minor consumo di suolo – conclude il Comitato - e finanche il ripristino dei valori paesaggistici da parte degli amministratori comunali».

Pertanto, la costruzione di villette a schiera sulla sommità di Colle Triglio, progetto già pronto e al momento sospeso dalla Soprintendenza, cancellerebbe la veduta storica della città, garantita dal ‘Disciplinare per gli interventi di recupero, conservazione e messa in sicurezza del Patrimonio storico costruito’ (2016), che all’art. 3 tutela “la conservazione del paesaggio e delle prospettive visuali, ivi compresa la visualizzazione da e verso il centro storico”.  

Il dio cemento cancella vincoli, storia e bellezze naturali per assecondare gli interessi di speculatori e amministratori pubblici, pur consci che a Cosenza sono numerosi gli edifici vuoti. Non c’è alcun bisogno di nuove costruzioni se non per arricchire i soliti noti e consumare suolo. Le aree storiche, soggette a vincoli, devono essere preservate da ogni tentativo di deturpamento. Scriveva Enzo Stancati nella sua monumentale opera “Cosenza nei suoi quartieri” che su Colle Triglio furono ritrovate alcune tombe di una modesta necropoli, in seguito la collina ospitò templi pagani e vi si costruirono tre importanti edifici raffigurati nella Carta dell’Angelica. Ancora oggi è dominato dal maestoso Palazzo Arnone, ex tribunale e carcere, sede della Galleria nazionale, e ospita storici edifici, tra cui Villa Rendano, palazzo Mollo, i ruderi della chiesa di Santa Teresa, l’ex orfanotrofio Vittorio Emanuele II e la chiesa di Santa Croce. Rinomato per la sua rigogliosa vegetazione, in parte distrutta dagli incendi (dolosi?) e dai tagliatori comunali, Colle Triglio è ora in procinto di essere deturpato. Che dirà la città?

Cosenza, 25 giugno 2020
© Francesca Canino




   

24 giugno 2020

Covid 19: proposte per la crisi in atto e per quella che verrà

Foto dal web
 

La crisi sanitaria, economica e sociale determinata dalla pandemia che ha investito l'intero pianeta non finirà a breve e avrà strascichi pesanti per ogni cittadino. Gli sforzi finora fatti dal Governo per reperire risorse da distribuire a chi in questo periodo non ha lavorato si ridurranno fino a scomparire. È facile prevedere che ci saranno fasce della popolazione che, rese improduttive dalla quarantena e dalle misure adottate, saranno ridotte alla fame e si correrà il rischio di cadere nella rete della criminalità.

Una riduzione di tutti i compensi che superano i 5000 euro al mese sarebbe da considerare per creare reddito per le fasce più indigenti della popolazioni. Non è concepibile erogare a parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, manager, dirigenti e quant'altro mensilità che si attestano su decine e decine di migliaia di euro, a fronte, spesso, di nessun impegno da parte loro.  

Con queste riduzioni si può creare velocemente reddito per chi si trova in difficoltà e può/deve essere messo al più presto in grado di lavorare per far ripartire l’economia dopo la crisi determinata dal Covid 19. A titolo di esempio, un consigliere regionale arriva oggi a guadagnare fino a 13.000 euro al mese. Sarebbero sufficienti per le sue esigenze 5.000 euro, mentre i restanti 8.000 potrebbero essere destinati a 8 disoccupati, che percepirebbero mensilmente 1.000 euro ciascuno in cambio di lavori da effettuare secondo le rispettive competenze. I nuovi occupati potrebbero affiancare gli impiegati dei vari uffici pubblici, facendo crescere  le ore lavorative e contribuendo ad offrire maggiori servizi al cittadino. I beneficiari del nuovo reddito con abilitazione all’insegnamento potrebbero prestare la propria opera oltre l’orario scolastico aiutando gli studenti a recuperare i mesi perduti a causa della pandemia o sostenendo il personale ATA. Per quanto riguarda il mondo del giornalismo, è opportuno ricordare che il compenso del presidente dell’INPGI, l'ente di previdenza, è eccessivamente alto: anch’esso potrebbe essere ridotto a favore dei free lance e dei colleghi che percepiscono 2 millesimi lordi a battuta.

Dopo la quarantena e le chiusure forzate sarà necessario estendere gli orari di lavoro e produrre di più. Se ci sarà più personale nei vari ambiti lavorativi, la ripresa del Paese sarà più rapida e si eviterà di dover assistere un esercito di disoccupati e disperati che invece, percependo anche solo 1000 euro al mese, potranno mantenersi dignitosamente e mettere in circolo denaro aiutando la ripresa dei consumi.

Questi sono solo degli esempi che possono dare delle indicazioni su quanto si dovrà fare per aiutare l'Italia e gli Italiani, i quali per troppo tempo hanno subito le angherie di politici e amministratori, contribuendo con le loro tasse a mantenere una pletora di persone elette che non ha agito nel loro interesse e ha incassato stipendi altissimi.

Oltre ai politici, val la pena citare anche le consistenti entrate di certi dirigenti o gli sperperi dovuti al mantenimento di un gran numero di portaborse, autisti e similari di parlamentari, consiglieri e assessori. Sono sprechi e schiaffi alla povertà che avremmo dovuto eliminare già da tempo, ma ora che si prospetta una crisi senza eguali, non si può più temporeggiare. Bisogna equilibrare le entrate di tutti i cittadini e creare lavoro nuovo, al di là degli schemi del passato se non si vuole affondare o diventare schiavi dell'Europa.

Cosenza, 24 giugno 2020

© Francesca Canino

 

 

 


20 giugno 2020

Ospedale di Cosenza, commissario alla resa dei conti (tardiva)


Sotto attacco la dirigenza dell’Annunziata di Cosenza da parte dei consiglieri comunali cosentini e della Fismu. Per mesi abbiamo esposto i problemi della sanità bruzia, ‘denunciando’ l’assenza di una guida all’ospedale di Cosenza, i continui viaggi del commissario verso la zona rossa, le quarantene non rispettate, i finanziamenti persi grazie alla triade dirigenziale, il licenziamento di un atto aziendale risibile e la scarsa organizzazione in ospedale durante la pandemia. Appare, pertanto, tardivo l’interesse che oggi manifestano i consiglieri comunali cosentini, considerato che durante il confinamento abbiamo di continuo informato i cittadini sui servizi e sui disservizi all’Annunziata. Perché intervengono solo ora?

Nei giorni scorsi, il commissario dell’Azienda ospedaliera, Giuseppina Panizzoli, è stata ascoltata in Commissione sanità dai consiglieri comunali, che si sono decisi a intervenire dopo mesi di disinteresse totale per «evitare che l’ospedale scivoli verso il declino», sottolineando che la situazione è a dir poco allarmante: «File di attesa sempre più lunghe e malati oncologici costretti ad attendere mesi per essere operati, lavori per l’ampliamento del Dea non ancora completati… Ci sono circa 30 malati oncologici che aspettano di essere curati e di entrare in quella benedetta sala operatoria con la speranza di sconfiggere il loro male… Inoltre non sono ancora riprese tutte le attività ambulatoriali che di fatto provocano un affollamento del Pronto soccorso. La vicenda Cup è a dir poco allarmante: ore e ore di fila, a volte senza riuscire ad eseguire la prenotazione di una visita o un esame necessario. Ci troviamo assolutamente in disaccordo con l’accorpamento di Pediatria e oncologia pediatrica che tante preoccupazioni ha causato alle famiglie dei piccoli pazienti». 
Il commissario ha accolto tutte le richieste avanzate in commissione, assumendo anche «l’impegno preciso – si legge in una nota dei consiglieri comunali - che con lo sblocco del turn over verranno ripristinati servizi e posti letto dando attuazione al Piano di fabbisogno del personale approvato a fine aprile».

Non sappiamo se il commissario avrà il tempo per fare quanto promesso, il suo mandato scadrà a fine estate.

Anche la Fismu, Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti, che rappresenta 103 dirigenti medici dell’Ao bruzia, interviene nel dibattito sanitario con un comunicato del suo segretario regionale, Claudio Picarelli, che mette in evidenza l’accorpamento della chirurgia pediatrica alla pediatria «con evidente carenza di posti letto per i piccoli pazienti oncologici e non.  Ma non finisce qua: il Pronto Soccorso che dopo lo stupore della pandemia ha ripreso ad incamerare pazienti con ritmo incalzante, senza possibilità di ricovero per carenza di posti letto. Il personale medico è ridotto a sole 10 unità effettive e medici di altri reparti sono chiamati in straordinario a coprire i turni vuoti, con aggravio di spese. Non è lontano il momento in cui la situazione diventerà ingestibile se non si dà ristoro e rinforzi immediati ai pochi medici in servizio nel Pronto Soccorso più affollato della Calabria. Le ferie estive – continua Picarelli - sono alle porte. La pandemia ci ha insegnato che non bisogna abbassare la guardia, ma cosa succederà se dovesse verificarsi una seconda ondata? I medici rimasti in servizio in Malattie infettive sono solo 4, oltre il primario. Con questi numeri è facile immaginare la tragedia che si potrebbe verificare! L’Azienda Ospedaliera di Cosenza ha avuto la grande dabbenaggine di non assumere personale in questo periodo, nonostante i vari DPCM ne avessero dato la possibilità. Da tempo l’Azienda Ospedaliera è stata autorizzata ad assumere nell’immediato 16 medici, ma nessun concorso o avviso di mobilità è stato avviato. Come se non bastasse il nuovo Atto Aziendale (principale obiettivo del decreto Calabria) proposto dalla dott.ssa Panizzoli non è stato convalidato dalla struttura commissariale regionale, ma rimandato indietro con varie contestazioni. Tutto quindi va avanti nella confusione più totale. Il 19 dicembre inoltre è stato sottoscritto il nuovo Contratto Collettivo Nazionale di lavoro della dirigenza medica, con importanti novità organizzative e salariali. Proprio per questo è stato ripetutamente richiesto un incontro sindacale, ma la commissaria non ha inteso neanche rispondere alla richiesta di tutti i sindacati medici».
Fismu chiede la revoca
immediata dell’incarico al commissario Panizzoli e la nomina di un Direttore generale «che sappia governare nel miglior modo possibile la nostra azienda. Se ciò non avverrà in tempi brevi Fismu si farà promotrice della proclamazione dello stato di agitazione di tutto il personale».


Cosenza, 20 giugno 2020
©Francesca Canino

 


Il colera a Cosenza e il moto del 1837




C'è una lapide in piazza Matteotti a Cosenza, posta sulla facciata laterale della chiesa del Carmine, di fronte alla vecchia stazione, che ricorda la fucilazione di cinque patrioti, colpevoli di aver incitato alla rivolta i concittadini durante l'epidemia di colera del 1837.


La spianata del Carmine, come era denominata in passato piazza Matteotti, era il luogo prescelto per le esecuzioni capitali, forse perché vicino all'omonima chiesa in cui venivano tumulate le vittime. Dal '37 in poi, però, nella spianata furono eseguite solo condanne all'impiccagione, generalmente inflitte ai cittadini accusati di reati ordinari, differenti dai reati politici di cospirazione contro il Regno.

Sono, però, qui ricordati Pasquale Abate, Luigi Stumpo, Carmine Scarpelli, Luigi Belmonte e Luigi Clausi, ribelli Carbonari autori del moto cosentino del 1837, i primi cospiratori ad essere giustiziati nel Vallone di Rovito, dinanzi ad un pubblico disgustato e indignato per il sangue versato e per le vessazioni subite. Una storia tutta meridionale fatta di rivolte, di Carbonari, di superstizione e di fede.

Era l'estate del 1837, la calura avvolgeva la città come le fasce un neonato, forti miasmi si propagavano per le anguste vie e voci e sospetti sempre più incalzanti si insinuavano tra la gente, spingendosi in tutti gli angoli della città fino ad avvolgerla e stritolarla. Il colera si era diffuso a Cosenza, mietendo moltissime vittime dopo la carestia per le incessanti piogge ed il forte terremoto del 1835. L'epidemia apparve subito molto grave tanto che non si individuarono cure adeguate né per il morbo, né per l'altro male ormai cronico, ossia l'ignoranza in cui versava il popolo impaurito, stremato e indotto a credere che il colera fosse stato diffuso dagli untori inviati dal governo borbonico.


Furono, forse, i Carbonari, nel tentativo di sollevare la popolazione, a diffondere la notizia che una cassa piena di sostanze nocive era giunta da Napoli a Cosenza tramite un capitano dei Borboni, il quale aveva poi consegnato il veleno ad un prete della Chiesa del Carmine. Questi, in occasione della festa della Madonna del Carmine ricorrente il 16 luglio, avrebbe dovuto 'ungere' quanti più oggetti possibili nella chiesa per diffondere il grave morbo. Non si sa se l'untore rimase vittima del suo malvagio operato o se la sua morte, avvenuta esattamente alla vigilia della festa, fosse accaduta per un puro caso. Risultò tuttavia provvidenziale, poiché convinse la cittadinanza a gridare 'al miracolo': la Madonna, come sempre vicina al popolo cosentino, aveva fatto morire il prete traditore per salvare la città dall'epidemia.
In poche ore scoppiarono violenti tumulti che sfociarono in una caccia all'untore e che fece anche alcune vittime, probabilmente innocenti, ma tant'è, la fame di vendetta del popolo a volte esula dalla ragione per seguire percorsi che i posteri a fatica comprendono. Ai disordini seguì il linciaggio di due miseri individui, sui quali era ricaduta l'infamante accusa di essere untori, mentre l'epidemia di colera si diffondeva così rapidamente da riempire tutto l'ospedale e da dover predisporre un lazzaretto di fortuna nei pressi della Riforma.

Centinaia e centinaia furono le vittime, le autorità borboniche ne contarono oltre cinquecento e si resero conto che sarebbe stato un pericolo immane se la responsabilità dell'accaduto fosse ricaduta su di loro. Si pensò, allora, di addossare le colpe sui Carbonari, accusa che generò dubbi e contrarietà.
Fu questa la scaturigine di un moto insurrezionale programmato per il 22 luglio. Uomini armati, provenienti da diverse località del cosentino, si diedero appuntamento alle Querce di Frugiuele con l'intenzione di marciare sulla città, occupare l'Intendenza, sbaragliare il presidio militare ed infine liberare i prigionieri politici, in assetto di rivolta allo scopo di ingannare la gendarmeria. Un progetto ambizioso che avrebbe dovuto avere ripercussioni in tutto il Regno, con la diffusione della rivolta in ogni area del Meridione allo scopo di ottenere l'emanazione della Costituzione.
Sopraggiunse, però, un imprevisto che impedì ai cospiratori di portare a termine il loro piano: l'arresto di alcuni ribelli insospettì gli altri Carbonari che decisero di rimandare l'insurrezione. Alcuni messaggeri furono immediatamente inviati ad avvisare i gruppi di rivoltosi che si sarebbero dovuti ritrovare a Cosenza. Non tutti i messaggeri, però, giunsero in tempo per avvisare i ribelli che, all'oscuro di tutto, si diressero nel luogo stabilito ed attesero invano l'arrivo dei congiurati. Dopo ore di inutile attesa, essi presero la decisione di disperdersi ed un gruppetto si avviò verso il catanzarese con la speranza di sollevare le campagne. I prigionieri, nel frattempo, ignari del rinvio della rivolta, seguirono il piano e si ribellarono, provocando l'intervento armato delle guardie.

Altre rivolte scoppiarono contemporaneamente nell'Italia Meridionale, la polizia arrestò molti cospiratori e l'Intendente di Cosenza, Giuseppe De Liguoro, napoletano ed ex ufficiale di gendarmeria che aveva fatto carriera con il Ministro Del Carretto, arrestò i ribelli ed istituì un Consiglio di Guerra.
A questo punto delle vicende entrò in scena un personaggio di grande astuzia che riuscì a rimandare il processo dei ribelli: l'avvocato Gaetano Bova, chiamato alla difesa dei Carbonari arrestati che propugnò la tesi dell'incompetenza del Consiglio di Guerra a giudicare i ribelli, poiché essi non erano stati trovati in flagranza di reato. Ciò secondo quanto stabilito da un decreto del '34 ancora in vigore nel Regno, che prevedeva l'istituzione di una Commissione Suprema per i reati di cospirazione e non, invece, un Consiglio di Guerra, idoneo a giudicare solo nel caso in cui l'imputato fosse stato sorpreso in flagranza di reato o trovato armato.
Si prospettava, così, una sicura vittoria per i ribelli, ma il vile Intendente giocò le sue carte e corruppe uno dei giudici affinché cambiasse l'accusa in 'avvelenamento', compiuto nel periodo in cui imperversava l'epidemia di colera. L'imputazione fu, inoltre, arricchita di circostanze talmente inverosimili da rendere grottesca l'intera costruzione della vicenda, ma ai fini pratici la nuova accusa condusse gli insorti dinanzi al Consiglio di Guerra, che emise condanne a morte per Pasquale Abate, Luigi Stumpo, Carmine Scarpelli, Luigi Belmonte e Luigi Clausi, mentre altri furono condannati ai ferri o rimandati alla Corte Criminale; in pochi furono rimessi in libertà sotto la sorveglianza della polizia.
L'esecuzione ebbe luogo nel Vallone di Rovito, dove i condannati furono tradotti seguendo la prassi prevista e fucilati come si conveniva per i reati di cospirazione. Il Vallone di Rovito, che fino a quel momento era stato uno spazio adibito alle esercitazioni militari, diveniva ora teatro di esecuzioni per i reati politici, luogo certamente più funzionale perché vicino alle carceri che allora erano situate nell'antistante Convento di Sant'Agostino.
Il colera infierì in città fino al 1838, quando il nuovo Intendente Giuseppe Parisio nominò una commissione di studio per sconfiggere il morbo. Si decise di adottare una serie di provvedimenti igienici che allontanarono l'epidemia, un risultato che determinò il successo della politica sanitaria cosentina, tanto che essa divenne legge in diverse città del Regno.

Con la ritrovata salute, Cosenza riconquistò il suo ruolo di città inquieta, in breve ripresero ad agitarsi le idee liberali che preparano il terreno al moto del '44 ed allo sbarco in Calabria dei fratelli Bandiera.


L'iscrizione sulla targa in piazza Matteotti a Cosenza


Il sacrificio e la gloria
di
 LUIGI BELMONTE, CARMINE SCARPELLI, LUIGI STUMPO, PASQUALE ABATE, LUIGI CLAUSI
che raccolsero nella coscienza l'idealità di tutta una stirpe
e in questa piazza caddero per piombo borbonico nel 1837
ALTERI E SPREZZANTI
Volle qui Cosenza ricordarli in perpetuo
affinchè
all'esempio dei prodi che sorrisero al martirio
e la fede eroica consacrarono nell'offerta del sangue
l'amore della Patria
si ritempri d'altri vigori e di fecondi affetti
MCMXLIV
Cosenza, 20 giugno 2020
© Francesca Canino


Piazza Fera, urgono controlli super partes



La Sismlab srl, spin off dell’Università della Calabria, è stata incaricata dal comune di Cosenza ad effettuare le verifiche tecniche sulla staticità di piazza Fera. La società dovrebbe compiere i test sulle travi in acciaio, il cui mancato collaudo ha determinato il sequestro giudiziario della piazza. Ma, nonostante sia stata pubblicata la determina di affidamento dei lavori per un importo di 28.500 euro, il responsabile della società ha fatto sapere che non c’è ancora un accordo formale con il comune. Sembrava il contrario, ma probabilmente la Sismlab intende ponderare bene prima di accettare il gravoso incarico.  

Circa un mese fa, il Tribunale del Riesame ha respinto l’istanza di dissequestro di piazza Fera presentata dall’avvocato Carratelli su mandato del comune di Cosenza. Istanza azzardata, visto il contenuto del decreto di sequestro datato 17 aprile 2020: dalle intercettazioni, infatti, si sono apprese notizie raccapriccianti come il mancato collaudo della piazza e una serie di altre gravi irregolarità che hanno fatto sorgere grossi dubbi sulla sicurezza stessa della piazza.

Dai dialoghi tra i vari tecnici intercettati dalle Fiamme gialle, è emerso che è stata inaugurata e utilizzata una piazza non collaudata, sulla quale non erano state effettuate, da parte della direzione lavori e della società appaltatrice, le prove obbligatorie sulle tre travi d’acciaio sovrastanti l’area museale della piazza, né le prove di serraggio dei bulloni delle travi. Equivale a dire che la vita di migliaia di persone, soprattutto dei giovanissimi, potrebbe essere stata messa in pericolo e i responsabili non possono dire “Non sapevamo” perché le intercettazioni li inchiodano.

Appaiono, pertanto, insensate e pericolose le richieste avanzate nel corso di un recente consiglio comunale da alcuni consiglieri, sia di maggioranza come Granata, sia di opposizione come Ambrogio, per l’immediata riapertura e il dissequestro di piazza Fera/Bilotti, poiché avallano la situazione di pericolo che la città vive da ben quattro anni.

Sorge il dubbio che il decreto di sequestro non sia stato letto o compreso o, nel peggiore dei casi, che non si sia voluto tener conto di quello che ha scritto il gip di Catanzaro, visto che non si è pensato all’incolumità dei cittadini.

dal Decreto di sequestro

Era risaputo, infatti, che il collaudo non fosse stato effettuato, però sulla piazza si sono svolti concerti e manifestazioni che hanno richiamato migliaia di persone; era risaputo che i lavori non erano a norma, però si è fatto finta di niente; era risaputo il rischio che la piazza costituiva, però nessuno ha chiesto chiarimenti sul “perché e il percome” personaggi come l’ingegnere Tucci, il collaudatore Alvaro, l’ex questore Liguori, alcuni dirigenti comunali e il sindaco Occhiuto non hanno chiesto e messo in atto le misure idonee per evitare possibili danni a coloro i quali frequentavano l’area.  

Ora si dovrebbero chiedere controlli super partes per sapere quali rischi abbiamo corso, quali sono i problemi strutturali della piazza, perché è danneggiata in più parti e soprattutto se le travi presentano le caratteristiche di quelle previste dal progetto originario e non pensare, invece, dove sistemare i tavolini dei bar e se chiudere la strada che fiancheggia la piazza un giorno sì e l’altro no.


Cosenza, 20 giugno 2020

© Francesca Canino

 


13 giugno 2020

Il nuovo commissario dell'Asp di Cosenza e quel finanziamento perso di 10 milioni

Acquisita l’intesa del presidente della Giunta regionale Jole Santelli, il commissario ad acta Saverio Cotticelli, con decreto n. 86 dell’11 giugno, ha nominato la dottoressa Simonetta Cinzia Bettelini commissario straordinario dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza“. 

È quanto si apprende da un comunicato ufficiale della Regione Calabria diramato un paio di giorni fa. L‘ex direttore sanitario dell’Azienda ospedaliera di Cosenza, Cinzia Bettelini, ricopre ora l’incarico di commissario dell’Asp bruzia, azienda che da gennaio ha visto avvicendarsi ai suoi vertici ben quattro manager. A settembre dello scorso anno, il commissario dell’Annunziata Giuseppina Panizzoli chiese di averla al suo fianco per gestire il nosocomio cosentino, ma della loro presenza non si è accorto nessuno, se non per i continui viaggi nella zona rossa lombarda in piena pandemia e per la redazione di un atto aziendale stilato sulle vecchie linee guida del 2016.

Il management dell'azienda ospedaliera di Cosenza si è tuttavia distinto per inefficienza e poca lungimiranza quando ha rinunciato, di fatto senza motivazioni plausibili, all'opportunità di un reale aggiornamento tecnologico per l'Annunziata attraverso il finanziamento di 10 milioni di euro, che avrebbe permesso l'acquisto di nuove attrezzature (come il robot Da Vinci, indispensabile per mantenere a un livello di qualità le chirurgie; una seconda Pet; un nuovo agiografo digitalizzato), impedendo così all'Azienda cosentina di posizionarsi al livello di un vero HUB sanitario. La conseguenza a questa privazione di strumenti avanzati di cura è l’impossibilità a contrastare l'emigrazione sanitaria.

Ma perché queste rinunce a discapito dei cosentini e anche dei calabresi? Per favorire i privati? Per lavorare di meno? Per incrementare i viaggi della speranza verso il Nord? Le risposte arriveranno con il tempo, intanto Simonetta Bettelini è commissario dell’Asp cosentina, un’azienda che vanta milioni e milioni di debiti e cambiamenti apicali a ritmi veloci.

Cosenza, 13 giugno 2020

© Francesca Canino


02 giugno 2020

SARS-CoV2-19: Calabria, dati monopolizzati e tamponi abbandonati, il silenzio dei politici

Dal bollettino odierno emanato dalla regione Calabria si apprende che non si registrano contagi da SARS-CoV2-19 tra la popolazione calabrese da circa una settimana, nonostante siano stati effettuati – sempre in questa settimana - migliaia di tamponi. Il numero dei contagi era in flessione già dai primi giorni di maggio, come dimostrano i grafici diffusi dalla regione. Un dato sicuramente confortante, esploso all’indomani delle prime riaperture, quando era fondamentale convincere tutti che il virus in Calabria era stato quasi sconfitto, vista l’urgenza di tornare alla cosiddetta ‘normalità’. Zero contagi, dunque, dal 28 maggio a oggi, a fronte di circa 6000 tamponi eseguiti - e si spera anche processati - in questi sei giorni. Non sappiamo se i numeri corrispondano a verità, la regione è l’unica detentrice e divulgatrice dei dati, come imposto da una ordinanza del presidente Santelli, ed è legittimo pertanto avere dei dubbi.

A dire il vero, di dubbi nel periodo della pandemia ne sono sorti diversi, ma sono rimasti circoscritti solo tra i cittadini. I politici e gli amministratori calabresi, infatti, sembrano essere spariti del tutto negli ultimi mesi, non hanno espresso dissensi sull’ordinanza del presidente della regione Calabria, con cui si vietava ai dirigenti regionali e ai direttori delle Asp e delle Aziende ospedaliere calabresi di rilasciare agli organi di stampa informazioni sui numeri del contagio, né hanno fiatato quando il deputato del M5s Francesco Sapia ha portato alla ribalta il caso dei tamponi congelati e abbandonati in alcuni magazzini.

Ma anche il pentastellato, dopo l’iniziale polverone, si è adeguato all’andazzo corrente dei suoi colleghi calabresi e ancora oggi rimane avvolto nel mistero ciò che denunciava il 12 maggio scorso, quando richiedeva indagini immediate in seguito alla circolazione sui social di un audio di un operatore del 118. Dalla voce del sanitario si apprendeva che in Calabria erano stati congelati migliaia di tamponi non processati, con grave pregiudizio per la salute dei calabresi. Asseriva Sapia che «sarebbe del tutto falsato il bollettino giornaliero dei contagi comunicato dalla Regione Calabria, che per disposizioni della Protezione civile nazionale sta gestendo l’emergenza sanitaria relativa al Covid-19» e chiedeva di sciogliere «i forti dubbi che nessuno ha ancora fugato, a partire dal commissario dell’Asp di Cosenza, Giuseppe Zuccatelli, che non ha ancora fornito elementi precisi», assicurando che «non ci fermeremo finché non si farà luce, al di là delle indipendenti, preziose attività della magistratura. È doveroso che i responsabili sanitari collaborino, nell’interesse di tutti i calabresi».

Sapia si è fermato subito, invece, Santelli continua a sciorinare dati che nessuno può verificare e i cittadini non sapranno mai da chi è partito l’ordine di abbandonare i tamponi, né i motivi che hanno persuaso il deputato a non continuare il lavoro iniziato. 

Cosenza, 2 giugno 2020

© Francesca Canino

 

 

 

 


LETTERE: Soprintendenza ABAP Cosenza, una morte annunciata



Pochi giorni fa, la senatrice calabrese Margherita Corrado ha scritto sulla sua pagina facebook: «Il 18 maggio è stato bandito il 2° interpello per dare un Soprintendente ABAP agli uffici da poco distinti di Cosenza e di Catanzaro e Crotone, mentre per Vibo e Reggio, anch’essa a bando, del numero di tentativi frustrati si è perso il conto. Ma che importa? Avanti con il prossimo giro di giostra! È pur sempre il Ministero dello Spettacolo, questo, e non si dica che non fa di tutto per stupire il pubblico».
È da poco, infatti, scaduto il termine per partecipare all'ennesimo interpello per dare alle tre Soprintendenze della Calabria un dirigente effettivo stabile, in grado di dare finalmente dignità e serietà ad un settore trainante per il territorio regionale. Alla luce degli avvenimenti succedutisi negli ultimi anni, è apparso sempre più chiaro l'intento della politica nazionale e locale di creare delle Soprintendenze provinciali. Nel corso di questi anni, l'ufficio di Cosenza è stato depotenziato attraverso politiche mirate all'indebolimento dell'azione di tutela e valorizzazione dei beni culturali, è stato alimentato un clima di contrapposizione tra i funzionari (vedi ispezione Ministeriale), sono state attuate scelte dissennate nella riorganizzazione degli uffici ed è stata resa normale la precarietà dei dirigenti (interim), spesso con dubbie capacità professionali. 
Che senso ha oggi parlare di riapertura della Soprintendenza di Cosenza con annesso laboratorio di restauro? Ha senso mettere a norma migliaia di metri quadrati di immobili storici vincolati per accogliere il residuo personale in quiescenza più tre nuovi architetti molto giovani provenienti da fuori regione? La Soprintendenza in città è stata svuotata di tutti gli uffici importanti, chi ha permesso ciò? Chi ha voluto lo smembramento? Come si fa, ci chiediamo, a ordinare la riapertura di un ufficio senza conoscere i luoghi e le persone, senza cioè aver mai messo piede a Cosenza? Perché i nuovi dirigenti lasciano ai posti di comando sempre le stesse persone nominate dall’ex soprintendente Pagano, a sua volta indagato e sottoposto a più ispezioni ministeriale? Anche Pagano non era mai stato a Cosenza e, nonostante ciò, appena arrivato approvò tutto ed il contrario di tutto. Ecco perché sarebbe importante sapere chi comanda davvero alla Soprintendenza di Cosenza e perché i dirigenti si fidano ciecamente dei funzionari (il famoso cerchio magico) nominati da Pagano.
Intanto, il COVID-19 sta facendo riemergere tutti i problemi e le criticità che il sindacato CISL e parte di RSU da anni denunciano alla Soprintendenza di Cosenza. Soprattutto la messa in sicurezza degli ambienti di lavoro, più volte ed a tutti i livelli istituzionali è stata segnalata ed evidenziata. Chi doveva e deve intervenire, in primis i dirigenti e i responsabili dei vari settori, devono oggi relazionare sullo stato di salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro. Oggi la pandemia non consente più deroghe o rinvii, si deve intervenire con la massima urgenza. Si devono dare risposte concrete e rapide ai lavoratori specialmente a quelli ritenuti dalla normativa ‘fragili’. È giunto il momento di assumersi ognuno per il ruolo che ricopre o che ha ricoperto le proprie responsabilità e dar conto dell'operato sin qui svolto.
La situazione delle Soprintendenze calabresi rispecchia la catastrofica gestione dei beni culturali dell’era Franceschini, orientata verso la svendita dell’immane patrimonio artistico italiano. Non ci stiamo a questo orribile gioco e lotteremo finché non riporteremo alla giusta attenzione nazionale i problemi che il settore sta vivendo. Un’ultima domanda però dobbiamo farla: “Perché nessun mezzo di comunicazione parla più della ormai morente Soprintendenza di Cosenza?”.
Lettera firmata