‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

27 agosto 2020

I popoli italici e i simboli primordiali delle antichissime civiltà



Paestum, busto femminile di terracotta 500 a.C. Italico o greco, si suppone che le svastiche in questo caso essendo su un busto femminile siano simbolo di fertilità
Tra gli oggetti custoditi nel Museo Civico di Cosenza, c’è una fibula in bronzo a forma di spirale risalente al IX-VIII secolo a.C., rinvenuta durante gli scavi del 1888 a Torre Mordillo, quando fu scoperta una vasta necropoli relativa a un centro di età protostorica antistante la piana di Sibari. 
Fibula a spirale

Oggetti della stessa forma sono presenti nei numerosi ritrovamenti fenici rinvenuti in Calabria, Sicilia e Nord Africa, inequivocabile testimonianza di proficui scambi con i Fenici. I reperti consentono di effettuare un confronto tra i popoli e le culture del Mediterraneo, rivelando insospettabili paralleli tra l’iconografia dei popoli italici della Calabria arcaica e quella simbolica dei Fenici. 
 
Scarabei
I Fenici furono, tra i popoli antichi, i primi ad usare stabilmente la navigazione come strumento di scambio culturale e mercantile tra le diverse sponde del Mediterraneo. Dalla loro base in Siria, si spinsero a commerciare in Egitto, Grecia, Italia, Spagna, Tunisia fino alle coste dell’Africa Atlantica molto prima dei Greci. Sembra, addirittura, che abbiano attraversato lo Stretto di Gibilterra per giungere nell’attuale Gran Bretagna.
Molteplici testimonianze di questi scambi, sono state ritrovate negli scavi archeologici della Calabria, in un arco temporale molto vasto, che va dall’VIII sec. a.C. sino alla conquista romana della regione. I rapporti commerciali cominciati con gli Italici prima, continuarono con i Brettii, in seguito con i coloni Greci e poi con i Romani fino alle guerre puniche.
I Fenici scambiavano i loro oggetti d’arte con l’olio, il vino, il prezioso legname della Sila e l’ancor più preziosa pix brutia (pece), materiali necessari per la costruzione ed impermeabilizzazione delle navi della loro flotta mercantile: infatti, nelle colonie fenicie Nord-Africane, non vi erano foreste e l’approvvigionamento di legname avveniva in Calabria fin dai tempi remotissimi, essendo la Sila l’altopiano coperto da grandi foreste più a Sud di tutta l’Europa, il cui disboscamento, quindi, iniziò molto prima dei Romani.
Vettori di una nuova cultura materiale nata in Oriente, i Fenici portarono in Calabria con il loro commercio, oggetti d’arte, stoffe, porpora, avorio, tecnologia nautica e culti che contaminarono ben presto le popolazioni autoctone con il fascino esotico ed esoterico di alcuni oggetti ritrovati durante gli scavi effettuati in Calabria. In particolare, a Francavilla Marittima i ritrovamenti di orientalia (provenienti dal Mediterraneo orientale e dall’Egitto) nella necropoli di contrada di Macchiabate e nel santuario sul Timpone della Motta, hanno evidenziato il valore profilattico e terapeutico attribuito agli amuleti orientali. Legati al mondo femminile ed alla protezione magica sull’infanzia, un gran numero di perle di vetro, divinità egizie, scarabei usati anche come pendagli e sigilli, vasetti di profumo sono stati rinvenuti in tombe femminili, con chiari riferimenti alla sfera della riproduzione e dell’infanzia.
Tra i primi oggetti di importazione, invece, è la preziosa e bellissima coppa di bronzo decorata a sbalzo (prima metà dell’VIII secolo a.C.), proveniente da Timpone della Motta, documento unico per l’alta cronologia, per la raffigurazione e soprattutto per la forma, segno di un rapporto antichissimo tra i popoli italici ed i navigatori fenici provenienti da Oriente.

Rimane, tuttavia, un affascinante mistero archeologico il fatto che l’antica civiltà italica conoscesse già, ben prima del loro arrivo, gli antichi simboli primordiali presenti anche nelle culture antichissime della Mesopotamia e dell’India.
I nostri antenati usavano, infatti, simbologie antiche per la decorazione dei loro oggetti, quali la svastica o croce uncinata, antichissimo disegno indicante il ciclo solare (abusato dai nazisti 2800 anni dopo), presente oltre che in Calabria ed in Lucania, anche nelle decorazioni di oggetti ritrovati in Siria e Mesopotamia, negli insediamenti Sumeri ed Assiro-Babilonesi e persino in India e Tibet, visto che la svastica è il simbolo principale del Bardo Todhol,  il libro tibetano dei morti.
E, ancora, spirali, probabilmente la rappresentazione stilizzata del disco solare, barche solari, uccelli acquatici, tutti elementi presenti nei gioielli delle donne di Francavilla Marittima, Torano Castello, Torre Mordillo, sito questo, da cui provengono i numerosi reperti conservati nel Museo Civico di Cosenza.
Forse una matrice comune tra i vari popoli del mondo antico, visto che gli stessi simboli ricorrono presso le civiltà pre-colombiane, dunque dall’altra parte del mondo mediterraneo, ad indicare come un unico ceppo di origine indo-asiatica si sia propagato sul pianeta in epoca antidiluviana, portando con sé i segni che oggi accomunano diverse civiltà distanti tra di loro.

Una dea fenicia a Roma

Venerata come dea italica, la figura fenicia di Anna Perenna si impone nella tradizione cultuale romana dell’età imperiale. Riferita da Ovidio nei Fasti (III 522 – 710), ove si racconta la fuga da Cartagine della principessa tiria Anna dopo la morte della sorella Didone, diretta verso la costa ionica della Calabria.
Una seconda tradizione, ricostruita da Silio Italico (Punica, VIII 1 – 221), vuole che la dea fenicia sia apparsa in sogno ad Annibale in un momento difficile della guerra contro Roma, per incoraggiarlo alla imminente battaglia di Canne.
Alcuni la ritengono una personificazione femminile dell’anno e del suo perpetuo ritorno, infatti era anche chiamata Anna ac Peranna e presso i Romani vigeva l'augurio di: annare perannareque commode (passare un buon anno dall'inizio alla fine). La sua festa, comunque, era il 15 marzo (Idi di marzo) e dava occasione a banchetti in un bosco sacro alla dea sito lungo la via Flaminia.

Cosenza, 27 agosto 2020
© Francesca Canino






























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