‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

17 novembre 2019

Cosenza, l’alluvione del ‘59


Due metri d’acqua simili a due alte muraglie si innalzarono sul ponte della Massa, investendo in poco tempo i rioni situati sulle sponde del Crati. Era il 24 novembre 1959 e Cosenza subiva l’ultima delle sue violente alluvioni.
Un lungo periodo di maltempo si era abbattuto su tutta la Calabria nel mese di novembre del’59, quando precipitazioni particolarmente intense scatenarono un nubifragio nella regione intono alla metà del mese. L’ondata di maltempo non si esaurì e tra il 23 ed il 24 novembre fu Cosenza ad essere colpita da una delle più disastrose inondazioni della sua storia. Anche il circondario risentì degli effetti della tempesta d’acqua abbattutasi rabbiosamente in quei giorni, dove, a differenza del capoluogo, si contarono anche diverse vittime.
Il Crati era gonfio e trasportava una quantità enorme di detriti, effetto delle erosioni causate dalle precipitazioni. Tutta questa massa di sedimenti e detriti nell’alveo del fiume, fu trasportata a valle fino a Cosenza, dove subì un’ostruzione al ponte della Massa, detto anche di San Lorenzo, dovuta all’esiguità delle luci del ponte.
La sera del 24, verso le ore venti, il fiume uscì dagli argini, esondò nel tratto destro e sinistro in prossimità del Tannino e in breve le zone basse della città furono tutte allagate. L’inondazione si propagò dai quartieri dello Spirito Santo e della Massa, al vallone di Rovito, per estendersi fino a piazza Valdesi e al primo tratto di corso Telesio, sommergendo d’acqua e detriti i vicoli, i bassi e i magazzini, che dopo il defluire dell’acqua rimasero sotto la coltre del fango.
La fase di colmo non durò a lungo e i controlli regolari effettuati per monitorare la variazione del livello del fiume, si rivelarono altamente efficaci, mentre i soccorsi ben organizzati evitarono la perdita di vite umane. In questo modo furono solo le vie, le case a livello della strada e le attività commerciali molto presenti su tutta l’area, a subire significativi danni visto che il fluire del Crati al di fuori del suo alveo, aveva spazzato via quanto era depositato nei diversi magazzini dei rioni interessati.
Ma cosa era accaduto realmente?


Il flusso del Crati nella città brettia era stato ostacolato dai pilastri del ponte San Lorenzo, troppo vicini tra di loro. L’alveo, a nord-est, presentava uno spazio sufficiente al deflusso, ma sull’area dello Spirito Santo, a causa della configurazione urbana molto più ristretta, il letto del fiume in alcuni punti raggiungeva appena i dieci metri, che in periodi di precipitazioni abbondanti, quando il fiume nel suo corso raccoglie anche un buon numero di affluenti e detriti, diventava angusto vista la portata notevolmente aumentata. Tuttavia, ogni evento alluvionale deve essere messo in relazione ai contesti morfologici dell’ambiente in cui esso si verifica, in considerazione delle modifiche continue che la realizzazione di nuove opere produce. Il ponte di San Lorenzo o della Massa, ritenuto responsabile dell’esondazione del ’59 per le ridotte dimensioni delle luci, costituì semmai una concausa del disastro in città, visto che il nubifragio provocò considerevoli danni anche in altre zone della provincia.   
Si deve pure ricordare che Cosenza, negli ultimi due secoli, ha subito danni ingenti ai quartieri attraversati dai fiumi per effetto delle alluvioni del 1740, del 1842, del 1903 fino all’ultima del 1959 di cui è ancora vivo il ricordo e che distrusse servizi ed attività commerciali ed artigianali, costringendo circa duecento famiglie a lasciare le loro abitazioni.

Dai giornali dell’epoca si apprende che il fiume danneggiò 14 bancarelle, 5 officine, 3 calzolai, 6 giornalai, 4 sarti, 60 fruttivendoli, 7 falegnami, 9 barbieri, un arrotino, 2 maniscalchi: quasi l’intera economia dei vicoli che sfamava oltre 500 famiglie. La stampa riportò anche i ringraziamenti dei cosentini alla Madonna del Pilerio per l’assenza di vittime, la gara di solidarietà ai senzatetto e le polemiche per la facilità con cui si erano imputate le responsabilità al ponte di San Lorenzo.
Le colpe, secondo i giornali di quel periodo, sarebbero dovute ricadere sul Comune di Cosenza per la mancata applicazione di una legge speciale per la regolamentazione dell’Alto Crati ad Aprigliano. Individuare immediatamente le responsabilità di fronte ad una tragedia, abitudine ancora di moda, mentre una parte della città era stata trasformata in un grande pantano, non fece, però, perdere di vista le priorità del momento, tanto che si cominciò a lavorare subito per ricostruire le zone alluvionate.
Molti anni dopo è stata posta l’attenzione sulla criticità dei corsi d’acqua cittadini, evidenziando l’urgenza di studiare in maniera razionale ed organica il rischio esondazione nella città ed intervenire con strumenti adatti per la sistemazione dei due fiumi. Anche perché, per ogni evento naturale catastrofico, si deve considerare il tempo di ritorno e pianificare lo stato degli argini per quel tempo. I margini dei fiumi, infatti, possono diventare inappropriati di fronte ad un tempo di ritorno calcolato in cento anni. Sotto controllo dovrebbe sempre essere tenuta la vegetazione spontanea, che può costituire una causa di ostruzione delle aperture del ponte della Massa.
La riduzione del rischio di inondazione dell’area urbana, resta sempre una priorità assoluta poiché il sistema fluviale Crati-Busento, intorno al quale è stata disegnata la città vecchia e la nuova, era ed è, morfologicamente e storicamente, l’asse portante della città.

Scheda Tecnica
Un violento nubifragio nella notte tra il 23 ed il 24 novembre del ’59 investì la Calabria, partendo dalle coste ioniche centro-meridionali e diffondendosi sulle pendici silane e l’alto bacino del Crati.
Nelle stazioni idrografiche del bacino, le precipitazioni massime giornaliere registrate furono a  Piane Crati di191 mm, a Trenta 134 mm, a Domanico 116 mm.
Le precipitazioni massime registrate a Cosenza furono di 48 mm in 3 ore, 71.4 mm in 6 ore,   119.2 mm in 12 ore, 122.6 mm in 24 ore.
L’elevato trasporto solido, provocato dal notevole apporto di sedimenti, tronchi d’albero e detriti, determinò la parziale ostruzione del ponte S. Lorenzo e verso le ore 20 il Crati esondò invadendo le zone basse del Centro Storico. La portata di piena del 1959 fu stimata dal Genio Civile in 450 m3/s e quella del Busento in 525 m3/s, mentre una stima del CNR darebbe valori alquanto minori. Si valuta un tempo di ritorno 50 anni. Il Crati ha larghezza di circa 20 metri a monte del ponte San Francesco. Qui l’altezza degli argini non supera i 4 metri. Si tratta quindi di una sezione liquida di non oltre 80 mq; la piena di 450 m3/s comporta velocità di 5 – 6 m/s, che in questi casi possono essere devastanti. Analoghe considerazioni si possono fare per il Busento prima della confluenza, che ha una larghezza di 35 metri.


Cosenza, 17 novembre 2019
© Francesca Canino


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