‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

20 novembre 2019

Castiglione di Paludi, il sito italico dalla poderosa cinta di mura




Il traffico di reperti archeologici scoperto dai Carabinieri NTPC ha fatto emergere una serie di scavi clandestini compiuti in Calabria che hanno interessato anche il sito di Castiglione di Paludi. Il suo parco archeologico è da sempre preda di saccheggi e l'operazione dei giorni scorsi denominata "ACHEI" lo ha ampiamente dimostrato. Rimane ben poco delle vestigia italiche risalenti all'età del Ferro e risulta quasi impossibile mettere in atto azioni di tutela, sia per mancanza di fondi, sia per mancanza di amore verso il proprio territorio. Eppure, Castiglione di Paludi custodisce i resti di una storia antica, molto antica.

A Sud di Sibari il sito archeologico di Castiglione di Paludi occupa la sommità di un colle di oltre 35 ettari, protetto da pendii scoscesi e quasi impenetrabili. La sua posizione geografica, alle pendici della Sila greca, consente di controllare i vicini colli, una parte della costa e della valle del torrente Coserie.
Gli archeologici hanno distinto due diverse fasi nell’occupazione del sito, abitato nell'arco di tempo compreso tra il IX e il III secolo a.C.: la prima fase si riferisce a un abitato indigeno dell’età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.), nota dai corredi funerari di Piana d’Agretto, recuperati nel corso degli scavi degli anni '50 del secolo scorso; la seconda, risalente al IV-III sec. a.C, è caratterizzata dall’abitato fortificato a cui appartengono le strutture monumentali visibili.
Le campagne di scavo iniziate dalla Soprintendenza archeologica della Calabria nel 1950 hanno portato alla luce notevoli emergenze monumentali, come il circuito murario, l'ampio teatro semicircolare, una serie di edifici pubblici e privati e vari oggetti, tra cui statuette fittili votive, capitelli, ceramica a vernice nera e numerose monete di varia datazione e provenienza. Alcuni ritrovamenti archeologici, come i bolli in lingua osca, hanno fatto ritenere che il sito fosse stato abitato dai Brettii.
Sulla collina di Piana d’Agretto è stata rinvenuta una vasta necropoli di cui sono note oltre 40 tombe del tipo a fossa terragna delimitata e coperta da pietre. Nei corredi funerari erano contenuti punte di lancia, fibule, braccialetti e vasi. Non si conosce ancora l'esatta ubicazione del villaggio italico da cui provengono i reperti della necropoli.
Da alcuni studi effettuati sembra che la frequentazione sia cessata dopo la fondazione di Sibari (VIII sec. a.C.). Il sito non rimase tuttavia disabitato fino al IV sec. a.C., quando fu edificato il centro fortificato occupato dai Brettii, al di sotto del quale sono stati ritrovati i resti di un edificio più antico. Il centro è costituito da una poderosa cinta di mura munita di diverse porte d'accesso, da una postierla e da torri a rampe e scale, realizzate con grossi blocchi squadrati di arenaria risalenti alla seconda metà del IV sec. a.C. La grande Porta Est costituiva l'accesso principale al centro abitato ed era difesa da due torri a pianta circolare. Una terza torre proteggeva le mura a Nord-Est, garantendo il controllo su una parte della costa jonica.


Negli anni Cinquanta venne alla luce un'area pubblica nota come 'teatro', a pianta semicircolare e priva di edifico scenico. Oltre agli altri edifici che sorgevano vicino al teatro, occorre menzionare anche una cisterna per la raccolta delle acque, una struttura circolare realizzata con ciottoli di fiume. Il centro fu abbandonato probabilmente intorno al III sec. a.C. con la romanizzazione del territorio.
Una interessante ipotesi sulla fondazione del sito è stata formulata dallo studioso Domenico Canino, che si è soffermato sulla tipologia costruttiva della fortificazione, cioè il punto chiave per capire quale sia stata la civiltà artefice del sito. Il riferimento ai Messapi, popolazione italica della Puglia meridionale, non è fuori luogo. Basta osservare le murazioni di molti insediamenti messapici, tra cui Ceglie Messapica, per notare una grande similitudine con Castiglione di Paludi, forse costruita dalla stessa civiltà italica. Del resto non siamo lontani da quel territorio, ma questa è solo un'ipotesi di studio da verificare con un'analisi accurata dei reperti murari.

Cosenza, 20 novembre 2019
© Francesca Canino

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