Nei primi giorni di agosto, il comune di
Cosenza ha risolto il contratto con la ditta che ha eseguito buona parte della
pavimentazione dell’ultimo tratto di corso Mazzini. I lavori, iniziati circa un
anno e mezzo fa, furono sospesi nel mese di settembre 2019, in seguito alla
notifica, da parte della Prefettura di Cosenza, di una interdittiva antimafia
alla ditta aggiudicataria. Ricordiamo che i lavori sarebbero dovuti terminare
il 13 agosto 2019 e che il costo dell’opera era stato stabilito in
1.269.095 euro. La ditta impugnò subito il provvedimento e chiese al Tar di sospenderne
l'efficacia in attesa del giudizio di merito. Lo scorso aprile, il tribunale amministrativo ha annullato il
provvedimento prefettizio e i lavori sono ripresi in attesa della pronuncia del Consiglio di Stato.
Quest’ultima, giunta a fine giugno, ha, invece, ribaltato il
dispositivo e confermato l'efficacia dell’interdittiva. Il comune, ora, dovrà
affidare ad altra ditta la parte restante dei lavori. Una perdita di tempo e
denaro, oltre che di una parte del patrimonio storico-artistico della città. I
lavori dell’ultimo tratto di corso Mazzini sono iniziati, infatti, senza chiedere
le dovute autorizzazioni alla Soprintendenza, visto che le vie, la piazza e i complessi
interessati ai lavori risalgono ad oltre 70 anni fa e sono, dunque, soggetti al
vincolo monumentale (come lo è buona parte di corso Mazzini, su cui ogni
modifica, rifacimento e altro – vedi paletti di metallo – è stato effettuato
senza mai considerare il vincolo in questione).
È bene ricordare che l’area interessata dai
lavori in questione è contrassegnata dalla presenza di architetture e opere
d’arte significative, espressione di un periodo compreso nell’arco temporale
che va dal 1800 ai primi del ‘900 ed è rappresentato in particolare
dalla Fontana di Giugno (l’Etè di Mathurin Moreau, opera della
Fonderia artistica industriale Francesco De Luca di Napoli,1889, fusione in
ghisa che in precedenza fu presentata come struttura in marmo nell’Esposizione
universale di Parigi nel 1855); la chiesa del Carmine e l’annesso convento
seicentesco (appartenuto ai Carmelitani dell’antica osservanza, giunti in
Calabria nel 1582, fu abbandonato dai frati a causa dei gravi danni provocati
dal terremoto del 1783; fu soppresso nel 1809 e divenne sede della Guardia
Provinciale, poi caserma dei Carabinieri Paolo Grippo); gli arredi urbani
vegetativi e l’arte decorativa del secolo scorso, rappresentata dalle
opere di giardinaggio e arredo urbano da recuperare e restaurare. Non si deve
tralasciare la circostanza che nel sottosuolo dell’adiacente piazza
Matteotti sono stati rinvenuti resti di tombe brettie e romane. Non sembra che
sia stato designato un archeologo che segua i lavori, in considerazione del
fatto che ogni movimentazione di terra, specialmente in una regione come la
Calabria notoriamente definita museo a cielo aperto, deve essere fatta sotto lo
sguardo vigile di un archeologo che, in caso di ritrovamenti fortuiti, saprebbe
come comportarsi. Siamo di fronte all’ennesima opera abusiva, una prassi nella
città dei Bruzi, basti ricordare l’autorizzazione paesaggistica mancante per il
ponte di Calatrava, i palazzi del centro storico demoliti senza
l’autorizzazione della Soprintendenza, piazza Fera realizzata senza mai inviare
la documentazione dei lavori alla Soprintendenza, nonostante quest’ultima
l’avesse espressamente richiesta.
Cosenza, 19 agosto 2020
© Francesca Canino
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