‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

14 agosto 2019

Malasanità in Calabria, è ora di ribellarci




Agosto 2019: tra le varie notizie che affollano il web e i giornali cartacei emergono quelle riguardanti la sanità calabrese. Una vergogna leggere che a Castrovillari “Medico trasferito, stop agli interventi”, “Ortopedia a ore all’ospedale di Locri”, “Cetraro e Soverato, sospensione punto nascita”, “Cosenza, emergenza sangue”, “Cosenza, la lunga attesa degli OSS”, “Cosenza senza infermieri, si corra ai ripari”, “Ospedale chiuso a Cariati”, “Dimissioni reggente Asp: sanità cosentina allo sbando, ospedali a rischio chiusura” e tantissimi altri articoli che descrivono le condizioni della sanità regionale, da decenni in uno stato pietoso (http://francescacanino.blogspot.com/search?q=dossier+sanit%C3%A0).
Nonostante si siano avvicendati governi di diversi colori, assessori e commissari vari nominati per riequilibrare i conti e migliorare, conseguentemente, la sanità calabrese, in realtà non si è fatto altro che perpetuare una situazione di drammatica crisi, che nessuno ha potuto, o meglio voluto, risolvere. E alla domanda di salute dei cittadini, la risposta è stata per anni una sola: “Siamo in Piano di rientro”. Una giustificazione che non regge più. 
Nessuno ha mai reso pubblici i conti della sanità calabrese, nessuno ha mostrato le carte, nessuno si è impegnato seriamente per migliorare i nostri ospedali. Però i commissari sono stati retribuiti, e pure molto bene, mentre in Calabria si continua a morire e a subire le pesanti conseguenze della malasanità. Anche il cosiddetto Decreto Calabria tarda a far sentire i suoi effetti e per questo ci chiediamo per quanto tempo ancora i calabresi dovranno accontentarsi di una sanità raffazzonata, dovranno pellegrinare da una città all’altra per trovare un ospedale aperto e funzionante, dovranno emigrare in altre regioni per curarsi. Perché il commissario ad acta Saverio Cotticelli è immobile dinanzi a questa tragica situazione? Eppure la stampa nostrana non lesina notizie sulla malasanità e nessuno può dire di non essere stato informato su quanto avviene nelle strutture sanitarie calabresi, sui servizi da terzo mondo, sui Pronto soccorso presi d’assalto e inefficienti per mancanza di personale.
Ci chiediamo, inoltre, perché si è dimesso, pochi giorni fa, il direttore facente funzione dell’Asp di Cosenza? Perché nessuno ha mai ordinato un’ispezione in questa stessa azienda, diretta per lunghissimo tempo da un personaggio come Raffele Mauro? Perché nessuno indaga su tutti quelli che hanno fagocitato la sanità, assurgendo grazie ad essa al ruolo di dominus della politica calabrese, creando, sempre grazie ad essa, una rete di clientes che li mantiene al potere da oltre trent’anni? Perché i parlamentari calabresi sono immobili dinanzi a questo sciagurato sistema? E la commissione antimafia ha in mente di avviare delle indagini o non ritiene opportuno farlo? È possibile che a nessuno interessa la salute dei cittadini?
Sì, è possibile e sapete perché? Innanzitutto perché chi ci governa, a tutti livelli, ci considera solo elettori-servi-clienti-contribuenti senza diritti né umanità; in secondo luogo perché tutta questa massa di gente che ricopre posizioni di potere se ha problemi di salute si fa curare nei migliori ospedali italiani o stranieri, ha denaro a volontà per accedere a costosissime terapie e ha amici (sempre clienti) che assicurano loro la precedenza al Pronto soccorso anche se vi arrivano in codice bianco. 
Per noialtri, invece, solo un calvario infinito. È ora di ribellarci.
Cosenza, 14 agosto 2019
Francesca Canino



18 luglio 2019

Pappaterra presidente del Parco del Pollino e dell'Arpacal, un conflitto di interessi ai danni dell'ambiente


Un evidente conflitto di interessi si palesa nella figura di Domenico Pappaterra, fresco di nomina a direttore generale dell’Arpacal (Agenzia regionale per l'Ambiente), che dal 2007 riveste la carica di presidente dell'Ente Parco Nazionale del Pollino. Una nomina effettuata qualche settimana fa, nel corso di una riunione della Giunta regionale calabrese, presieduta da Mario Oliverio. 
Il presidente-neodirettore, in precedenza, è stato anche commissario straordinario dello stesso Ente Parco, assessore regionale all'Ambiente e Beni ambientali, Parchi e aree protette, Tutela delle coste e urbanistica e promotore dell’istituzione dell’Arpacal. In dodici anni di presidenza dell’Ente Parco, svolta senza alcun Piano Parco, ha svolto indisturbato una costante e documentata attività politico-clientelare, sperperando denaro pubblico (basti pensare all’eco-mostro di Campotenese) e dimostrando una comprovata incapacità gestionale, formalizzata più volte anche dal Collegio dei Revisori dei Conti. Dopo la tragedia del Raganello, Pappaterra non è stato rimosso dall’incarico e, nei primi di giugno, il presidente Oliverio lo ha nominato, senza alcuna procedura ad evidenza pubblica, direttore generale dell’Arpacal. 
Non è, però, solo una questione di incarichi: l’Arpacal esegue i controlli ambientali sull’intero territorio regionale, compreso il Pollino, e nel Parco è situata la centrale del Mercure (già di proprietà Enel, oggi del Fondo F2i) che la stessa Agenzia regionale aveva bocciato per motivi tecnici, ma fu imposta proprio da Pappaterra. L’Arpacal monitora sia le emissioni della centrale, sia i campi elettromagnetici (CEM) delle numerose linee di trasporto dell'energia elettrica di Terna (ramo di Enel) esistenti e costruende, potenzialmente cancerogeni per l'uomo. Ma non finisce qui, perché Pappaterra è anche presidente del Consiglio d’amministrazione dell’Osservatorio Ambientale sulla centrale del Mercure, sempre finanziato da Enel, al quale è demandato il compito di controllare gli effetti delle emissioni e pubblicare i risultati. 
Si è, dunque, in presenza di un assoggettamento alla politica di chi dovrebbe esercitare funzioni di controllo nel campo delle verifiche sull’ambiente e dinanzi a un emblematico caso in cui la figura del controllore e quella di controllato coincidono perfettamente. Ma al presidente Oliverio, in scadenza di mandato e già in campagna elettorale dopo le gravi vicende giudiziarie che lo hanno visto protagonista, sembra non interessare affatto.  

Approfondimento
La centrale a biomasse della valle del Mercure è un impianto che contiene tutte le enormi contraddizioni di questa fonte energetica pseudo-rinnovabile. Si trova nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, la più grande area “protetta” d’Italia, che è anche una Zona di Protezione Speciale (ZPS) dell’Unione Europea (UE). La centrale è di elevata potenza (41 MWe), ma di scarso rendimento (25% circa); brucia 350.000 tonnellate l’anno di biomasse da legno vergine, trasportate da oltre 100 camion che ogni giorno vanno a congestionare una rete viaria, all’interno del Parco, già disagevole per il solo traffico locale, e ad impattare assai negativamente, con i loro gas di scarico, sulla qualità dell’aria. Non è fonte rilevante di occupazione (le poche decine di addetti ENEL sono stati trasferiti da altre centrali con maestranze in sovrannumero), ma, anzi, crea evidenti problemi alle attività cui il Parco è naturalmente vocato (turismo, produzioni agro-alimentari di qualità). Immette in atmosfera un carico inquinante dannoso per la biodiversità del Parco e rischia di danneggiare la salute delle popolazioni residenti. È avversata da chi abita nelle sue adiacenze, da istituzioni locali e associazioni locali e nazionali, ambientaliste e non solo. Titolari di ditte calabresi, fornitrici di biomasse, sono stati arrestati con accuse di 'ndrangheta”. Perché, allora, si continua a tenerla in funzione? Per gli incentivi economici pubblici. Nel 2016, anno di entrata in funzione della centrale – dopo una vertenza durata quindici anni – essa ha fruttato ad Enel 49 milioni di euro (come dichiarato dallo stesso Amministratore Delegato dell’Azienda elettrica), di cui solo 10 milioni di euro da produzione di energia elettrica e 39 milioni di euro da incentivi pubblici. La produzione, inoltre, non viene fatta secondo le richieste di energia del territorio, poiché si produce un’eccessiva quantità di energia – che supera di molto il fabbisogno energetico della Calabria – per cui si ha bisogno di una quantità smisurata di biomassa necessaria al suo funzionamento, spesso reperita sul territorio dell’Unione Europea, rischiando di importare specie contaminate da pesticidi, pericolosissimi per la biodiversità del parco e per la salute dei residenti. La centrale opera con autorizzazione scadute e proroghe della Regione Calabria, che sono state anche impugnate dalle associazione ambientaliste del territorio e manca uno studio ad hoc sul microclima della Valle del Mercure (quello fatto è stato impostato sui dati di una valle diversa) e l’assenza di una Valutazione d’Impatto sulla Salute. Nel giugno scorso, F2i ha acquistato l’intero portafoglio di impianti a biomassa vegetale del Gruppo Enel e ha avviato accordi con le amministrazioni locali e con Coldiretti per la raccolta di sfalci da lavorazione agricola, pulizia degli alvei dei fiumi e del territorio boschivo. Equivale a dire che raccoglie tutta la legna dei territori, mentre in Italia, da nord a sud, si assiste inermi ai tagli di un gran numero di alberi e a potature sconsiderate in città e nelle aree extraurbane, probabilmente eseguite per alimentare le fameliche bocche delle centrali a biomasse.
Cosenza, 17 luglio 2019
Francesca Canino


04 luglio 2019

Carcioffolà, un canto popolare calabrese del 1700

Musica popolare calabrese
Sonatori calabresi del 1775

  
CARCIOFFOLA'
“La notte quanno dormo penzo tanto
E quanno penzo a buje mm’adormento
Vado ppe te parlare e non te siento,
Carcioffolà
Afflitti senzi miei martirizzati
Che un’ora di riposo non aviti,
Sono le mie speranze disperati
Vanno contra de mia le stelle uniti.
Amici non crediti a le Zitelle,
Quannu vi fanno squase e li verrizzi.
Ca sognu tutte quante trottatelle,
E pe ve scortecà fanno fenizzi,
Co lo ndà e ndà ndera ndà,
La falanca si è seduta
Non cammina, carcioffolà”.

CARCIOFFOLA' è il titolo di un canto popolare calabrese che, divenuto famosissimo in tutta Italia nel XVIII secolo, è oggi completamente sconosciuto.
Caduto nell'oblio già dal secolo successivo, aveva conosciuto una tale popolarità tanto da essere inserito nelle opere di Carlo Goldoni, uno dei padri della commedia italiana, e di Giovanni Paisiello, autore tra gli altri, de 'Il Barbiere di Siviglia'. Nel 1700, infatti, si sviluppò nel teatro napoletano 'l’Opera Buffa', un genere operistico costituito da storie popolari in cui i protagonisti erano ostesse e servitori. Spesso tratte dai canovacci della commedia dell’arte e musicate con arie semplici ed efficaci, gli autori usavano inserire nelle loro composizioni, canti popolari in voga, espediente che le rendeva ancora più gradite al vasto pubblico e permetteva di ottenere grandi ovazioni.
Il canto popolare calabrese 'Carcioffolà' ebbe varie versioni, poichè ogni suonatore lo variava e lo arricchiva: nella versione trascritta da Goldoni era un canto d’amore alla innamorata, mentre in quella più famosa usata da Francesco Cerlone e musicata da Paisiello nel 1770, era un canto di sdegno verso le donne.
A metà '800, l'aria di Carcioffolà viene ripresa dal grande Salvatore di Giacomo, che la tradusse in napoletano prima di essere riportata in un'opera musicata da Eduardo Di Capua. In questo contesto diventò un canto tra madre e figlia, con lo stesso ritornello, ma con il resto diverso dalla versione calabrese.
Il commediografo veneziano Goldoni lo inserì nel dramma giocoso in musica “La conversazione” del 1778, nella IV scena, in cui i due protagonisti don Fabio e Sandrino, sono 'vestiti da Calabresi col calascione' e cantano la Carcioffolà. I personaggi della commedia commentano alla fine dell’aria musicale: “Veramente è bizzarro il canto calabrese, possono divertir tutto il Paese”.
I 'sonatori calabresi' cantavano, come ci dice Goldoni, accompagnati dal 'calascione', specie di grosso liuto con manico lunghissimo, il cui pizzicato era usato come accompagnamento, e dagli archi della lira calabrese e della ribeca, strumenti popolari dal suono bellissimo. Dunque, i sonatori ambulanti calabresi, nel secolo dei Lumi, andavano in giro per tutta Italia, anche nei caffè di Venezia, a proporre i loro canti che divennero ben presto grandi successi, tanto da essere inseriti nelle opere teatrali.
Dal libretto originale di una rappresentazione tenutasi a Cosenza, nella primavera del 1778, per il governatore del re Tommaso Ruffo, si desume che il personaggio principale della commedia è donna Checca Spicadossa, donzella calabrese che spalleggiata dal fratello Vitantonio, cerca di fare imbrogli ed artifici per riuscire a sposare il ricco barone di Terra Asciutta, scontrandosi con la rivale Tonina, caffettiera Veneziana. Il contrasto tra la donna calabrese e quella veneziana, è anche musicale e mentre la Veneziana intona al barone canti con parole come 'musin, bucchin e putelo', la donna calabrese vince la sfida con un “Canto sulla chitarra alla Catanzarese” suonato in scena alla “chitarra battenno” (chitarra battente). Ma la parte musicale più importante è l’entrata in scena di Vitantonio, calabrese, fratello di Checca, che con la cetra (arpa portativa) appesa al collo, ha al suo fianco un piccolo ragazzo col violino e canta l'aria 'Carcioffolà'.
Oggi il testo e la partitura musicale sono custoditi presso il Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli. 

Cosenza, 4 luglio 2019
Domenico e Francesca Canino


19 giugno 2019

I lavori di corso Mazzini e il vincolo monumentale ignorato


Stravolta dai lavori. La città dei Bruzi ha mutato il suo aspetto negli ultimi anni a causa degli innumerevoli interventi edilizi subiti: dai cosiddetti rifacimenti alle opere ex novo, dalla realizzazione di inutili piazze alla chiusura di strade importanti. E poi cantieri in ogni dove, disagi provocati ai cittadini per la chiusura delle strade e dei marciapiedi interessati ai lavori, abbattimenti di alberi, interventi devastanti sui fiumi e milioni e milioni di euro sperperati.
A Cosenza sono state modificate intere zone della parte nuova, quella definita ‘al di là dei fiumi’, senza alcun rispetto per la storia recente, per i ricordi, per i più anziani che hanno perso i loro riferimenti. Uno scempio non solo fisico compiuto in nome del dio cemento, che numerosi appalti assegna alle ditte amiche per lavori, spesso, di nessuna utilità e bellezza.
Viatico elettorale, do ut des o solo desiderio - poco credibile - di una ‘città bella’, i lavori pubblici sono l’anima, molte volte nera, degli enti locali, disposti a tutto pur di mettervi le mani sopra. Accade, dunque, che la bramosia degli amministratori sia incontrollabile al punto da far ‘dimenticare’ di richiedere certe autorizzazioni quando si interviene su piazze, strade e manufatti realizzati da almeno settant’anni. 
Il riferimento è ai lavori di rifacimento dell’ultimo tratto di corso Mazzini, che comprende anche viale Trieste, corso Umberto e piazza XX Settembre. Pur volendo tralasciare in questa sede il costo esorbitante dell’opera, non si può non valutare il contesto di appartenenza: l’area è interessata da elementi relativi sia alla tutela storico-artistico-architettonico-archeologica, sia a quella paesaggistica. Ma, mentre per l’aspetto paesaggistico si configura un vincolo generico, per quello storico-artistico-architettonico-archeologico devono considerarsi gli aspetti legati alla conservazione del restauro e delle specifiche discipline nei settori di competenza. La giurisprudenza amministrativa e costituzionale riconduce le piazze, le vie, le strade e gli spazi urbani e pubblici realizzati da oltre 70 anni alla categoria dei beni culturali, indipendentemente dall’avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dall’articolo 13 del D. Lgs. 42/2004. 
È bene ricordare che l’area interessata dai lavori in questione è contrassegnata dalla presenza di architetture e opere d’arte significative, espressione di un periodo compreso nell’arco temporale che va dal 1800 ai primi del ‘900 ed è rappresentato in particolare dalla Fontana di Giugno (l’Etè di Mathurin Moreau, opera della Fonderia artistica industriale Francesco De Luca di Napoli,1889, fusione in ghisa che in precedenza fu presentata come struttura in marmo nell’Esposizione universale di Parigi nel 1855); la chiesa del Carmine e l’annesso convento seicentesco (appartenuto ai Carmelitani dell’antica osservanza, giunti in Calabria nel 1582, fu abbandonato dai frati a causa dei gravi danni provocati dal terremoto del 1783; fu soppresso nel 1809 e divenne sede della Guardia Provinciale, poi caserma dei Carabinieri Paolo Grippo); gli arredi urbani vegetativi e l’arte decorativa del secolo scorso, rappresentata dalle opere di giardinaggio e arredo urbano da recuperare e restaurare. Non si deve tralasciare la circostanza che nel sottosuolo dell’adiacente piazza Matteotti sono stati rinvenuti resti di tombe brettie e romane. Non sembra che sia stato designato un archeologo che segua i lavori, in considerazione del fatto che ogni movimentazione di terra, specialmente in una regione come la Calabria notoriamente definita museo a cielo aperto, deve essere fatta sotto lo sguardo vigile di un archeologo che, in caso di ritrovamenti fortuiti, saprebbe come comportarsi.
Tutti questi aspetti non risultano essere stati considerati, né, pare, siano disponibili i seguenti atti progettuali per il Restauro della Fontana: rilievo metrico delle componenti figurative dell'opera, analisi dei materiali costruttivi e dell'impianto architettonico in essere, analisi del degrado, intervento di restauro in tutte le parti costituenti l'opera. Per gli interventi nello spazio architettonico si richiedeva: rilievo topografico, analisi delle fasi storiche, analisi della rete infrastrutturale storica delle eventuali reti tecnologiche, planimetria delle nuove reti tecnologiche premette ed elementi proposti, planimetria dello stato di fatto e rilievo delle componenti spaziali nell'ambito storico, rilievo vegetazionale, studio dell'arredo urbano e proposte di sistemazione motivate, planimetria del sistema del Verde, studio dei percorsi con particolare attenzione a quello dei diversamente abili, studio dei materiali confacenti alla presenza di monumenti significativi, progettazione impiantistica con particolari esecutivi soprattutto in prossimità dei palinsesti storico artistici architettonici, esecutivi architettori e particolari tecnici della proposta accompagnata dalle relazioni esplicative.
Pare anche che la Provincia abbia eluso gli interessi primari di tutela demandati alla Soprintendenza, valutando una semplice ‘pavimentazione’. Inoltre, dalla relazione di accompagno della pratica viene introdotta la realizzazione di una linea tranviaria, che non sembra avere le autorizzazioni di legge. Si tratta della cosiddetta metropolitana leggera.

In conclusione: i lavori dell’ultimo tratto di corso Mazzini sono iniziati senza chiedere le dovute autorizzazioni alla Soprintendenza, considerato che vie, piazza e complessi interessati ai lavori risalgono ad oltre 70 anni fa e sono, dunque, soggetti al vincolo monumentale (come lo è buona parte di corso Mazzini, su cui ogni modifica, rifacimento e altro – vedi paletti di metallo – è stato effettuato senza mai considerare il vincolo in questione). La Provincia ha dato una valutazione troppo semplicistica ai lavori e il passaggio di un binario della famigerata metro, previsto davanti alla caserma, non avrebbe le autorizzazioni. Però i lavori sono iniziati e proseguono.

Si veda: Consiglio di Stato sez. VI, 24.01 2011, n. 482, secondo cui “Ai sensi del comma 1 dell'articolo 10, del D.Lgs. 42/2004 le piazze pubbliche sono “beni culturali” in quanto complesso appartenente ad un ente pubblico territoriale, non è richiesto che siano fatte oggetto di apposita dichiarazione di interesse storico artistico al fine di rientrare nella sfera di applicazione della relativa legislazione;
TAR Puglia, Bari, sez. II, 1.03.2013, n. 307, secondo cui: Dall’articolo 10, comma 4, lettera g) del Codice dei beni culturali e del paesaggio discende la riconduzione ex lege alla categoria dei beni culturali delle piazze pubbliche appartenenti all’ente territoriale e realizzate da oltre 70 anni, che presentano interesse artistico e storico indipendentemente dall' Avvio del procedimento di verifica e dalla specifica dichiarazione di interesse culturale prevista dal successivo articolo 13 del Codice, con la conseguente immediata applicazione del regime di tutela disciplinato dalla parte seconda del Codice”;
Corte Cost. 8.07.2010, n. 247;
Il Consiglio di Stato toglie ogni dubbio sulla diffusa opinione secondo cui vie e strade debbano ritenersi a tutti gli effetti ‘beni culturali’ solo in presenza della dichiarazione di interesse storico artistico di cui all’articolo 13. Infatti, con la sentenza numero 59347/2004 la VI Sez. rafforza l’orientamento secondo cui le pubbliche piazze, le vie, le strade e gli altri spazi urbani di interesse artistico o storico sono qualificabili come beni culturali indipendentemente da una specifica dichiarazione di interesse storico artistico;
La direttiva del’11.10.2012 del Ministro per i beni e le attività culturali concernenti “l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonché di qualsiasi altra attività non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale” la quale chiaramente afferma che “In ogni caso anche tutte le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani per i quali non sia stato emanato un puntuale provvedimento di vincolo, ma appartenenti a soggetti pubblici e realizzate da oltre 70 anni sono comunque sottoposte interinalmente all’applicazione del regime di tutela della parte seconda del Codice”.

Cosenza, 20 giugno 2019
© Francesca Canino





14 giugno 2019

Riqualificazione fiume Crati fuori dalle norme. Il silenzio degli enti e della Soprintendenza



I fiumi come gli alberi, nessun criterio seguito per le pulizie degli argini e per le potature. A Cosenza non si rispetta l’ambiente: mentre si oltraggia sistematicamente il verde urbano, sulle sponde del Crati si elimina, senza alcun criterio, tutta la vegetazione. È chiaro ormai da anni che il verde non piace agli amministratori bruzi, infatti, nonostante i numerosi appelli di alcuni comitati ambientalisti, in città si è continuato a tagliare e capitozzare e ora sono scese in campo anche le ruspe per la pulizia degli argini fluviali. In poche ore è stato distrutto l’habitat di molte specie acquatiche, una perdita che si aggiunge a tutte le altre che in città si verificano a ritmi inauditi. Per i fiumi, tuttavia, la questione si immette su binari diversi, offrendo l’opportunità per compiere una disamina sui progetti che hanno interessato e interesseranno i fiumi cosentini.
Da qualche anno, l’attenzione degli amministratori bruzi si è concentrata in maniera spasmodica sul fiume Crati: dalla ricerca del tesoro di Alarico, alla costruzione del museo a lui dedicato in seguito all’abbattimento dell’ex Jolly; dalla riqualificazione degli argini alla realizzazione del belvedere sul fiume e del parco delle scienze, progetti che, oltre a richiedere finanziamenti consistenti, necessitano di una serie di autorizzazioni da parte di altri enti. 
Il Quadro Territoriale Regionale a valenza Paesaggistica (QTRP), approvato con deliberazione del Consiglio regionale nel 2016, riserva particolari disposizioni per i principali fiumi calabresi, di cui il Crati è il maggiore. Nelle previsioni del QTRP, tutti gli interventi su fiumi e torrenti devono essere effettuati con il metodo dell’ingegneria naturalistica. Sono state stabilite delle fasce di rispetto e dalle direttive di cui all’art. 13 (comma 4, lett. a e b del Tomo IV) risulta che: “Sono esclusi nuovi interventi sulle aree fluviali e lacustri, ad eccezione di quelli necessari per la messa in sicurezza o la riduzione dei livelli di rischio ambientale”. Per questi motivi, si richiede una progettazione organica e completa per evitare incongruenze nelle proposte singolarmente pensate e presentate, come accade per il museo di Alarico o per il cosiddetto belvedere, che esula dai principi dell’ingegneria naturalistica e appare avulso dal contesto paesaggistico e dalla naturalizzazione del corso del fiume.
Discorso a parte merita il Parco fluviale del Crati, che per quanto concerne la ricaduta socio-economica-culturale e ambientale, in ragione del bacino idrografico interessato dovrebbe essere valutata la necessità di attivare una procedura VAS e VIA. Poiché le fasce fluviali e gli intorni degli alvei costituiscono gli elementi portanti degli apparati paesistici, che devono essere percepiti come ‘paesaggi di vita’, è necessario tener conto delle preesistenze storiche, artistiche, archeologiche e paesaggistiche presenti nelle fasce fluviali e nei territori limitrofi. Ci si chiede, dunque, se negli atti sono contenuti i cosiddetti ‘sbarramenti flessibili’, per i quali occorrono rendering da più parti e, proprio per il diverso regime idraulico, con particolari esecutivi in opportuna scala di rappresentazione.
E il Parco delle scienze? Pare, fra tutte le altre dimenticanze, che non sia stata verificata la compatibilità della proposta con lo sviluppo ecosostenibile previsto dalla normativa.
L’ennesimo massacro cittadino è andato in scena, ma ciò che indigna, a questo punto, è assistere all’immobilismo degli enti che avrebbero dovuto dare il loro assenso. Provincia, Regione, Segretariato del Mibact regionale, Soprintendenza, silenti e assenti su quanto avviene in spregio alla legge. Sono tutti complici?

Cosenza, 14 giugno 2019

© Francesca Canino

07 giugno 2019

Biblioteca Civica di Cosenza, i motivi della lunga crisi







Biblioteca Civica senza bilanci dal 2013, contributi ridotti da parte della Provincia, centinaia di migliaia di euro stanziati dal Comune mai giunti a destinazione. Queste notizie sono ormai di pubblico dominio, ma nessuno si è degnato di intervenire dopo averle apprese. Senza alcun dubbio, siamo di fronte a una condanna a morte della Biblioteca, e con essa della cultura cittadina, decretata già da diverso tempo. Ma procediamo con ordine e analizziamo gli ultimi fatti che hanno per protagonista il tempio del sapere bruzio.
Solo pochi giorni fa, i media locali hanno riportato, per la seconda volta nel giro di qualche settimana, i comunicati del Meet up Cosenza e oltre, dai quali si apprendono notizie piuttosto raccapriccianti sulla Biblioteca Civica di Cosenza. In seguito all'ennesima protesta dei dipendenti della Biblioteca, senza stipendio da dicembre scorso, il suddetto Meet up ha divulgato una serie di dati inerenti la situazione economica dell'antica e importante istituzione cosentina: “I bilanci della Biblioteca, preventivi e consuntivi, sono stati approvati solo fino al 2013. Dall'anno successivo ad oggi esistono solo delle bozze – fa sapere il Meet up Cosenza e oltree, visto che dal 2014 al 2018 nel bilancio preventivo della Biblioteca Civica era stata prevista un'entrata consistente, della quale non è stato possibile tracciarne la destinazione a causa della mancanza dei bilanci consuntivi, abbiamo chiesto e ottenuto l'accesso agli atti relativi ai bilanci 2010/2018 della Biblioteca sia alla Provincia, sia al Comune di Cosenza. Da una analisi di questi ultimi, si evince che la Provincia, dal 2010 al 2017, ha ridotto drasticamente il contributo destinato alla Biblioteca, partendo da uno stanziamento iniziale pari a 230.000 €, per arrivare a € 0. Per il 2018 non abbiamo ricevuto alcun atto, pertanto non si è a conoscenza di quanto è stato erogato e se è stato realmente erogato qualcosa. Nei bilanci comunali, invece, lo stanziamento iniziale non corrisponde puntualmente al totale delle liquidazioni. Ciò potrebbe significare che il Comune ha destinato centinaia di migliaia di euro alla Biblioteca, che probabilmente non sono giunti a destinazione poiché il Comune, a fronte di stanziamenti consistenti, ha, in sostanza, fatto pervenire alla Biblioteca una cifra inferiore. In pratica, non si è dato seguito a quanto preventivato e dopo gli stanziamenti effettuati realmente, nel corso dell’anno i fondi, con opportune variazioni di bilancio o mandandoli ad economia, sono stati destinati ad altro. Emerge il disinteresse mostrato verso la Biblioteca, usata come una cassa alla quale destinare fondi che poi vengono distratti. Non sappiamo a chi o per che cosa”.
Assenza di bilanci, dunque, erogazioni ridotte, fondi distratti, ecco perché la Biblioteca Civica muore nell'indifferenza delle istituzioni, concordi nel distruggerla perché sempre più distanti dalla cultura.

Salviamo la Biblioteca Civica di Cosenza

Cosenza, 7 giugno 2019
© Francesca Canino



31 maggio 2019

Operazione Cina: Clini, Hauser, comune di Cosenza




Roma - Finanziamenti milionari, appalti e tangenti nella vicenda Clini & Co. che nelle ultime ore è tornata alla ribalta.
Correva l'anno 2014 quando nel mese di maggio l'ex direttore generale e poi ministro dell'ambiente Corrado Clini venne arrestato per peculato. Emerse dall'inchiesta che duecento milioni di euro erano stati spesi dal Ministero dell'ambiente in Cina per progetti mai realizzati o mal realizzati. Altri 15 milioni di euro sarebbero stati stanziati per il Montenegro. Oltre a Clini, era finito ai domiciliari per lo stesso reato anche l'imprenditore Augusto Pretner. Quest'ultimo, socio dello Studio Galli, era responsabile del progetto per la salvaguardia e la riqualificazione del territorio iracheno, finanziato sempre dal Ministero guidato da Clini con 54 milioni di euro. Altri indagati nell'inchiesta erano la compagna di Clini, Martina Hauser, e alcuni imprenditori. Il quotidiano 'La Repubblica' scrisse  infatti: “Poi ci sono gli affari di famiglia. Non solo le collaborazioni con imprenditori o architetti amici e le consulenze affidate alla compagna, Martina Hauser, ma anche i contratti stipulati con i figli di Clini”.

Cosenza - Con la determina dirigenziale n. 157/2012 del  comune di Cosenza, avente ad oggetto la liquidazione di competenze professionali per le attività relative al “Programma di bonifica e risanamento ambientale comprendente i controlli di perdite idriche e della qualità dell'acqua”, si dispose il versamento di 40.000 euro «ad avvenuta incamero delle somme erogate dal Ministero» allo Studio Galli Ingegneria Spa di Padova, ovvero la medesima società citata nell’ordinanza di custodia cautelare emanata nei confronti di Clini e Pretner. Gli interventi di risanamento ambientale a Cosenza erano compresi nel programma attuativo dell'accordo tra il Comune di Cosenza e la Direzione generale per lo sviluppo sostenibile del Ministero dell'ambiente, stipulato il 2 agosto 2011, quando Clini era direttore generale del dicastero 'verde'. E a Cosenza l'assessorato all'Ambiente era guidato da Martina Hauser.

C'era un elemento comune – seppur indiretto e quindi al di fuori della vicenda giudiziaria – tra l’inchiesta della Procura di Ferrara costata i domiciliari all’ex ministro Corrado Clini e l’amministrazione calabrese retta dal sindaco Mario Occhiuto, elemento, tuttavia, non unico, visto che nella seconda inchiesta in cui fu coinvolto l'ex ministro Clini finì anche la sua compagna Martina Hauser, assessore a Cosenza dall'inizio dell'amministrazione Occhiuto fino a quando non venne indagata.

È d'obbligo a questo punto porsi alcune domande: perché le attività relative al Programma di bonifica e risanamento ambientale non furono affidate a uno studio di Cosenza o della Calabria? Perché il sindaco-architetto Occhiuto nominò Martina Hauser assessore all'ambiente del comune bruzio?

In relazione all’attività istituzionale della signora Hauser e ai motivi che l’avevano condotta da Trieste a Cosenza, dove viene ricordata esclusivamente per l’inaugurazione di un canile e per le ingenti risorse a ciò destinate, ci si è sempre chiesti quante volte l’assessore avesse partecipato alle riunioni di giunta e ai consigli e a quali costi (indennità, rimborsi, trasferte e altro). Non lo abbiamo mai saputo. I fatti indicano che la nomina della signora non avvenne per le sue competenze, quanto più probabilmente per i legami tra lei, il compagno e l’architetto Occhiuto, il quale, come è a tutti noto, ha lavorato in Cina proprio nel settore in cui l' assessore avrebbe – secondo la ricostruzione dei Pm - contribuito a rastrellare tangenti. Strano non ci fosse davvero nessuno adatto a ricoprire il ruolo di assessore all'ambiente al comune di Cosenza.

Ultimo interrogativo: perché i milioni (269 in totale) stanziati per la Cina, il Montenegro e l'Iraq non sono stati destinati alle emergenze italiane? Lo sfasciume pendulo è sempre più a rischio e le tragedie susseguitesi negli ultimi anni non sono altro che l'inequivocabile dimostrazione di un territorio ormai distrutto. «Non ci sono soldi» è la frase che i sindaci pronunciano con maggiore frequenza nei loro discorsi, però si impiegano milioni per finanziare opere da realizzare all'estero, architettando sistemi cervellotici per intascare tangenti e favorire parenti e amici.
Cosenza, 31 maggio 2019
Francesca Canino