‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

04 luglio 2019

Carcioffolà, un canto popolare calabrese del 1700

Musica popolare calabrese
Sonatori calabresi del 1775

  
CARCIOFFOLA'
“La notte quanno dormo penzo tanto
E quanno penzo a buje mm’adormento
Vado ppe te parlare e non te siento,
Carcioffolà
Afflitti senzi miei martirizzati
Che un’ora di riposo non aviti,
Sono le mie speranze disperati
Vanno contra de mia le stelle uniti.
Amici non crediti a le Zitelle,
Quannu vi fanno squase e li verrizzi.
Ca sognu tutte quante trottatelle,
E pe ve scortecà fanno fenizzi,
Co lo ndà e ndà ndera ndà,
La falanca si è seduta
Non cammina, carcioffolà”.

CARCIOFFOLA' è il titolo di un canto popolare calabrese che, divenuto famosissimo in tutta Italia nel XVIII secolo, è oggi completamente sconosciuto.
Caduto nell'oblio già dal secolo successivo, aveva conosciuto una tale popolarità tanto da essere inserito nelle opere di Carlo Goldoni, uno dei padri della commedia italiana, e di Giovanni Paisiello, autore tra gli altri, de 'Il Barbiere di Siviglia'. Nel 1700, infatti, si sviluppò nel teatro napoletano 'l’Opera Buffa', un genere operistico costituito da storie popolari in cui i protagonisti erano ostesse e servitori. Spesso tratte dai canovacci della commedia dell’arte e musicate con arie semplici ed efficaci, gli autori usavano inserire nelle loro composizioni, canti popolari in voga, espediente che le rendeva ancora più gradite al vasto pubblico e permetteva di ottenere grandi ovazioni.
Il canto popolare calabrese 'Carcioffolà' ebbe varie versioni, poichè ogni suonatore lo variava e lo arricchiva: nella versione trascritta da Goldoni era un canto d’amore alla innamorata, mentre in quella più famosa usata da Francesco Cerlone e musicata da Paisiello nel 1770, era un canto di sdegno verso le donne.
A metà '800, l'aria di Carcioffolà viene ripresa dal grande Salvatore di Giacomo, che la tradusse in napoletano prima di essere riportata in un'opera musicata da Eduardo Di Capua. In questo contesto diventò un canto tra madre e figlia, con lo stesso ritornello, ma con il resto diverso dalla versione calabrese.
Il commediografo veneziano Goldoni lo inserì nel dramma giocoso in musica “La conversazione” del 1778, nella IV scena, in cui i due protagonisti don Fabio e Sandrino, sono 'vestiti da Calabresi col calascione' e cantano la Carcioffolà. I personaggi della commedia commentano alla fine dell’aria musicale: “Veramente è bizzarro il canto calabrese, possono divertir tutto il Paese”.
I 'sonatori calabresi' cantavano, come ci dice Goldoni, accompagnati dal 'calascione', specie di grosso liuto con manico lunghissimo, il cui pizzicato era usato come accompagnamento, e dagli archi della lira calabrese e della ribeca, strumenti popolari dal suono bellissimo. Dunque, i sonatori ambulanti calabresi, nel secolo dei Lumi, andavano in giro per tutta Italia, anche nei caffè di Venezia, a proporre i loro canti che divennero ben presto grandi successi, tanto da essere inseriti nelle opere teatrali.
Dal libretto originale di una rappresentazione tenutasi a Cosenza, nella primavera del 1778, per il governatore del re Tommaso Ruffo, si desume che il personaggio principale della commedia è donna Checca Spicadossa, donzella calabrese che spalleggiata dal fratello Vitantonio, cerca di fare imbrogli ed artifici per riuscire a sposare il ricco barone di Terra Asciutta, scontrandosi con la rivale Tonina, caffettiera Veneziana. Il contrasto tra la donna calabrese e quella veneziana, è anche musicale e mentre la Veneziana intona al barone canti con parole come 'musin, bucchin e putelo', la donna calabrese vince la sfida con un “Canto sulla chitarra alla Catanzarese” suonato in scena alla “chitarra battenno” (chitarra battente). Ma la parte musicale più importante è l’entrata in scena di Vitantonio, calabrese, fratello di Checca, che con la cetra (arpa portativa) appesa al collo, ha al suo fianco un piccolo ragazzo col violino e canta l'aria 'Carcioffolà'.
Oggi il testo e la partitura musicale sono custoditi presso il Conservatorio di S. Pietro a Maiella di Napoli. 

Cosenza, 4 luglio 2019
Domenico e Francesca Canino


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