‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

04 agosto 2017

Violenza e denaro a fiumi, ecco la vera faccia dell'immigrazione - II Parte



L’affaire migranti è ormai chiaro: un giro enorme di denaro che interessa intermediari, tv locali africane, bande di carcerieri e scafisti, ong e centri di accoglienza vari. I politici hanno i loro tornaconti, la criminalità i suoi guadagni, gli Italiani i disagi e i migranti i maltrattamenti. Da qui alla schiavitù il passo è breve: la stragrande maggioranza dei migranti diventa forza lavoro a costo pari quasi allo zero, le donne prostitute, sui bambini si deve ancora capire cosa fare, intanto molti scompaiono, dall’inizio dell’anno si contano in Calabria 118 minori scomparsi. Per questi motivi, come non pensare che l’esodo sia una manovra per arricchire tanta gente? Intanto leggiamo le loro drammatiche storie di dolore e ingiustizie e poi interroghiamoci su quanta umanità c’è ancora in giro.

Dall’Africa subsahariana all’Italia,
la traversata della vergogna

dal Quotidiano del Sud del 15 luglio 2017
LE PROFONDE cicatrici resteranno per tutta la vita, saranno il ricordo di un’esperienza che ha ormai dilaniato le membra e l’anima di tanti giovani a colpi di bastonate inferte nel deserto e nella ‘prison’.
M. ha 16 anni e oggi si è pentito di aver fatto la traversata di mezza Africa e del Mediterraneo per giungere da migrante minorenne in Italia, vorrebbe essere con la sua mamma. È una delle tante storie raccontate attraverso il mediatore culturale Abdullah, un giovane marocchino che vive in Italia da anni e conosce bene lingue e culture del continente nero.
M., Ma., B. e altri giovanissimi provenienti da diverse regioni africane sono, da settimane ormai, gli ospiti del palazzetto dello Sport di Corigliano. Sorridono, parlano, alzano il pollice per comunicare che tutto ora va bene. La giovane età consente di dimenticare in fretta, anche se le esperienze che hanno vissuto e raccontato difficilmente saranno archiviate nei meandri della loro memoria. Sono scappati di casa per venire in Italia, attratti dall’immagine del bel paese che viene diffusa dalle tv africane, dai racconti di familiari e amici che hanno già compiuto la fatidica traversata. Solo fatidica?

Dai racconti dei ragazzi il viaggio si rivela un inferno in terra, pieno di mostruosità che lasciano increduli. Dalla fuga di casa fino a metà della rotta sul Mediterraneo, i giovani migranti non accompagnati subiscono fame e soprusi. E botte, tante botte senza alcun motivo, poi la sete, la prigionia e la paura di non farcela, di non ricevere il denaro dalle famiglie ed essere ammazzati e lasciati per sempre nel deserto. Il Sahara si attraversa in un mese e quattro giorni circa, lunghe carovane di uomini, donne e minori si avviano dai paesi della fascia subsahariana per raggiungere la Libia. Tre biscotti e mezzo bicchiere di acqua salata è tutto ciò che ingeriscono in un giorno, i più deboli si ammalano, alcuni muoiono e rimangono nel deserto. Picchiati e maltrattati di continuo da uomini armati, la carovana procede verso Nord, verso la Libia. Un primo punto di arrivo, ma non un sollievo. I migranti vengono immediatamente sbattuti nelle ‘prisons’, le prigioni libiche, dai muri altissimi, senza finestre, dove fa caldo e si suda, si mangia ogni quattro giorni sotto il controllo di uomini armati e le violenze sono indicibili. I più fortunati rimangono in prigione solo sei mesi, altri molto di più. Dipende anche da quando e quanto denaro le famiglie dei migranti faranno pervenire. Solo allora i libici li fanno salire sui gommoni guidati dagli scafisti alla volta dell’Italia. Un viaggio che dura quattro giorni. Ma a metà, una imbarcazione li raggiunge, carica lo scafista e lascia il gommone al suo destino. È in questo momento che sopraggiungono gli aiuti, navi che li caricano per farli approdare nei porti della Sicilia e della Calabria. Solo qui si abbandonano le paure, ci si sente liberi, si respira umanità. Si torna alla vita.
4 agosto 2017
© Francesca Canino

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