‘’In fatto di giornali non ne comprendiamo che di due specie: o giornali di partito che essendo l’espressione delle idee, delle aspirazioni, dei metodi di un dato partito, servono a propagare e difendere queste idee e questo metodo; o giornali notiziari cui cura precipua deve esser quella di servire il pubblico... Il giornalismo della prima maniera è missione, quasi sempre nobile e bella missione; l’altro è mestiere (nel senso buono della parola) o, se suona meglio professione. Il primo è vecchio, il secondo è giovanissimo e certo tentativo come il nostro in Calabria deve sembrare stoltezza più che audacia. Fra le due specie ve n’è una terza, il giornalismo di questa terza non è molto amico dell’onestà, per esso non esistono principi, fede, coerenza. Oggi sia lode a Dio, domani a Satana purché il ventre sia pieno, ben pieno”.
Cosenza, 3 gennaio 1895
Luigi Caputo, direttore di Cronaca di Calabria

07 dicembre 2014

Alarico e i falsi storici



 dal Quotidiano del Sud del 6-12-14

di FRANCESCA CANINO ©

CORSO MAZZINI si prepara al Natale. Ieri mattina hanno iniziato a sistemare le luminarie, che di natalizio hanno poco visto il tema prescelto. Pende sulla testa dei cosentini un grosso medaglione di luci al cui interno è raffigurato un volto molto noto attribuito ad Alarico I, il re che secondo leggenda è stato seppellito alla confluenza dei fiumi bruzi. L'immagine in realtà non gli appartiene – come abbiamo diverse volte spiegato proprio sulle colonne di questo giornale - sebbene sia largamente utilizzata da operatori culturali e commerciali come un marchio, o un brand, come si preferisce dire oggi. L'effigie, che consiste in un ovale che ritrae un busto e la scritta “Alaricus Rex Gothorum”, cioè Alarico re dei Goti, non si trova su una moneta del tempo, anzi non si trova affatto su una moneta, ma la cosa più importante è che essa non rappresenta Alarico I.
Da una ricerca effettuata presso il 'Kunsthistorisches Museum' di Vienna, dove l’oggetto è custodito, è emerso che si tratta di un sigillo.
La classificazione ufficiale di ciò che viene definito il 'logo di Alarico' riporta che esso consiste in uno zaffiro azzurro intagliato con grande perizia e incastonato in un anello d’oro. Era usato come sigillo alla corte del re visigoto Alarico II, vissuto tra il 484 ed il 507 dopo Cristo, nel suo regno in Spagna, a riprova di come i nuovi regni barbari emulassero i Romani nel commissionare intagli. L'immagine che da sempre vediamo (ab)usata come l'effigie di Alarico I, non raffigura lui, né un figlio, ma un altro re visigoto che regnò sui possedimenti ispanico-francesi circa 80 anni dopo la morte per malaria del primo Alarico. Un'ulteriore conferma perviene dalla più grande casa d’aste del mondo, Christie's, che nel 2002 ha battuto all’asta, al prezzo di 120.000 dollari, un secondo esemplare dello stesso sigillo e ha dato conferma dell'attribuzione dell'effigie ad Alarico II. L’immagine da sempre usata a Cosenza come simbolo di Alarico, dunque, con il re della leggenda sul Busento non ha nulla a che fare. Su Alarico e sulla ricerca del suo tesoro si potrebbe scrivere un lunghissimo trattato, di fantasia naturalmente, poiché le notizie storiche sono scarse e fors'anche dubbie e i ritrovamenti, ad oggi, inesistenti.


2 commenti:

  1. Riporto di seguito un articolo pubblicato su Il Quotidiano del Sud il 7 9 15

    Alarico, questo sconosciuto

    SI è appena insediato a Cosenza il comitato tecnico-scientifico per la progettazione di eventi culturali legati al mito di Alarico. È l’occasione giusta per fare un po’ di chiarezza sull’argomento, considerato che il re dei Goti Alarico, la sua morte improvvisa e il tesoro sepolto con lui sono sempre stati al centro dell’attenzione dei cosentini. Gli storici, trascurando tutte le altre fonti storiche sulle guerre gotiche, che ci forniscono molte notizie interessanti, si sono sempre concentrati sulle poche righe lasciateci da Jordanes, storico goto, il quale racconta che Alarico fu sepolto nel Busento.
    Il tesoro - I Goti giunsero in Calabria dopo il sacco di Roma del 410 d.C., volevano raggiungere l’Africa con tutto il bottino del saccheggio: ori, preziosi e tanto altro. La fine improvvisa di Alarico forse cambiò i loro programmi. Il re fu sepolto con un ricco corredo, ma la parte più rilevante del tesoro fu portata dai Goti in Francia, dove si diressero dopo la morte di Alarico. Lo storico bizantino Olimpiodoro narra, infatti, che Ataulfo, cognato e successore al trono di Alarico, espose tutto il prezioso tesoro a Narbonne, in Francia, nel giorno del suo matrimonio con la principessa bizantina Galla Placidia, come dono simbolico di nozze. Ma gli “storici” locali dimenticano sempre questo passo di Olimpiodoro per alimentare il mito del tesoro sepolto nel Busento. Vi pare mai possibile, se si segue un filo logico, che un popolo che aveva lottato e saccheggiato per anni tutta l’Europa lasciasse il prezioso bottino in una tomba sottoterra?
    L’altro tema storico su cui voglio soffermarmi è quello delle rappresentazioni iconografiche di Alarico che si sono succedute nei secoli. In primis l’anello d’oro con zaffiro azzurro incastonato recante l’effigie di un giovane re e la scritta ALARICUS REX GOTORUM, conservato a Vienna nel Kunsthistorische Museum. L’immagine, come tante altre volte ho scritto, non rappresenta affatto Alarico re dei Goti morto nel 410 nel Bruzio, ma un re del regno visigoto di Francia di oltre 100 anni dopo, chiamato Alarico II. Questo è riportato chiaramente nel catalogo del museo viennese e me lo ha confermato al telefono la gentile direttrice delle antichità Maria Theresien Platz. Associare, dunque, quella effigie al re Alarico morto a Cosenza è una bufala. Ciò nonostante si producono e vendono tanti oggetti a Cosenza con quella immagine.
    Infine, vorrei rendere giustizia a tutta l’iconografia che rappresenta il re visigoto con elmi muniti di corna, vestito da guerriero nordico con armature assolutamente improbabili. Anche per questo argomento sarebbe bastato leggere gli storici dell’epoca: i Visigoti erano sì un popolo guerriero, ma primitivo, non avevano che qualche spada forgiata da altri, non avevano nessun elmo o armatura. Erano dei selvaggi. I Romani nel 407 d.C. assoldarono Alarico nel Nord Est dell’Europa come mercenario per combattere i popoli Illirici. Egli accettò e fu nominato dall’imperatore di Bisanzio ‘’Dux dell’Illirico”, regione balcanica. E solo allora il re dei Visigoti diede ordine alle quattro manifatture della provincia, Margo, Raziaria, Naisso e Tessalonicco, di approvvigionare le sue truppe di una straordinaria quantità di scudi, elmi, spade e lance. E i poveri Greci ed Epiroti furono costretti a fabbricarle. L’esercito visigoto sino ad allora non aveva gli equipaggiamenti tipici delle armate romane imperiali. Aveva solo le spade. Questo è raccontato dallo storico Claudiano in ‘Eutropio’, Libro II, rigo 212 e nel ‘De bello gothico’, rigo 565. Quando vennero in Italia nel 410 d.C., cioè tre anni dopo, i Visigoti avevano armi, scudi ed elmi dei legionari romani, identici, fatti dalla stesse fabbriche. Immaginate i due eserciti, quello goto e quello romano, che usavano gli stessi equipaggiamenti!
    Dimenticate, dunque, tutte le icone di Alarico con gli elmi con le corna e le tuniche di pelliccia, la realtà storica fu totalmente diversa.
    Domenico Canino
    Architetto e storico

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  2. Dicono che si vuole alimentare un mito per fare marketing sulla leggenda del barbaro, ma allora perché costituire un comitato tecnico-scientifico per una favola?

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