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16 agosto 2018

Delitti e misteri calabresi: Le inspiegabili sparizioni dell'istituto Papa Giovanni


Giuseppe aveva 42 anni quando ha esalato l’ultimo respiro all’istituto Papa Giovanni 
che lo ospitava da anni. Un alone di mistero rimane ancora oggi sulle cause della morte, peraltro i suoi familiari non hanno ricevuto alcuna documentazione relativa al decesso. La triste storia di Giuseppe, un giovane con problemi mentali rinchiuso in diverse strutture psichiatriche da quando era un bambino e deceduto improvvisamente, si inserisce nella sconvolgente vicenda dell’Istituto Papa Giovanni XXIII (IPG) di Serra d’Aiello, in provincia di Cosenza, che da casa di accoglienza divenne casa degli orrori.
Il giovane giunse nella struttura nei primi anni ’90, dopo essere stato ospite in vari istituti. Già da quando era un bambino, la madre, che soffriva di una grave forma di depressione, decise di rinchiuderlo in un istituto perché manifestava alcuni disturbi psichici. La sua è stata una vita di sofferenze e incomprensioni: spesso veniva incatenato al letto e dimenticato dagli stessi operatori sanitari che avrebbero dovuto prendersene cura. Egli rappresenta l’emblema dell’indifferenza della nostra società, che miete vittime, non lenisce le sofferenze umane e calpesta i diritti dei più deboli, come Giuseppe, che morì improvvisamente nonostante una relazione medica di pochi giorni prima stabiliva un “lieve miglioramento delle condizioni del paziente affetto da ritardo mentale con turbe del comportamento”. Una morte inspiegabile.
L’IPG di Serra d’Aiello: Un caso che non rappresenta, tuttavia, un episodio isolato: l’Istituto Papa Giovanni di Serra d’Aiello, infatti, fondato per accogliere le sofferenze dei malati e dare loro sollievo, fu teatro di fatti inquietanti, aventi come protagonisti malati di mente, anziani, disabili, gente sola e abbandonata a se stessa. Un lager di ripudiati. Eppure, il suo fondatore, don Giulio Sesti Osseo, che aveva costruito la struttura negli anni ‘50, era una persona di grande umanità. Costretto in modo subdolo dalla Curia cosentina ad abbandonare la gestione dell’istituto circa mezzo secolo dopo la sua fondazione, don Giulio si ritirò e il Papa Giovanni fu affidato a don Alfredo Luberto. Sotto la sua gestione si verificò il declino della struttura e la trasformazione della casa di accoglienza in “clinica degli orrori”, malgrado gli esosi finanziamenti che la struttura riceveva. Introiti consistenti provenienti dai beni personali dei malati e dai contributi che la Regione Calabria erogava per l’assistenza ai numerosi degenti dell’istituto, migliaia e migliaia di euro inghiottiti dall’avidità del prete che viveva in una lussuosissima casa. Impreziosita da disegni di De Chirico, di oggetti d’oro e d’argento, da una scultura di Manzù, da mobili di lusso, sauna e palestra in mansarda, la casa di Luberto custodiva anche stilografiche preziose e rare collezione di orologi. Il prete con la passione per le moto, nipote a sua volta di un sacerdote cosentino, non si preoccupò mai di lasciare per settimane intere i degenti in mezzo alla sporcizia, tra zecche e scabbia, letti malmessi e senza coperte, finestre rotte anche d’inverno, a fronte di una retta giornaliera per ogni ricoverato pari a circa 150 euro, di cui solo 10/15 euro venivano spesi realmente per i malati. Per questi motivi fu indagato e sospeso a divinis, arrestato nel luglio del 2007 con l’accusa di aver distratto centinaia di migliaia di euro dalle casse del Papa Giovanni. In primo grado fu condannato col rito abbreviato a sette anni di reclusione, in Appello si chiesero cinque anni, pena confermata in via definitiva dalla Cassazione per truffa aggravata, utilizzazione di diffuse fatturazioni per operazioni inesistenti, falsificazioni di documenti contabili e malversazioni contro i degenti della casa di cura psichiatrica di proprietà della Curia cosentina. Gli imbrogli di Luberto coinvolsero anche amministratori e personale della struttura, fu indagato perfino l’allora vescovo di Cosenza, Giuseppe Agostino, che avrebbe dovuto vigilare e che invece lasciò Luberto libero di disporre dei fondi dell’istituto, mentre anziani, paralitici, malati di mente, mutilati, povera gente spesso non voluta dalle famiglie era trattata senza umanità, tra sporcizia, fame, degrado.
Ma l’orrore va oltre. La magistratura si trovò presto di fronte a casi di sparizioni, morti sospette, lesioni gravi, forse anche un traffico di organi. Su queste aberrazioni si aprì un’inchiesta per far luce sulla scomparsa di una decina di ospiti, mai ritrovati. Che fine hanno fatto questi degenti? Si sono allontanati dall’istituto alla ricerca della libertà o sono stati fatti sparire – come hanno ipotizzato gli investigatori – perché qualcuno voleva appropriarsi dei loro beni o dei loro organi?
Non trascorse molto tempo che saltarono fuori le stranezze delle cartelle cliniche, compilate tutte allo stesso modo, con diagnosi uguali. Molte di esse, relative ad alcuni ammalati, non furono mai trovate e tanti decessi non vennero neanche registrati. Si ipotizzò che dietro a ogni decesso non registrato vi fosse l’ombra di un omicidio.
Il monsignore avido: Ma torniamo al sacerdote Luberto, costretto a dimettersi da presidente della fondazione Papa Giovanni dopo una serie di riscontri. Nei giorni precedenti all’arresto, circolavano voci su fatture per viveri ‘fantasma’, merce che non corrispondeva a ciò che realmente arrivava nei magazzini. La gestione personalistica dei fondi destinati all’istituto aveva arricchito il prete-presidente sulla pelle dei poveri degenti. Il sacerdote Luberto milionario e gli ammalati tra le zecche, il freddo, la fame.
In questa sconcertante storia ci fu un episodio che scosse l’opinione pubblica e che decretò la fine dell’istituto: lo sgombero della struttura disposta dalla Procura di Paola il 17 marzo 2009. In piena notte, oltre 300 ospiti del Papa Giovanni furono trasferiti in altre strutture sanitarie della provincia, all’improvviso, all’insaputa dei familiari e soprattutto senza un motivo. Anziani e ammalati furono costretti ad alzarsi dai letti e a lasciare l’istituto in pigiama, senza avere il tempo di prendere le loro povere cose, tra urla, terrore, lacrime. Le immagini dei telegiornali trasmesse il giorno dopo l’evacuazione rimasero impresse nella mente di tutti e aprirono uno squarcio sulla clinica degli orrori: nessuno poteva più ignorare cosa accadeva a Serra d’Aiello. Perché la Curia cosentina non impugnò l’ordinanza per evitare il trasferimento degli ammalati? Rimarrà uno dei tanti enigmi della vicenda.
Il mistero degli scomparsi: I riflettori, a questo punto, si accesero sui pazienti scomparsi e sulle morti misteriose. La Procura di Paola ordinò la riesumazione di settanta salme custodite nei loculi del cimitero di Serra d’Aiello per accertare, con l’esame del DNA, che corrispondessero agli scomparsi. Furono riscontrate diverse anomalie durante l’ispezione, tra cui la presenza in alcuni loculi di due bare, realizzate appositamente di una dimensione più piccola del normale per farle entrare in un unico loculo. Ad un successivo controllo effettuato nel febbraio del 2010, con l’apertura delle singole bare si trovarono più corpi all’interno della stessa bara o corpi tumulati e successivamente spostati da una bara all’altra. Le ricerche non sortirono gli esiti sperati, dei fantasmi del Papa Giovanni non vi era neanche l’ombra. Scomparsi nel nulla e l’ipotesi del procuratore di Paola, cioè la sepoltura clandestina dei degenti, rimase senza riscontri.
Gli inquirenti cercarono anche di far luce sulla morte misteriosa di sette pazienti, tra cui Giuseppe, senza giungere ad alcun risultato.  
I misteri permangono.


Cosenza, 16 agosto 2018
©Francesca Canino

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