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18 agosto 2018

Delitti e misteri calabresi: Il rogo di corso Telesio del 18 agosto 2017


Un accesso sbarrato e tre persone e un cagnolino arsi vivi, chi ha chiuso quella porta? 

COSENZA - «Abbiamo tentato di salvarli precipitandoci al loro portone non appena abbiamo visto il fumo uscire dall’appartamento, ma varcato il cortile e giunti davanti all’ingresso della casa in fiamme ci siamo trovati davanti a una porta sbarrata. Strano, il portone era sempre aperto. Sempre. Quel maledetto 18 agosto, invece, la porta era stata chiusa dall’interno e ci ha impedito di salvare tre vite. Le fiamme divampavano con una velocità paurosa, il fumo avvolgeva ogni cosa al punto che non si vedeva quasi nulla, fuori un caldo torrido eccezionale e noi che cercavamo in ogni modo di salvare quelle povere vite».
C’è incredulità e sgomento nelle parole pronunciate dai vicini di casa della famiglia Noce, spettatori addolorati della tragedia consumatasi a corso Telesio, nel centro storico di Cosenza, il 18 agosto dello scorso anno, in cui hanno trovato la morte Antonio Noce, suo nipote Roberto Golia e la convivente di quest’ultimo, Serafina Speranza. E anche il loro cagnolino.

Il racconto di chi ha cercato di aiutarli è drammatico, gli amici e i conoscenti ripercorrono i momenti dell’apocalisse, sentono ancora addosso il terrore di quel pomeriggio rovente, segnato dalle fiamme e dal denso fumo che aleggiava sulla città: «Nel primo pomeriggio, una grossa colonna di fumo ha invaso una parte di Cosenza vecchia, abbiamo capito subito che proveniva dalla casa dei Noce. Molti residenti si sono dati da fare per avvertire i vigili del fuoco e il 118, mentre dall’appartamento in fiamme provenivano le urla disumane di Serafina, che chiedeva aiuto e ci diceva che stavano morendo. Il cagnolino abbaiava sul balcone. Abbiamo cercato di sfondare il portone, ma invano perché ben chiuso. Conoscevamo bene le abitudini dei tre e sapevamo che il portone della loro abitazione era sempre aperto». Perché quel pomeriggio era chiuso?
Constatato che l’accesso principale era sbarrato, ai residenti e agli amici accorsi in aiuto sono bastati pochi secondi per capire che tutto sarebbe stato più difficile e che quel che sembrava una disgrazia si stava infittendo di mistero. Proprio il portoncino - ben chiuso – ha subito alimentato il sospetto di una trappola in piena regola, ordita da qualcuno che, dopo aver innescato il fuoco, ha sbarrato l’ingresso, nell’intento forse di imprigionare definitivamente le tre vittime.  E a suggerire questo particolare inquietante – già nell’immediatezza dei fatti – sono stati alcuni testimoni: molti di loro i primi soccorritori. Da chi era stato chiuso il portone?
«AVVOLTI DA LINGUE DI FUOCO» - Per un attimo Antonio avrebbe provato a sfidare la sorte: «Buttati, buttati - gli hanno detto gli amici - ma non c’è riuscito, l’altezza gli ha fatto troppa paura, quanto le fiamme. E, quasi come se si fosse rassegnato all’idea della morte,  è ripiombato tra le lingue di fuoco. Non lo abbiamo più visto, purtroppo».
Mezz’ora appena e l’intero edificio è stato avvolto dalle fiamme. Lingue di fuoco alte e prepotenti, che hanno incenerito suppellettili, scale e solai in legno. E che i pompieri, impegnatissimi in altre zone della provincia a causa dei numerosi incendi dello scorso anno, hanno cominciato a domare poco meno di trenta minuti dopo lo scoppio dell’incendio, dovendo prima anche imbattersi in un grosso intoppo: l’idrante di fronte alla casa infuocata era fuori uso. Ciò li ha costretti ad attaccare le pompe agli appartamenti vicini, così trovandosi a dover fare i conti con la carenza idrica che s’abbatte periodicamente sulla cittadina bruzia. Una lotta contro il tempo fino all’arrivo dell’autobotte: intanto, le fiamme si sono propagate irrimediabilmente al piano superiore, dove le tre vittime hanno cercato riparo nella remota speranza che qualcuno sbloccasse l’accesso all’abitazione. Le lingue di fuoco, alte e foriere di morte, in breve hanno avvolto tutto il palazzo.

IL TERRIBILE EPILOGO - Le urla disperate e l’abbaio continuo del loro cagnolino lentamente si sono affievolite. Le dimensioni del rogo hanno impedito l’accesso a chiunque: le cianfrusaglie raccolte nel tempo dalle vittime – avvezze a portare in casa ciò che trovavano per strada - hanno concorso a innescare la bomba letale. E così, in poche ore, è andato tutto in cenere: anche i corpi di Antonio, Roberto e Serafina. Un fuoco ardente per oltre quattro ore e la grossa quantità di acqua riversata per domarlo ha aumentato il rischio dei crolli. Dei loro corpi non è rimasto un granché: tirati fuori dalle macerie soltanto il giorno dopo, si sono mostrati irriconoscibili, tanto che per il riconoscimento si è ricorso all’esame del DNA. Nei mesi successivi, sono stati celebrati i funerali delle tre vittime in cattedrale, senza i resti dei loro corpi, restituiti ai familiari solo poche settimane fa.

IL SOSPETTO È CHE IL PORTONE SIA STATO CHIUSO A CHIAVE VOLUTAMENTE Le tre vittime – come tante altre persone che vivono nel centro storico di Cosenza – erano gli emarginati della società, la stessa che chiede giustizia. Ma si è davvero trattato di incendio doloso? Gli inquirenti hanno passato al vaglio i filmati girati con gli smartphone dagli abitanti che hanno assistito alle fasi più terribili del rogo. Nelle loro mani ci sono anche le riprese di alcune telecamere di zona, che potrebbero aver immortalato qualcuno uscire proprio dal vicolo che dà l’accesso alla palazzina andata a fuoco.
A distanza di un  anno esatto, non si può ancora escludere che vi sia stato un ideatore in questo piano criminale e che non abbia agito al solo scopo di spaventare o minacciare i tre sciagurati. L’obiettivo era uccidere? Questa la pista privilegiata dagli investigatori.

«INDAGHIAMO ANCHE PER OMICIDIO» - La Procura di Cosenza ha ipotizzato la matrice dolosa della disgrazia dopo aver ascoltato i testimoni e aver constato il portone di casa serrato. Le indagini sono andate avanti in questi mesi, ma non sono state ancora chiuse, si segue la pista dell’omicidio. Per gli inquirenti resta improbabile, intanto, l’ipotesi che Antonio, Roberto e Serafina possano aver giocato con il fuoco, per cuocere qualcosa o per altro.
I LIBRI ANDATI IN FUMO – L’incendio sviluppatosi nello stabile in cui viveva la famiglia Noce, si è propagato nel corso delle ore anche all’edificio adiacente, un palazzo storico appartenente a un privato, Roberto Bilotti, che da poco lo aveva ristrutturato e arredato per poter ospitare anche importanti eventi. Una buona parte di esso è andata in fumo, si sono, infatti, bruciati mobili, quadri e una libreria contenente – a detta di Bilotti – testi antichi, tra cui una copia del De Rerum Natura Iuxta Propria Principia del filosofo cosentino Bernardino Telesio. Il proprietario Bilotti, che da tempo aveva segnalato alla procura – come si è affrettato a dire ai media nazionali e internazionali – la pericolosità dei Noce per il suo patrimonio, deteneva anche manoscritti, documenti, incunaboli. Nello specifico, Bilotti ha sottolineato che i componenti della famiglia erano soliti accendere il fuoco per cucinare o per riscaldarsi e che questo avrebbe potuto costituire un pericolo per i suoi beni. Nei giorni successivi, è stato escluso che l’incendio fosse partito dalla casa delle vittime ed è emerso che il patrimonio librario di Bilotti era meno prezioso di quanto egli stesso aveva, nell’immediatezza, affermato e che era sconosciuto non solo alla Soprintendenza archivistica della Calabria, come ha fatto sapere il soprintendente Mario Pagano con una lettera inviata ai giornali il giorno dopo l’incendio, ma anche alle personalità del mondo culturale e politico cittadino.
Cosenza, 18 agosto 2018
© Francesca Canino   

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