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26 maggio 2020

Tamponi e contagi in Calabria, le bravate del presidente Santelli e del deputato Sapia



Potrebbe essersene andato quasi all’improvviso dopo oltre tre mesi di terrore, morti, ammalati, quarantene e restrizioni. Potrebbe essere ancora in circolazione, meno aggressivo forse, ma sempre tra noi. Il SARS-CoV2-19, dopo aver sconvolto l’intero pianeta, sembra essere scomparso, almeno nell’italico suolo, intorno al 4 maggio, come dimostrano le reazioni e i comportamenti delle persone nella cosiddetta ‘fase 2’. Infatti, tra movida, spiagge affollate, aperitivi e assembramenti senza il rispetto delle regole, molto spesso privi di controlli, si deduce che il virus sia ormai solo un ricordo. A sostegno di quanto appena affermato, intervengono i numeri, drasticamente ridotti, dei contagi, che negli ultimi giorni in Calabria risultano essere pari allo zero. Ma quanti sono i tamponi realmente effettuati e processati nella fase 2?


Dopo aver appreso che migliaia di tamponi sono stati probabilmente congelati e abbandonati in alcuni magazzini, i dubbi si sprecano, anche perché nessuno si è degnato di chiarire quello che era stato denunciato con grande clamore. Ma procediamo con ordine e facciamo un salto indietro: il 12 maggio scorso, il deputato M5S Francesco Sapia ha richiesto indagini immediate in seguito alla circolazione sui social di un audio di un operatore del 118, il quale dichiarava che in Calabria potrebbero essere stati congelati migliaia di tamponi non processati, con grave pregiudizio per la salute dei calabresi. Secondo Sapia «sarebbe del tutto falsato il bollettino giornaliero dei contagi comunicato dalla Regione Calabria, che per disposizioni della Protezione civile nazionale sta gestendo l’emergenza sanitaria relativa al Covid-19».


Un fatto gravissimo che ha occupato le prime pagine dei quotidiani locali e nazionali per alcuni giorni, destando preoccupazione e sdegno tra i cittadini, convinti che nell’affaire fossero implicati diversi dirigenti e forse anche il presidente della regione Santelli. Quest’ultima si era già resa responsabile dell’imposizione del bavaglio a giornalisti e dirigenti sanitari, affinché non rilasciassero agli organi di stampa informazioni sui numeri del contagio. Dai primi di aprile, difatti, i numeri sui contagi, i ricoveri, gli isolamenti, i guariti, i decessi sono prerogativa della regione. Difficile pensare che possano corrispondere al vero dopo i fatti denunciati da Sapia, che, con un comunicato del 15 maggio, ha chiesto di sciogliere «i forti dubbi che nessuno ha ancora fugato, a partire dal commissario dell’Asp di Cosenza, Giuseppe Zuccatelli, che non ha ancora fornito elementi precisi» e ha trasmesso una richiesta di accesso agli atti al direttore della centrale operativa del 118 dell’Asp di Cosenza, Riccardo Borselli, per conoscere il numero dei tamponi giacenti alla data del 12 maggio. Il parlamentare ha anche assicurato che «non ci fermeremo finché non si farà luce, al di là delle indipendenti, preziose attività della magistratura. È doveroso che i responsabili sanitari collaborino, nell’interesse di tutti i calabresi».

Inutile dire che il tutto si è risolto in una bolla di sapone. Sapia non ha fatto più domande e non ha cercato le risposte ai quesiti posti in precedenza, i suoi interlocutori si sono guardati bene dal proferire verbo e tutte le altre forze politiche si sono mostrate indifferenti. Eppure, il caso dei tamponi congelati e abbandonati è un fatto gravissimo che non sarebbe dovuto cadere nel dimenticatoio, come purtroppo è avvenuto. I cittadini ora devono sapere perché i tamponi sono stati congelati, chi ha dato l’ordine di congelarli, perché i politici calabresi non si sono interessati alla vicenda e perché Sapia ha sollevato il polverone e poi non ha insistito per avere risposte. Sono ormai trascorse due settimane dalla scoperta dei tamponi congelati e il ritorno alla normalità, con tutti i rischi che potrebbe comportare, avrebbe dovuto indurre il deputato a cercare la verità. Invece si tace.


Politici e amministratori calabresi hanno deciso che in regione i contagi devono essere zero, che le attività devono riprendere, che non si può impedire di fermare gli affari della stagione estiva alle porte. Con buona pace del virus e dei parlamentari che agitano le acque, ma anche di quelli che si sono voltati dall’altra parte per non vedere.
Cosenza, 26 maggio 2020
© Francesca Canino


 






21 maggio 2020

icittadinisegnalano: A piazza Fera distrutto il commercio e la vita delle persone



Sono un commerciante di piazza Fera, prima di tutto un cittadino e mi rivolgo ai media per invitare al buon senso l'attuale amministrazione comunale. Penso che con questa lettera interpreterò anche il pensiero dei miei colleghi, visto che dal 2014 in poi il sindaco e la sua competente amministrazione hanno inteso bene iniziare dei lavori di rimodulazione della "vivibilità e sostenibilità" della nostra città, partendo appunto da piazza Fera, che a loro avviso doveva essere il fiore all'occhiello della città. I ritardi burocratici e/o le incompetenze hanno trasformato i lavori in un'odissea. Amavamo la vecchia piazza, perché c'era la possibilità di andare sia verso corso d'Italia che verso via Simonetta (direzione autostrada), dandoci la possibilità di parcheggiare sulla piazza e di usufruire dei servizi commercial offerti con sosta veloce. Ad oggi non è stata completata realmente, nonostante i lavori di riqualificazione siano iniziati e terminati in 4 anni, il doppio di quelli previsti. 

Abbiamo sempre cercato un dialogo con l'amministrazione sia nella figura del sindaco che in quella di assessori e consiglieri di maggioranza e minoranza per cercare di subire meno danni possibili, ma vista l'entità dei lavori e parte di negligenza non siamo riusciti ad evitare 4 anni di sofferenza e privazioni pagando naturalmente sempre di tasca nostra. Abbiamo avuto i pannelli di recinzione del cantiere ad un metro dalla porta d'ingresso dei nostri locali ed abbiamo sopportato e resistito cercando di pensare ad un futuro radioso prospettato in pompa magna dall'amministrazione comunale. Abbiamo fatto presente le nostre problematiche per il protrarsi dei lavori sia al prefetto, nella figura del dottor Tomao che alla Questura, ai vigili, senza avere nessun tipo di risposta tantomeno risoluzione. Siamo finalmente arrivati alla consegna dei lavori, dicembre 2016, sfiniti, snervati e svenati, pensando stupidamente di poter finalmente ricominciare a vivere, lavorare, respirare e di ricevere i tanti paventati benefici di utenza sbandierati dall'amministrazione. Parlammo con l'assessore Pastore per far installare un disco orario per sosta veloce, 10/15 minuti sul lato che va da via Caloprese a via Alimena e che costeggia il marciapiede, avendo avuto rassicurazioni da parte dell'assessore andammo nuovamente in buonafede e nuovamente fummo smentiti dalle loro promesse bugiarde. Chiedemmo un incontro ed un confronto come sempre al "deus ex machina " e padrone incontrastato del nostro comune, il sindaco, sempre vago ed inconsistente nella risoluzione dei nostri problemi e badate bene, siccome secondo loro non eravamo ancora saturi di tutte le vicissitudini di crisi e di lavori hanno pensato bene di mettere la ciliegina sulla torta installando un doppio senso di circolazione anomalo con guida a sinistra. Poi hanno pensato bene di chiudere via Roma e di deviare il traffico naturalmente su piazza Fera. A questo punto, hanno tolto quel po’ di normalità che si stava ricreando. Molti di noi, se non tutti, abbiamo investito ingenti capitali senza poter avere la possibilità lavorare nella maniera adeguata. 

Con questi esempi di genialità nella realizzazione della piazza e di ciò che la circonda, il risultato è stato che le persone hanno paura ad attraversare perché arrivano auto da tutte le parti, non abbiamo la possibilità di far sostare un veicolo per effettuare un acquisto veloce come accade in altre strade della città, abbiamo una qualità dell'aria irrespirabile… e tanti altri disagi.

Ultimamente è arrivato il sequestro della parte superiore ed inferiore della piazza da parte della Dda di Catanzaro e in precedenza l'avvento del Covid-19, due eventi che hanno definitivamente segnato la fine della piazza, che tra topi e spazzatura è un vero spettacolo. A causa del sequestro, le attività che pur hanno pagato la tassa per l’occupazione del suolo pubblico, non potranno più usufruire degli spazi per cui hanno pagato. Per questo chiediamo di liberare la strada, riproponendo il senso unico di circolazione, dando la possibilità ai nostri concittadini di poter usufruire velocemente dei nostri servizi con sosta a tempo e chiediamo inoltre alla nostra amministrazione di poter collaborare il più possibile perché con la costruzione del parcheggio ha obbligato tutti noi a pagare l'abbonamento annuale di quasi 1000 euro per poter parcheggiare e per poter lavorare. 

C’è poi la questione sicurezza, in quanto la piazza era stata individuata dalla Protezione civile come centro di raccolta in caso di calamità naturali o altro e ad oggi non è così, inoltre non si può assicurare la viabilità ai mezzi di soccorso, infatti le ambulanze, a causa del traffico intenso e della piccolissima bretella costretti a percorrere, che va da via Alimena verso via Simonetta, sono costrette ad attraversare la piazza per intero sbucando su corso Luigi Fera, ex corso d'Italia, per riuscire a salvare vite umane. 
Esigiamo da cittadini onesti e collaborativi un incontro congiunto nella sede opportuna con gli adeguati sistemi di sicurezza con le maggiori istituzioni della nostra città, per chiedere che vengano prese in considerazione le nostre richieste. Pretendiamo che i nostri diritti non vengano calpestati.
Lettera firmata



18 maggio 2020

Cosenza: Movida senza regole a Santa Teresa, i residenti segnalano alle autorità

Movida più sregolata del periodo pre-pandemia a Santa Teresa. Noi, residenti di Santa Teresa, abbiamo notato che da giorni la piazza è tornata ad essere affollata di giovanissimi che si svagano dopo due mesi di confinamento. Favoriti dalle alte temperature di questi giorni, i ragazzi riprendono le vecchie abitudini – a dispetto di chi diceva durante la quarantena che nulla sarebbe stato più come prima – e dimenticano le pene della forzata chiusura in casa, distraendosi con alcol e chiacchiere tra amici. Ovviamente senza rispettare il distanziamento previsto, né indossare le mascherine, come se la pandemia non fosse mai esistita. E così, anche sabato sera, come era già successo nei giorni precedenti, una moltitudine di giovani si è ritrovata nella piazza, in prossimità di alcuni locali, per ‘stare insieme’, dimenticando di indossare la mascherina e di mantenere le distanze tra di loro. Le foto e i video che alleghiamo ne sono la prova.

Val la pena ricordare che i contagi sono in aumento in tutta la penisola e che il16 maggio in Calabria sono stati registrati sette casi positivi, un numero che è destinato a crescere poiché nessuno controlla e impone il rispetto delle regole. Sui tamponi non si conosce la verità, non si sa, infatti, quanti ne siano stati eseguiti, quanti processati, quanti abbandonati nei frigoriferi. Non dimentichiamo che ultimamente sono rientrate molte persone dal Nord, alle quali non è stato fatto il tampone e questi potrebbero essere delle mine vaganti. Il rischio di un secondo confinamento potrebbe essere realtà.
Il comportamento dei giovani della movida ci indigna, temiamo un’ondata di contagi e un nuovo lockdown, con tutti i problemi che esso comporta. 

Per questo motivo - dopo aver purtroppo dovuto constatare che la polizia è intervenuta, ma evidentemente questo non è bastato a ristabilire le regole, e che la polizia municipale non si vede, abbiamo segnalato agli organi competenti quanto sta avvenendo in queste sere e invochiamo i dovuti controlli affinché si rispettino le regole. Cosenza potrebbe diventare zona rossa nel giro di una decina di giorni e i suoi abitanti potrebbero di nuovo essere rinchiusi in casa con l’estate alle porte. Bisogna pensare ai bambini e agli anziani che non reggerebbero una seconda quarantena, al blocco di ogni attività economica che contribuirebbe a impoverire ancor di più le famiglie. E non si sa, inoltre, come potrebbe manifestarsi la seconda fase dei contagi, considerato che il virus ancora si consce molto poco. A parte ciò, le regole devono essere rispettate e i tutori dell’ordine devono vigilare per farle osservare, in gioco c’è la nostra salute e il nostro futuro.
Comitato Santa Teresa

13 maggio 2020

Covid-19, verità cercasi da Regione e Centro regionale sangue



DECRETI e ordinanze a iosa. Pur nel rispetto di quanti hanno perso la vita e di tutti i contagiati, il Covid-19 sarà ricordato anche per la pletora degli atti governativi emanati nell’arco di circa un trimestre e per le ordinanze regionali, in particolare quelle calabresi, che tanto hanno fatto discutere, spesso perché risibili. Tra istituzione di zone rosse, obblighi per chi rientrava da altre regioni, chiusure e riaperture di bar e altre attività commerciali, il presidente della Regione Calabria, di solito in notturna, ha emesso una serie di provvedimenti per fronteggiare l’emergenza Covid-19. Ma è stata davvero contrastata?

Esaminiamo alcune ordinanze regionali:
·         24/04/2020 (n. 35): “sono consentite a far data dal 27 aprile 2020: le prestazioni specialistiche ambulatoriali presso le strutture private accreditate e private autorizzate…”, la sanità privata riprende a erogare prestazioni, la pubblica no;
·         24/04/2020 (n. 36): “è revocato il disposto della chiusura domenicale e nei giorni festivi, delle attività commerciali consentite, ferme restando le prescrizioni, gli indirizzi e le misure nazionali e regionali vigenti…”, si riaprono dunque i supermercati di domenica, come se i lavoratori non corressero alcun rischio rispetto agli altri;
·         29/04/2020: “È consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto”; ordinanza impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri perché ritenuta illegittima.  È stata annullata dal Tar Calabria il 9 maggio scorso;
·         30/04/2020: “2. È consentito, a far data dal 4 maggio 2020, ai cittadini calabresi fare rientro presso la propria residenza… 3… il dipartimento di Prevenzione valuterà la necessità/opportunità di effettuare il tampone rino-faringeo”, il tampone non è obbligatorio dunque, non viene effettuato a tutte le persone che sono rientrate in Calabria e i contagi potrebbero essere numerosi.
·         06/05/2020: dall’11 maggio 2020, nel territorio regionale sono garantite le prestazioni specialistiche ambulatoriali presso le Strutture pubbliche territoriali”, dopo 15 giorni dalla riapertura delle strutture sanitarie private si dispone quella delle strutture pubbliche.

Basterebbe già questo per comprendere la superficialità e gli interessi di chi governa la Calabria, protesi verso l’universo della sanità privata, favorita e coperta troppe volte durante l’attuale pandemia. Una Giunta regionale meno frivola avrebbe dato chiare risposte ai cittadini che chiedevano insistentemente la verità su Villa Torano, su Chiaravalle, su San Lucido, sui motivi che hanno spinto la dirigenza della casa di riposo di Mongrassano a non effettuare i tamponi ai suoi ospiti.
Ieri, 12 maggio, il deputato M5S Francesco Sapia ha chiesto indagini immediate dopo aver appreso da un audio di un operatore del 118 che in Calabria potrebbero essere stati congelati migliaia di tamponi non processati, con grave pregiudizio per la salute dei calabresi. Secondo Sapia «sarebbe del tutto falsato il bollettino giornaliero dei contagi comunicato dalla Regione Calabria, che per disposizioni della Protezione civile nazionale sta gestendo l’emergenza sanitaria relativa al Covid-19».
C’era già il sospetto che sui reali contagi non si avessero numeri certi, sospetto alimentato anche dal divieto fatto dal presidente Santelli ai dirigenti regionali e ai direttori delle Asp e delle Aziende ospedaliere calabresi di rilasciare agli organi di stampa informazioni sui numeri del contagio (https://www.senzabavaglio.info/2020/04/10/covid19-in-calabria-la-censura-avanza-e-si-imbavagliano-i-giornalisti/).

Un quadro inquietante. Oggi la situazione sanitaria appare incerta: quanti sono in tutto i contagiati in Calabria? Sono in quarantena? Circolano liberamente infettando gli altri? Quanto inciderà sulla propagazione del virus la riapertura dei bar disposta la scorsa settimana? Quanti pazienti sono stati trasfusi, e dove, con plasma iperimmune? Quest’ultima domanda nasce in seguito alle dichiarazioni rilasciate alla stampa da alcuni medici, che hanno parlato di cura con il plasma prelevato dai pazienti guariti. In questo caso, anche il Centro Regionale Sangue dovrebbe fornire dati precisi in merito, visto che in Calabria tutto ciò che ruota intorno al Covid-19 è oscuro, manipolato, fuori controllo.
Cosenza, 13 maggio 2020
© Francesca Canino

  

08 maggio 2020

Azienda ospedaliera di Cosenza: ecco l’Atto aziendale 2020, ovvero “Parturient montes, nascetur ridiculus mus”





Nei primi giorni dello scorso mese di marzo
è stato approvato l’Atto aziendale dell’A.O. bruzia,
passato quasi in sordina per l’avvento della pandemia.
Vi propongo di seguito la disamina impietosa
che ho avuto modo di compiere  sull’organizzazione dell’Hub cosentino,
affinché ognuno possa venire a conoscenza
delle scelte ‘strategiche’ attuate dalla dirigenza.

Nel rispetto della tempistica imposta dal “Decreto Calabria”, la Struttura Commissariale dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, agli inizi di marzo, ha licenziato il nuovo Atto Aziendale. Peccato che rispetti solo la tempistica. Sovrastato da Covid-19, è passato in sordina, non lasciando modo di apprezzare quanto ha disatteso e addirittura stravolto il senso e gli obiettivi del Decreto Calabria.
Questo imponeva alla Regione la stesura di linee guida per i nuovi atti delle aziende sanitarie calabresi, al fine di cancellare tutte le incrostazioni accumulatesi negli ultimi trent’anni. Nessuno, né il Dipartimento regionale né il Commissario ad Acta, ha fatto nulla e, in questo vuoto cosmico, il Commissaria dell’A.O. di Cosenza e la sua Direttrice Sanitaria hanno stilato il nuovo Atto Aziendale sulle vecchie linee guida del 2016.

Non avendo fatto grandi resistenze a farsi consigliare dai soliti “amici degli amici” ben noti ai più, il tutto è finito nel fare qualche ritocco per favorire e accontentare i questuanti di turno.
Nella premessa, la solita pomposa retorica infarcita dalle consuete scadenti menate sull’efficientamento della struttura aziendale. Nelle successive 60 e passa pagine, nessuna apertura a nuove possibilità assistenziali rivolte all’abbattimento dell’emigrazione sanitaria e nessuna vera riorganizzazione di dipartimenti o di strutture complesse. Ad esclusione di qualche struttura semplice in meno (quasi tutte legate alla quiescenza dei titolari e un paio per levarsi da torno soggetti “sgraditi”), per il resto solo gioco delle tre carte con mezze figure che scompaiono da una parte per ricomparire dall’altra, ma senza una vera progettualità.

Scompaiono due Dipartimenti, ma ne vengono creati altrettanti nuovi. Uno di questi è il frutto di una semplice manipolazione, eseguita ad arte, per creare lo spazio funzionale alla creazione dell’altro, che pare uscito fuori dal cilindro di un prestigiatore: “Governo clinico”. New entry assoluta sul piano nazionale e mondiale. È il primo dipartimento intitolato a un modello gestionale di strutture sanitarie. Il termine è la traduzione dall’anglosassone clinical governance, ossia governo dei clinici. È una “strategia mediante la quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei servizi e del raggiungimento-mantenimento di elevati standard assistenziali, stimolando la creazione di un ambiente che favorisca l’eccellenza professionale” (dal position statement “il governo clinico nelle Aziende Sanitarie” GIMBE 06/02/09). In effetti, nello stesso Atto Aziendale, all’art. 12 “Il Direttore Sanitario”, è scritto che: “Il Direttore Sanitario (quello Aziendale n.d.r.) è il garante del governo clinico dell’Azienda, con riferimento alla qualità e all’efficienza delle prestazioni erogate dalle strutture aziendali”. L’art. 23 ribadisce cosa sia il governo clinico. Nell’art. 26, intitolato “il Governo Clinico”, però, dopo un ulteriore pletorico preambolo su cosa significhi, si incontra un autentico esercizio di filosofia teoretica (volgarmente detta “arrampicata sugli specchi”) per spiegare il perché vi sia bisogno di inventarsi un intero dipartimento per fare quello che potrebbe tranquillamente gestire una U.O.S. 

La schizofrenia che permea questa parte del documento è ancora più evidente nell’art. 34: “I dipartimenti e l’organizzazione dipartimentale”. Vengono descritte nuovamente, questa volta in modo corretto, natura e funzioni dei dipartimenti, smentendo così le motivazioni del crearne uno denominato Governo Clinico. Questo Dipartimento viene costituito con tre U.O. Complesse (Direzione Sanitaria di Presidio, Accettazione e Accoglienza Attività Sanitarie, Farmacia) e due Dipartimentali (Accreditamento e Qualità, Ingegneria Clinica) e un ufficio (Rapporti con il Pubblico). Ma cosa fa una U.O.C. Accettazione e Accoglienza Attività Sanitarie? Nonostante l’ampia spiegazione, risulta comunque difficile comprenderlo davvero. Di quali titoli dovrà essere in possesso il futuro Direttore dell’U.O.C.? Quale laurea e specializzazione? In quale specialità avrà dovuto svolgere gli almeno sette anni di attività necessari a costituire abilitazione alle funzioni apicali? Probabilmente tali quesiti non avranno mai risposta perché, è presumibile, che non sarà mai attivata. Il motivo di tale presunzione sarà chiaro più avanti. Nel cercare di comprendere le vere ragioni che giustificano l’esistenza del dipartimento, ci si pone altre domande. Qual è la logica che ha fatto includere la U.O.C. di Farmacia in un Dipartimento così fatto? E l’U.O.S.D. Ingegneria Clinica (struttura tecnico-amministrativa)? La risposta potrebbe essere molto più semplice di quanto a prima vista possa apparire. Così strutturato, il dipartimento riesce ad essere composto da 5 strutture, numero minimo richiesto dalle linee guida del 2016. Ma un dipartimento deve avere un Direttore scelto tra quelli delle U.O.C. afferenti al Dipartimento stesso. Quello di Farmacia è andato in quiescenza e non si è ancora proceduto a indire il concorso per la sostituzione. L’altro non c’è, essendo l’U.O.C. ancora una scatola vuota che, probabilmente, lo resterà per sempre in quanto “inventata” solo per giustificare la formazione del Dipartimento. È chiaro che questo Dipartimento è stato costituito per affidare una direzione in modo blindato al Direttore dell’U.O.C. Direzione Sanitaria di Presidio, almeno fino al prossimo Atto Aziendale.

Per il Dipartimento Materno-Infantile Area Nord, invece, si potrebbe tranquillamente parlare di capolavoro dell’inventiva. Già nel nome vi è in nuce l’obiettivo da raggiungere. Per comprenderlo è necessario fare qualche premessa. L’A.O. di Cosenza è l’unico hub della provincia la quale, nell’organizzazione della sanità regionale, viene denominata Area Nord. Nella stessa area è presente l’Azienda Sanitaria Provinciale, nella quale convergono tutte la altre strutture sanitarie dell’Area Nord. Anche l’A.S.P. ha un proprio Dipartimento Materno Infantile. Questo vuol dire che, sullo stesso territorio, insistono due dipartimenti materno-infantili, ma facenti parte di due diverse aziende. La normativa vigente prevede che le due aziende creino, in accordo, un Dipartimento Interaziendale. Questo coordinerà le attività di quelli delle due aziende che restano separati. L’A.O., con questo Atto Aziendale, fa un salto in avanti. Nell’articolo 36, al suo Dipartimento, dà un nome con il quale trasmette la volontà egemonica sull’intero territorio. Infatti, non lo denomina semplicemente “Dipartimento Materno-Infantile”, ma aggiunge “Interaziendale Area Nord”. La cosa viene ulteriormente sottolineata nell’articolo 41, di sole due righe, intitolato “I Dipartimenti Interaziendali”. Qui si ribadisce: “L’Azienda conferma il Dipartimento Interaziendale Materno-Infantile Area Nord in sinergia con l’ASP di Cosenza come descritto in precedenza”. È chiaro che si vuol giocare sulla sovrapposizione di denominazione tra i due Dipartimenti, aziendale ed interaziendale, che dovrebbero, però, restare distinti. Infatti, mentre i Dipartimenti aziendali sono strutturali, quello interaziendale è, per norma, funzionale e quindi senza una superiorità gerarchica, ma con sole funzioni di coordinamento.

Ma non finisce qui, i bene informati fanno sapere che nella versione dell’Atto Aziendale presentata ai sindacati è scomparso un malevolo articolo 42 bis, in parte confluito nel citato art. 36, salvo per le ultime due righe. In queste si decretava un’indennità per il Direttore del dipartimento interaziendale che, essendo funzionale, non può ricevere alcuna indennità. Probabilmente, a qualcuno sarà venuto in mente che, anche per un Atto Aziendale del genere, sarebbe stato veramente troppo. In pratica, il Direttore di dipartimento che lo fosse diventato anche di quello interaziendale, avrebbe percepito una ulteriore indennità, non ben quantificata, ma che si può immaginare altrettanto, se non più, corposa.
Continuando ad analizzare l’organigramma del Dipartimento, si evidenzia che, in un miscuglio di arroganza, delirio di onnipotenza e assoluto spregio di qualsiasi logica, scompaiono strutture fino a ieri ritenute irrinunciabili:
·         l’U.O. Fisiopatologia della Riproduzione Umana viene depotenziata da Dipartimentale a Semplice e inglobata nell’U.O.C. di Ginecologia ed Ostetricia;
·         l’U.O. di Anestesia Area Materno Infantile diventa U.O. di Anestesia e Analgesia in Ostetricia e Partoanalgesia, ma anche questa non più Dipartimentale, bensì Semplice e nella U.O.C. di Terapia Intensiva del Dipartimento di Emergenza;
·         l’U.O.S. Banca del Latte Umano Donato e gestione del neonato fisiologico, scompare;
·         l’U.O.S. di Cardiologia Neonatale e Pediatrica e Diagnostica Cardiologica Prenatale perde la parte Prenatale e Pediatrica, vedendosi aggiungere una Diagnostica per Immagini (generale? E le strutture pediatriche dell’area della Radiologia?);
·         ricompare una U.O.S. STEN, che, negli ultimi tre atti aziendali compare e scompare peggio che il sole a marzo.

Il capolavoro, però, si concretizza nella rinuncia all’U.O.S.D. di Terapia Intensiva Pediatrica. Unica in Calabria e con tutti i presupposti per diventare punto d’attrazione regionale ed extraregionale, viene depotenziata a Struttura Semplice e affidata (e sono due) all’U.O.C. di Terapia Intensiva del Dipartimento d’Emergenza. Ciò a dispetto di tutta la legislazione e le linee guida ministeriali sulle peculiarità delle strutture pediatriche, per rispondere solo a mire accentratrici dei soliti noti. Ma questa è un’altra storia da analizzare in altra sede. Nella bramosia di eliminare soggetti scomodi e per compiacere qualcuno hanno dimenticato che, così facendo, il Dipartimento Materno Infantile Area Nord rimane composto da sole quattro strutture e, quindi, non in linea con le linee guida regionali. A qualcuno importerà?

Il resto dell’Atto Aziendale, per quel che riguarda gli altri Dipartimenti, è solo storia di prestidigitazione. Cose volgarmente dette “marchette”, nella migliore delle tradizioni di questa nostra sciagurata Terra. Spostamenti di strutture di comodo e prebende per nuovi e vecchi vassalli. Strutture duplicate e quadruplicate per accontentare questo o quell’elemosinante. Alcune che dovrebbero essere solo degli ambulatori, altre ancora che funzionano per 6/12 ore al giorno per 5/6 giorni alla settimana pur essendo “d’Emergenza”.

A questo si è ridotto il cambiamento, l’efficientamento dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza: “I monti avranno le doglie del parto, nascerà un ridicolo topo”. Pessimo segnale per la Sanità regionale.
Cosenza, 8 maggio 2020
© Francesca Canino