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20 novembre 2019

L'aviatrice che nel 1930 cadde dal cielo nel mare di Belmonte di Calabro


Oggi Google ha dedicato il suo doodle a Maude Rose "Lores" Bonney, la pioniera dell'aeronautica che nel 1933 dall’Australia volò da sola verso l’Inghilterra. 

Tre anni prima, un'altra donna si accinse a compiere una lunga traversata a bordo del suo apparecchio, un guasto, però, la fece precipitare nel mare calabro. Miss Spooner era una giovane aviatrice inglese che decise di compiere il raid Londra-Città del Capo nei primi giorni di dicembre del 1930. Stava sorvolando la penisola italiana con il suo apparecchio ed era diretta verso la punta dell'Africa, ma precipitò in mare a tre chilometri di distanza dalle rive di Belmonte Calabro. Dopo aver gridato per  cercare soccorso, Miss Spooner decise di raggiungere a nuoto la costa, mentre il capitano Edwards, suo compagno di volo, rimase a bordo dell’apparecchio. La donna giunse alla stazione di Belmonte Calabro a notte fonda, ove fu soccorsa dai presenti. Nel frattempo, i richiami di aiuto lanciati dal capitano Edwards furono uditi da alcuni pescatori, che diressero le loro imbarcazioni verso l’apparecchio. Dopo vari tentativi, l’aviatore fu tratto in salvo e l’aeroplano, fermato con delle funi, fu trasportato a riva.
L'avventura dell'aviatrice inglese, testimoniata da foto e filmati in bianco e nero emersi da uno storico archivio, è la dimostrazione della diversa situazione femminile esistente nel 1930 tra donne che vivevano a diverse latitudini del vecchio continente.
Il brano che segue è la cronaca dettagliata dello sfortunato episodio incorso a Miss Spooner riportato su un giornale dell'epoca.


Da "Il Telegrafo" - 5 dicembre 1930

L’apparecchio di miss Spooner, sorpreso dalla tempesta, precipita in mare al largo di Belmonte Calabro

Roma, 4 notte.

«Giunge notizia da Belmonte Calabro che la valorosa aviatrice inglese Miss Spooner, per un guasto al suo aeroplano, è precipitata in mare. L’aviatrice ed il suo compagno di volo si sono salvati. Come è noto Miss Spooner stava tentando di battere il record di volo Londra - Città del Capo. Ieri sera, alle 18,40 aveva felicemente atterrato all’aeroporto del Littorio, dove erano ad attenderla numerosi aviatori. Miss Spooner, che aveva brillantemente partecipato al giro aereo d’Italia, è stata molto festeggiata durante la sua brevissima sosta a Roma per i rifornimenti. Si era dichiarata soddisfatta dell’inizio del suo raid e della prova data dall’apparecchio nella prima tappa di volo, durata esattamente 10 ore e 40 minuti. L’aviatrice aveva detto: “Sono partita da Lympne alle 7, ora inglese, ossia alle 8 italiane. Ho volato ininterrottamente. Il viaggio è stato ottimo, tranne per alcune centinaia di chilometri sulla Francia meridionale, dove forti banchi di nebbia ostacolavano la visibilità. Ho tagliato le Alpi Marittime a 4200 metri per evitare di allungare la rotta seguendo la costa - ed aveva quindi soggiunto - da Roma a Catania piloterà invece il mio compagno Edwards”. Dopo aver compiuti i rifornimenti, Miss Spooner ed il capitano Edwards, alle 20,20, salutati dai presenti, avevano ripreso il volo diretti verso Catania.
La notizia pervenuta ora da Belmonte Calabro segnalerebbe come certa l’interruzione del superbo ed ardimentoso raid. Alle 23 l’apparecchio dell’aviatrice inglese, a causa di un guasto che per il momento non è dato precisare, è precipitato in mare nello specchio d’acqua davanti alla stazione di Belmonte Calabro. Nella caduta, miss Spooner è stata lanciata fuori dell’apparecchio. Nella notte Miss Spooner ed il capitano Edwards hanno invocato con alte grida aiuto, grida però che non sono state udite. Coraggiosamente, dopo due ore Miss Spooner si è gettata a nuoto ed è riuscita a raggiungere la riva. Data l’ora tarda e non trovando anima viva, l’aviatrice si è diretta verso la stazione di Belmonte Calabro, ove è stata trovata semisvenuta e raccolta da un fanalista della ferrovia, che l'ha trasportata a braccia alla stazione dove ella ha ricevuto i primi soccorsi. Il personale stupito le si è fatto subito intorno. Miss Spooner, intirizzita ed esausta, è stata immediatamente soccorsa e rianimata. Frattanto, alcuni pescatori hanno finalmente udite le grida di soccorso del capitano Edwards e con magnifica prontezza sono stati inviati soccorsi. Il Delegato podestarile di Belmonte Calabro, non appena conosciuto il fatto, è partito con due barche a remi alla ricerca dell’apparecchio che alle ore 5 di stamani è stato rinvenuto a circa 100 metri dalla spiaggia ove era stato trasportato dalla corrente favorevole. L’aeroplano, semi-sommerso, era tenuto a galla dalle ali. Il pilota trovavasi aggrappato al timone.
L’aviatrice Spooner, dopo aver ricevuto le cure del sanitario comunale, accompagnata dal Podestà, è partita anch’essa con un’altra barca a remi alla ricerca del compagno e alle 6 ha raggiunto l’apparecchio presso il quale stava una delle due barche precedentemente partite alla ricerca. Le due barche insieme hanno così potuto effettuare il rimorchio dell’aeroplano che è stato gravemente danneggiato e salvare il capitano Edwards. I due piloti sono stati ospitati nella casa del Podestà. Hanno riportato varie contusioni ed escoriazioni dichiarate guaribili in circa dieci giorni. Il capitano Edwards ha presentato lievi sintomi di assideramento. Entrambi sono però in stato generale buono. Sono accorsi subito sul posto il direttore dell’Ospedale di Cosenza con un assistente e materiale sanitario. I due sinistrati godono ospitalità e cure premurosissime da parte delle autorità locali. Il Ministro dell’aeronautica ha inviato sul posto un ufficiale che ha raggiunto in volo la località, mettendosi a disposizione dei due aviatori».


Un lieto fine insperato per l'aviatrice e il suo capitano.
Ci saremmo aspettati, a dire il vero, una inversione delle parti, considerato anche il periodo storico: Edwards intento a compiere la breve traversata per cercare aiuti e Miss Spooner, tremante di freddo e di paura, sola nell'apparecchio ad attendere l'arrivo dei soccorsi. Non andò così ed è facile immaginare che il comportamento adottato dal capitano inglese suscitò certamente il sarcasmo dei maschi calabresi. Una ammirazione senza limiti, invece, fu dimostrata all'alta aviatrice, coraggiosa e intraprendente, straniera, distante dalle loro donne che sarebbero rimaste immuni per tanti anni ancora dall'esempio dato dalla donna inglese.

Cosenza, 20 novembre 2019
© Francesca Canino


Castiglione di Paludi, il sito italico dalla poderosa cinta di mura




Il traffico di reperti archeologici scoperto dai Carabinieri NTPC ha fatto emergere una serie di scavi clandestini compiuti in Calabria che hanno interessato anche il sito di Castiglione di Paludi. Il suo parco archeologico è da sempre preda di saccheggi e l'operazione dei giorni scorsi denominata "ACHEI" lo ha ampiamente dimostrato. Rimane ben poco delle vestigia italiche risalenti all'età del Ferro e risulta quasi impossibile mettere in atto azioni di tutela, sia per mancanza di fondi, sia per mancanza di amore verso il proprio territorio. Eppure, Castiglione di Paludi custodisce i resti di una storia antica, molto antica.

A Sud di Sibari il sito archeologico di Castiglione di Paludi occupa la sommità di un colle di oltre 35 ettari, protetto da pendii scoscesi e quasi impenetrabili. La sua posizione geografica, alle pendici della Sila greca, consente di controllare i vicini colli, una parte della costa e della valle del torrente Coserie.
Gli archeologici hanno distinto due diverse fasi nell’occupazione del sito, abitato nell'arco di tempo compreso tra il IX e il III secolo a.C.: la prima fase si riferisce a un abitato indigeno dell’età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.), nota dai corredi funerari di Piana d’Agretto, recuperati nel corso degli scavi degli anni '50 del secolo scorso; la seconda, risalente al IV-III sec. a.C, è caratterizzata dall’abitato fortificato a cui appartengono le strutture monumentali visibili.
Le campagne di scavo iniziate dalla Soprintendenza archeologica della Calabria nel 1950 hanno portato alla luce notevoli emergenze monumentali, come il circuito murario, l'ampio teatro semicircolare, una serie di edifici pubblici e privati e vari oggetti, tra cui statuette fittili votive, capitelli, ceramica a vernice nera e numerose monete di varia datazione e provenienza. Alcuni ritrovamenti archeologici, come i bolli in lingua osca, hanno fatto ritenere che il sito fosse stato abitato dai Brettii.
Sulla collina di Piana d’Agretto è stata rinvenuta una vasta necropoli di cui sono note oltre 40 tombe del tipo a fossa terragna delimitata e coperta da pietre. Nei corredi funerari erano contenuti punte di lancia, fibule, braccialetti e vasi. Non si conosce ancora l'esatta ubicazione del villaggio italico da cui provengono i reperti della necropoli.
Da alcuni studi effettuati sembra che la frequentazione sia cessata dopo la fondazione di Sibari (VIII sec. a.C.). Il sito non rimase tuttavia disabitato fino al IV sec. a.C., quando fu edificato il centro fortificato occupato dai Brettii, al di sotto del quale sono stati ritrovati i resti di un edificio più antico. Il centro è costituito da una poderosa cinta di mura munita di diverse porte d'accesso, da una postierla e da torri a rampe e scale, realizzate con grossi blocchi squadrati di arenaria risalenti alla seconda metà del IV sec. a.C. La grande Porta Est costituiva l'accesso principale al centro abitato ed era difesa da due torri a pianta circolare. Una terza torre proteggeva le mura a Nord-Est, garantendo il controllo su una parte della costa jonica.


Negli anni Cinquanta venne alla luce un'area pubblica nota come 'teatro', a pianta semicircolare e priva di edifico scenico. Oltre agli altri edifici che sorgevano vicino al teatro, occorre menzionare anche una cisterna per la raccolta delle acque, una struttura circolare realizzata con ciottoli di fiume. Il centro fu abbandonato probabilmente intorno al III sec. a.C. con la romanizzazione del territorio.
Una interessante ipotesi sulla fondazione del sito è stata formulata dallo studioso Domenico Canino, che si è soffermato sulla tipologia costruttiva della fortificazione, cioè il punto chiave per capire quale sia stata la civiltà artefice del sito. Il riferimento ai Messapi, popolazione italica della Puglia meridionale, non è fuori luogo. Basta osservare le murazioni di molti insediamenti messapici, tra cui Ceglie Messapica, per notare una grande similitudine con Castiglione di Paludi, forse costruita dalla stessa civiltà italica. Del resto non siamo lontani da quel territorio, ma questa è solo un'ipotesi di studio da verificare con un'analisi accurata dei reperti murari.

Cosenza, 20 novembre 2019
© Francesca Canino

18 novembre 2019

L'operazione ACHEI e il traffico internazionale dei reperti archeologici



L'operazione ‘Achei’ condotta dalla Procura della Repubblica di Crotone ha individuato un'associazione a delinquere specializzata nelle ricerche archeologiche clandestine, che ha danneggiato il patrimonio archeologico dello Stato, impossessandosi illecitamente di beni culturali statali con l’aggravante della transnazionalità. 
La Calabria viene depredata da sempre, ormai sarà rimasto bene poco di tutto il tesoro archeologico che vantava, d'altronde nessun provvedimento concreto è stato mai assunto per contrastare il lavoro dei tombaroli, né per iniziare campagne di scavo ufficiali che avrebbero limitato le operazioni clandestine. Nessun interesse esiste per il territorio e i suoi tesori, la politica è completamente assente, gli amministratori disinteressati, i cittadini poco informati e le archeomafie altamente operative nel depredare i vari siti e piazzare i ritrovamenti nel mercato internazionale. Un giro di miliardi.
L'operazione di oggi pone diversi interrogativi sulla dispersione del nostro patrimonio archeologico, che attraversa migliaia di chilometri nel globo e, soprattutto, circuiti poco chiari. Il commercio di reperti archeologici trafugati ha assunto, negli ultimi decenni, dimensioni internazionali allarmanti. Alimentato da potenti lobby che impongono le leggi del mercato fissando le regole della domanda e dell'offerta, ogni anno sono migliaia gli oggetti di alto valore archeologico trafugati e poi commercializzati che arricchiscono le grandi organizzazioni criminali. 
Il circuito del traffico dei beni archeologici è complesso ed organizzato, varia da una regione all'altra ed interessa soprattutto le aree più indigenti perché sfrutta le condizioni di bisogno. Occorre perciò distinguere i saccheggiatori occasionali da quelli che agiscono in gruppo e con mezzi appropriati, spesso distruttivi di reperti e contesti. I primi sono quasi sempre agricoltori o scavatori una tantum, non consegnano alle Forze dell'ordine i reperti trovati, ma li conservano o li vendono. Di recente la tipologia dello scavatore in Italia ha assunto i tratti degli immigrati che vivono e lavorano nella penisola, visto l'incremento della manovalanza dell’est europeo. La seconda categoria, invece, comprende predatori 'professionisti', conoscono il mercato dell'illecito in cui collocano i reperti attraverso vere e proprie aste o vendite organizzate, coadiuvati da responsabili di zona e da trafficanti nazionali ed esteri.
I legami tra i mercanti d'arte ed i mercati internazionali si basano su rapporti fiduciari e stabili reti di corrispondenti, tali da far passare la merce velocemente dal produttore di beni archeologici, in genere i paesi del Mediterraneo, al consumatore, ovvero America, Giappone ed alcuni paesi europei dove esistono case d'asta, collezionisti e musei in grado di investire grandi capitali per un'opera d'arte. Spesso sono opere italiane, preda del mercato clandestino, sostenuto dai grandi collezionisti internazionali e da alcune istituzioni museali straniere, compiacenti e spesso committenti.
Cosenza, 18 novembre 2019
© Francesca Canino


17 novembre 2019

Cosenza, l’alluvione del ‘59


Due metri d’acqua simili a due alte muraglie si innalzarono sul ponte della Massa, investendo in poco tempo i rioni situati sulle sponde del Crati. Era il 24 novembre 1959 e Cosenza subiva l’ultima delle sue violente alluvioni.
Un lungo periodo di maltempo si era abbattuto su tutta la Calabria nel mese di novembre del’59, quando precipitazioni particolarmente intense scatenarono un nubifragio nella regione intono alla metà del mese. L’ondata di maltempo non si esaurì e tra il 23 ed il 24 novembre fu Cosenza ad essere colpita da una delle più disastrose inondazioni della sua storia. Anche il circondario risentì degli effetti della tempesta d’acqua abbattutasi rabbiosamente in quei giorni, dove, a differenza del capoluogo, si contarono anche diverse vittime.
Il Crati era gonfio e trasportava una quantità enorme di detriti, effetto delle erosioni causate dalle precipitazioni. Tutta questa massa di sedimenti e detriti nell’alveo del fiume, fu trasportata a valle fino a Cosenza, dove subì un’ostruzione al ponte della Massa, detto anche di San Lorenzo, dovuta all’esiguità delle luci del ponte.
La sera del 24, verso le ore venti, il fiume uscì dagli argini, esondò nel tratto destro e sinistro in prossimità del Tannino e in breve le zone basse della città furono tutte allagate. L’inondazione si propagò dai quartieri dello Spirito Santo e della Massa, al vallone di Rovito, per estendersi fino a piazza Valdesi e al primo tratto di corso Telesio, sommergendo d’acqua e detriti i vicoli, i bassi e i magazzini, che dopo il defluire dell’acqua rimasero sotto la coltre del fango.
La fase di colmo non durò a lungo e i controlli regolari effettuati per monitorare la variazione del livello del fiume, si rivelarono altamente efficaci, mentre i soccorsi ben organizzati evitarono la perdita di vite umane. In questo modo furono solo le vie, le case a livello della strada e le attività commerciali molto presenti su tutta l’area, a subire significativi danni visto che il fluire del Crati al di fuori del suo alveo, aveva spazzato via quanto era depositato nei diversi magazzini dei rioni interessati.
Ma cosa era accaduto realmente?


Il flusso del Crati nella città brettia era stato ostacolato dai pilastri del ponte San Lorenzo, troppo vicini tra di loro. L’alveo, a nord-est, presentava uno spazio sufficiente al deflusso, ma sull’area dello Spirito Santo, a causa della configurazione urbana molto più ristretta, il letto del fiume in alcuni punti raggiungeva appena i dieci metri, che in periodi di precipitazioni abbondanti, quando il fiume nel suo corso raccoglie anche un buon numero di affluenti e detriti, diventava angusto vista la portata notevolmente aumentata. Tuttavia, ogni evento alluvionale deve essere messo in relazione ai contesti morfologici dell’ambiente in cui esso si verifica, in considerazione delle modifiche continue che la realizzazione di nuove opere produce. Il ponte di San Lorenzo o della Massa, ritenuto responsabile dell’esondazione del ’59 per le ridotte dimensioni delle luci, costituì semmai una concausa del disastro in città, visto che il nubifragio provocò considerevoli danni anche in altre zone della provincia.   
Si deve pure ricordare che Cosenza, negli ultimi due secoli, ha subito danni ingenti ai quartieri attraversati dai fiumi per effetto delle alluvioni del 1740, del 1842, del 1903 fino all’ultima del 1959 di cui è ancora vivo il ricordo e che distrusse servizi ed attività commerciali ed artigianali, costringendo circa duecento famiglie a lasciare le loro abitazioni.

Dai giornali dell’epoca si apprende che il fiume danneggiò 14 bancarelle, 5 officine, 3 calzolai, 6 giornalai, 4 sarti, 60 fruttivendoli, 7 falegnami, 9 barbieri, un arrotino, 2 maniscalchi: quasi l’intera economia dei vicoli che sfamava oltre 500 famiglie. La stampa riportò anche i ringraziamenti dei cosentini alla Madonna del Pilerio per l’assenza di vittime, la gara di solidarietà ai senzatetto e le polemiche per la facilità con cui si erano imputate le responsabilità al ponte di San Lorenzo.
Le colpe, secondo i giornali di quel periodo, sarebbero dovute ricadere sul Comune di Cosenza per la mancata applicazione di una legge speciale per la regolamentazione dell’Alto Crati ad Aprigliano. Individuare immediatamente le responsabilità di fronte ad una tragedia, abitudine ancora di moda, mentre una parte della città era stata trasformata in un grande pantano, non fece, però, perdere di vista le priorità del momento, tanto che si cominciò a lavorare subito per ricostruire le zone alluvionate.
Molti anni dopo è stata posta l’attenzione sulla criticità dei corsi d’acqua cittadini, evidenziando l’urgenza di studiare in maniera razionale ed organica il rischio esondazione nella città ed intervenire con strumenti adatti per la sistemazione dei due fiumi. Anche perché, per ogni evento naturale catastrofico, si deve considerare il tempo di ritorno e pianificare lo stato degli argini per quel tempo. I margini dei fiumi, infatti, possono diventare inappropriati di fronte ad un tempo di ritorno calcolato in cento anni. Sotto controllo dovrebbe sempre essere tenuta la vegetazione spontanea, che può costituire una causa di ostruzione delle aperture del ponte della Massa.
La riduzione del rischio di inondazione dell’area urbana, resta sempre una priorità assoluta poiché il sistema fluviale Crati-Busento, intorno al quale è stata disegnata la città vecchia e la nuova, era ed è, morfologicamente e storicamente, l’asse portante della città.

Scheda Tecnica
Un violento nubifragio nella notte tra il 23 ed il 24 novembre del ’59 investì la Calabria, partendo dalle coste ioniche centro-meridionali e diffondendosi sulle pendici silane e l’alto bacino del Crati.
Nelle stazioni idrografiche del bacino, le precipitazioni massime giornaliere registrate furono a  Piane Crati di191 mm, a Trenta 134 mm, a Domanico 116 mm.
Le precipitazioni massime registrate a Cosenza furono di 48 mm in 3 ore, 71.4 mm in 6 ore,   119.2 mm in 12 ore, 122.6 mm in 24 ore.
L’elevato trasporto solido, provocato dal notevole apporto di sedimenti, tronchi d’albero e detriti, determinò la parziale ostruzione del ponte S. Lorenzo e verso le ore 20 il Crati esondò invadendo le zone basse del Centro Storico. La portata di piena del 1959 fu stimata dal Genio Civile in 450 m3/s e quella del Busento in 525 m3/s, mentre una stima del CNR darebbe valori alquanto minori. Si valuta un tempo di ritorno 50 anni. Il Crati ha larghezza di circa 20 metri a monte del ponte San Francesco. Qui l’altezza degli argini non supera i 4 metri. Si tratta quindi di una sezione liquida di non oltre 80 mq; la piena di 450 m3/s comporta velocità di 5 – 6 m/s, che in questi casi possono essere devastanti. Analoghe considerazioni si possono fare per il Busento prima della confluenza, che ha una larghezza di 35 metri.


Cosenza, 17 novembre 2019
© Francesca Canino


07 novembre 2019

Biblioteca Civica di Cosenza, più nera della mezzanotte



Il mandato di 24.000 euro destinato alla Biblioteca Civica di Cosenza, una vera miseria a chiusura del contributo relativo all’anno 2018, è stato inviato in banca il 28 ottobre scorso per essere liquidato e ancora oggi, 7 novembre 2019, è fermo in banca. Il suddetto contributo deve essere utilizzato per gli stipendi del personale, che, ricordiamo, non ricevono i loro compensi da circa un anno. Con 24.000 euro si riuscirà a liquidare non più di un paio di stipendi, ma il problema è un altro e cioè che se questi fondi non arriveranno entro lunedì prossimo andranno perduti. Causa dissesto. Nessuna speranza, invece, per l’acconto 2019 di 40.000 euro che il settore cultura del comune bruzio ha preparato un mese fa circa: è troppo tardi e finirà anch’esso per essere fagocitato dal dissesto. L’appello, seppure tardivo, è stato lanciato dal consigliere comunale Bianca Rende in un delirante post su facebook, nel quale chiede addirittura di essere aiutata a capire «come vengono impiegati i contributi del comune e della provincia?».
Il quadro è desolante, ma chiaro da molto tempo, poiché la crisi della Biblioteca Civica risale a diversi anni fa e nessuno ha mai cercato di risolverla. I soci finanziatori, che per statuto sono Comune e Provincia di Cosenza, hanno dimostrato un disinteresse totale per la Biblioteca, al punto che dal 2014 i bilanci non sono stati più approvati. In quel periodo, sindaco e presidente della Provincia erano la stessa persona, sarebbe stato più semplice, dunque, gestire economicamente l’istituto culturale, invece si è assistito al suo tracollo con la complicità di tutta la politica cittadina. Gli immondi teatrini che a turno sono stati messi in scena da associazioni e istituzioni presenti sul territorio si sono rivelati inutili, a volte dannosi e tante volte autoreferenziali oppure occasione di guadagno, non esclusivamente economico, per i soliti noti.
Nella scorsa settimana, la Biblioteca ha ricevuto la visita, annunciata peraltro circa un mese fa, degli ispettori ministeriali, il cui esito è ancora top secret. Sappiamo che la visita è stata gestita dai funzionari della Biblioteca Nazionale, ma nulla di più. I problemi sono tanti, evidenziati in particolare dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Calabria in occasione della dichiarazione dell'interesse culturale del patrimonio della Biblioteca Civica di Cosenza, quando è stato notificato al prof. Leopoldo Conforti, Presidente, e a Francesco Antonio Iacucci, componente del Consiglio di Amministrazione«l’obbligo di conservare, ordinare e inventariare – scrive la Soprintendenza - la documentazione della Biblioteca e il divieto di smembrare l'archivio e far uscire in modo definitivo dal territorio della Repubblica l'archivio o i singoli documenti ad esso appartenenti; di voler adempiere ai provvedimenti necessari per assicurare una buona tenuta e conservazione dei beni culturali di che trattasi. Si rappresenta che nel corso dei sopralluoghi effettuati e da un'attenta analisi e verifica tecnico-scientifica è stato rilevato che parte del materiale librario ed archivistico non è conservato in modo idoneo, è in precario stato di conservazione, frammisto a materiale di risulta in locali per lo più umidi e carenti di scaffalature sufficienti. Difatti, risulta particolarmente urgente, in considerazione del precario stato di conservazione, prevedere una progettualità che riguardi i 28 Codici corali membranacei (sec. XVI), la platea della Chiesa Matrice di Rocca Imperiale (1777), oltre a numerose cinquecentine e seicentine e proseguire nell'attività di catalogazione dei fondi librari ed all'inventariazione di fondi documentari conservati presso codesta Biblioteca Civica».
Per ridimensionare i problemi della Civica, l’amministrazione provinciale ha auspicato il contributo di soggetti economici privati sensibili, suscitando le ire dei cittadini. Intanto, pare sia stato organizzato un incontro per giorno 25 novembre con il sottosegretario ai Beni culturali Anna Laura Orrico, Gilda De Caro, membro di Civicamica e Francesco Alimena. Ormai è tardi.
Cosenza, 7 novembre 2019
© Francesca Canino

03 novembre 2019

Biblioteca Civica di Cosenza, la pubblicità a effetto boomerang di Bianca Rende e il silenzio del sottosegretario ai beni culturali Orrico



Il consigliere comunale di minoranza Bianca Rende chiede con un post su facebook, datato 31 ottobre 2019, di darle una mano per scoprire come vengono impiegati i contributi che comune e provincia erogano in favore della Biblioteca Civica di Cosenza. Da quasi undici mesi, infatti, i dipendenti della Biblioteca non ricevono il loro stipendio e il consigliere Rende dice ora di essere preoccupata. Il problema, però, non riguarda solo le mancate spettanze dei lavoratori, visto che da anni l’antica istituzione culturale versa in condizioni pessime, al punto che gli articoli di stampa sull’argomento non si contano più. È stato grazie all’interesse dei media e all’impegno della senatrice Margherita Corrado che meno di un mese fa è giunta la “Dichiarazione dell'interesse culturale del patrimonio della Biblioteca Civica di Cosenza” da parte della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Calabria, mentre nei giorni scorsi sono arrivati gli ispettori ministeriali per effettuare alcuni controlli. La visita si è svolta in segreto, nessuno sa cosa è stato ispezionato e quali irregolarità sono state riscontrate.
È bene ricordare che nei primi mesi del 2019 il Meet up Cosenza e oltre, con un formale accesso agli atti, ha potuto esaminare i bilanci della Civica sia alla provincia, sia al comune. Da ciò si è appreso che i bilanci della Biblioteca, preventivi e consuntivi, erano stati approvati solo fino al 2013. Dal 2014 fino a marzo 2019 esistevano solo delle bozze, dalle quali “si evince che la Provincia, dal 2010 al 2017, ha ridotto drasticamente il contributo destinato alla Biblioteca, partendo da uno stanziamento iniziale pari a 230.000 €, per arrivare a € 0. Per il 2018 non abbiamo ricevuto alcun atto, pertanto non si è a conoscenza di quanto è stato erogato e se è stato realmente erogato qualcosa. Nei bilanci comunali, invece, lo stanziamento iniziale non corrisponde puntualmente al totale delle liquidazioni. Ciò potrebbe significare che il Comune ha destinato centinaia di migliaia di euro alla Biblioteca, che probabilmente non sono giunti a destinazione poiché il Comune, a fronte di stanziamenti consistenti, ha, in sostanza, fatto pervenire alla Biblioteca una cifra inferiore. In pratica, non si è dato seguito a quanto preventivato e dopo gli stanziamenti effettuati realmente, nel corso dell’anno i fondi, con opportune variazioni di bilancio o mandandoli ad economia, sono stati destinati ad altro” (http://francescacanino.blogspot.com/2019/06/biblioteca-civica-di-cosenza-i-motivi.html).
Nonostante la divulgazione di tali dati, Bianca Rende scrive che «Dei due mandati per 24.000 euro (chiusura contributo 2018) e 40.000 euro (acconto 2019) preparati dal settore cultura del comune di Cosenza ormai da due mesi, solo il primo è stato inviato in banca giorno 28 ottobre per la liquidazione, con l’espressa prescrizione di usare questi fondi per gli stipendi del personale.
Ad oggi, 31 ottobre 2019, il personale non risulta essere stato retribuito.
Il comune non provvederà a liquidare il secondo mandato (ne’ altri) se non avrà certezza che le spettanze dei dipendenti siano state soddisfatte almeno in parte. Col rischio che anche questo contributo arretrato finisca nel dissesto (personalmente dubito che il contributo sopravviverà con la nuova condizione finanziaria, ma questa è un’altra storia). “Cosa sta succedendo alla Civica? Come vengono impiegati i contributi del comune e della provincia? Perché i dipendenti non ricevono il loro stipendio da dieci mesi?” Sono queste le domande che sto ponendo da mesi in commissione Cultura e agli uffici interni competenti, senza risolvere l’enigma. Datemi una mano per scoprirlo. Il diritto di accesso connesso alla mia carica arriva solo fino ad un certo punto
».
Un illuminante scritto corredato da domande che, a onor del vero, non dovrebbero essere formulate da un consigliere, peraltro di minoranza, il quale ha il dovere di trovare le risposte. Se la commissione cultura non risponde alle domande della Rende, se l’enigma rimane tale e il consigliere chiede aiuto a tutti perché la sua carica le consente di arrivare solo fino a un certo punto, è chiaro che l’impegno profuso è stato minimo. È molto grave, inoltre, domandare: «Come vengono impiegati i contributi del comune e della provincia?». E lo chiede a noi?
È importante ora sottolineare anche il disinteresse fin qui dimostrato dal sottosegretario al Ministero per i beni e le attività culturali Anna Laura Orrico sulla Biblioteca Civica. Orrico, cosentina, ben conosce i problemi dell’istituzione, poiché in varie occasioni è intervenuta per parlare o scrivere della crisi in atto alla Civica, senza far poi seguire azioni concrete in grado di risollevarne le sorti.
Adesso, la domanda che ci poniamo tutti è: «Ma quanto sono capaci, motivati, bravi i politici e gli amministratori della nostra città? Hanno davvero a cuore la storia, la cultura, i lavoratori cosentini o sono per loro solo un pretesto per farsi pubblicità a effetto boomerang?».
Cosenza, 3 novembre 2019
© Francesca Canino