L'operazione ‘Achei’ condotta dalla Procura della Repubblica di Crotone ha individuato un'associazione a delinquere specializzata nelle ricerche archeologiche clandestine, che ha danneggiato il patrimonio archeologico dello Stato, impossessandosi illecitamente di beni culturali statali con l’aggravante della transnazionalità.
La Calabria viene depredata da sempre, ormai sarà rimasto bene poco di tutto il tesoro archeologico che vantava, d'altronde nessun provvedimento concreto è stato mai assunto per contrastare il lavoro dei tombaroli, né per iniziare campagne di scavo ufficiali che avrebbero limitato le operazioni clandestine. Nessun interesse esiste per il territorio e i suoi tesori, la politica è completamente assente, gli amministratori disinteressati, i cittadini poco informati e le archeomafie altamente operative nel depredare i vari siti e piazzare i ritrovamenti nel mercato internazionale. Un giro di miliardi.
L'operazione di oggi pone
diversi interrogativi sulla dispersione del nostro patrimonio archeologico, che
attraversa migliaia di chilometri nel globo e, soprattutto, circuiti poco
chiari. Il
commercio di reperti archeologici trafugati ha assunto, negli ultimi decenni,
dimensioni internazionali allarmanti. Alimentato da potenti lobby che impongono
le leggi del mercato fissando le regole della domanda e dell'offerta, ogni anno
sono migliaia gli oggetti di alto valore archeologico trafugati e poi
commercializzati che arricchiscono le grandi organizzazioni criminali.
Il
circuito del traffico dei beni archeologici è complesso ed organizzato, varia
da una regione all'altra ed interessa soprattutto le aree più indigenti perché
sfrutta le condizioni di bisogno. Occorre perciò distinguere i saccheggiatori
occasionali da quelli che agiscono in gruppo e con mezzi appropriati, spesso
distruttivi di reperti e contesti. I primi sono quasi sempre agricoltori o
scavatori una tantum, non consegnano alle Forze dell'ordine i reperti trovati,
ma li conservano o li vendono. Di recente la tipologia dello scavatore in
Italia ha assunto i tratti degli immigrati che vivono e lavorano nella
penisola, visto l'incremento della manovalanza
dell’est europeo. La seconda categoria, invece, comprende predatori
'professionisti', conoscono il mercato dell'illecito in cui collocano i reperti
attraverso vere e proprie aste o vendite organizzate, coadiuvati da
responsabili di zona e da trafficanti nazionali ed esteri.
I legami
tra i mercanti d'arte ed i mercati internazionali si basano su rapporti
fiduciari e stabili reti di corrispondenti, tali da far passare la merce
velocemente dal produttore di beni archeologici, in genere i paesi del
Mediterraneo, al consumatore, ovvero America, Giappone ed alcuni paesi europei
dove esistono case d'asta, collezionisti e musei in grado di investire grandi
capitali per un'opera d'arte. Spesso sono opere italiane, preda del mercato
clandestino, sostenuto dai grandi collezionisti internazionali e da alcune
istituzioni museali straniere, compiacenti e spesso committenti.
Cosenza, 18 novembre 2019
© Francesca Canino
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