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29 settembre 2018

Metro, il paradosso del mutuo con la BEI per fronteggiare le future perdite



 I lavori per la realizzazione della metro non sono ancora iniziati, ma l’opera risulta già in perdita al punto che è stato chiesto un mutuo di 35, 8 milioni di euro.
La metro di Cosenza è forse l’opera più contrastata dai cosentini negli ultimi cinquant’anni. È difficile trovare un altro progetto destinato alla città dei Bruzi che ha ricevuto tanti “NO”, tante petizioni, tanti articoli e tante irregolarità. Queste ultime hanno richiamato l’attenzione di tecnici, giornalisti e legali per le mancate autorizzazioni, per la chiusura al traffico e per l’impatto ambientale.
C’è, però, un argomento che è stato meno dibattuto degli altri e che merita grande attenzione perché riguarda la parte economica dell’opera. È stato scritto e detto tante volte che la metro, costo complessivo € 160.000.000, è economicamente insostenibile. Già lo scorso anno, l’economista Matteo Olivieri asseriva che: «Il fondo regionale per il trasporto pubblico rimborsa solo il 65 per cento del costo a chilometro, mentre il restante 35 per cento è a carico dell’utenza. Nel caso della metrotramvia, il costo chilometrico a vettura è stato stimato in 7,5 euro, mentre si prevede che ciascuna delle 11 vetture (scorte comprese) effettuerà annualmente 416.000 chilometri. Questo vuol dire che i costi di gestione annuale potrebbero arrivare a sfiorare i 35 milioni di euro, di cui la Regione Calabria ne rimborserebbe al massimo 22,3 milioni, mentre i rimanenti 12,6 milioni sarebbero ogni anno a carico degli utenti. Non è un caso che risulta pendente una richiesta di mutuo pari a 35,8 milioni di euro presso la Banca Europea per gli Investimenti (BEI, Banca Europea Investimenti)».
A distanza di diversi mesi, si apprende che il mutuo, richiesto dalla Regione Calabria, risulta approvato con valore retroattivo, come risulta dal seguente link: http://www.eib.org/en/projects/pipelines/pipeline/20100232.
Inoltre, secondo la Regione Calabria, la consultazione popolare non era necessaria perché la conferenza dei servizi (marzo 2010) aveva dato parere favorevole all'opera. Ciò è contrario allo spirito della legge e allo statuto comunale di Cosenza, art 8. Alla conferenza dei servizi del 2010, tuttavia, non era stata invitata alcuna associazione o comitato.
Duole constatare che otto anni fa, quindi nella fase iniziale del progetto, si aveva già contezza delle perdite a cui sarebbe andata incontro la metropolitana di superficie; paradossale, risulta, invece, che si sia deciso di mandare avanti un progetto ritenuto già fallimentare, tanto che si decise di chiedere un mutuo alle BEI; fuori da ogni logica appare, infine, la decisione di sventrare viale Parco, inaugurato nel marzo 2011, per costruire la metro. Equivale a dire che, mentre il viale non era nemmeno terminato (costato 12 milioni di euro), già si lavorava per distruggerlo e far posto alla metro. Uno sperpero di denaro inaudito a fronte dei problemi atavici che i calabresi vivono quotidianamente. È ora di invertire la rotta.
Cosenza, 29 settembre 2018
© Francesca Canino

Incendi, mafia dei boschi e affari con la legna


Gli incendi che hanno distrutto pochi giorni fa migliaia di alberi a Scalea, Guardia Piemontese, Tortora, Papasidero, Scalea, Firmo, Serra d'Aiello, Catanzaro e Crotone (tra questi  la pineta di Sovereto, nella Riserva Marittima Protetta di Isola Capo Rizzuto, già interessato da incendio la scorsa estate e l’area intorno alla grotta del Prete, in prossimità dell'isola di Dino, zona che lambisce il Parco Marino Regionale della Riviera dei Cedri), mentre in Calabria le temperature subivano un vertiginoso calo, sono la dimostrazione che il fuoco non agisce solo d’estate e che soprattutto ha una regia. Sì, una regia che pianifica il progetto criminale degli incendi multipli e che mette in serie difficoltà l’esiguo corpo dei Vigili del fuoco. Lo scorso anno, la Calabria ha perso gran parte del suo patrimonio boschivo a causa dei numerosi incendi che l’hanno percorsa da nord a sud. Niente è stato fatto in seguito né per le aree colpite, né per prevenire una piaga che, insieme ai tagli e alle potature sconsiderate, alle centrali a biomasse e all’incuria dell’uomo, ha ridotto di molto il patrimonio boschivo calabrese. È ormai risaputo che “l’affare dei boschi” è un business milionario che arricchisce i clan alla pari degli altri traffici illegali.
Il 4 gennaio 2017, è stata presentata alla Camera dei Deputati la “Relazione sull’attività delle forze di polizia sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” relativa all’anno 2015, in cui, nella sezione dedicata alle nuove minacce in ordine alla tutela ambientale, si legge: «Nel 2015 inoltre, anche a causa della crisi economica, si è assistito ad una recrudescenza di fenomeni di illegalità nei confronti della risorsa forestale. Da fenomeni più banali, quali il taglio condotto con modalità non conformi, si arriva ad irregolarità via via più gravi, con reati che assumono la dimensione del reato associativo, fino alla turbativa d’asta pubblica. Il taglio del bosco rappresenta infatti una risorsa che, in tempo di crisi economica, riacquista un valore tutt’altro che trascurabile soprattutto se attuato con prelievi molto più intensi di quelli autorizzati o se condotti a seguito di aste pubbliche non conformi alla norma. In certe aree della Calabria, sono state accertate così spesso infiltrazioni di criminalità organizzata nel settore, da indurre il Corpo forestale dello Stato, a proporre, anche per le alienazioni dei boschi pubblici, le procedure di certificazione antimafia previste dalla normativa per gli appalti pubblici. Sono state accertate infatti, da parte delle ditte boschive che partecipano alle aste, accordi preventivi illeciti finalizzati alla spartizione di lotti da aggiudicare e ricorso a “cartelli” finalizzati a tenere bassi i prezzi della base d’asta mediante accordi segreti ed illegittimi. Si instaurano così dei monopoli od oligopoli ove pochi soggetti, di fatto, tengono in pugno pubbliche amministrazione, anche mediante minacce o atti corruttivi, e determinano il prezzo finale del lotto boschivo. Successivamente si verificano prelievi di legna illegittimi, sconfinamenti di superfici, subappalti illegittimi, utilizzo di manodopera in nero se non addirittura clandestina. Si deve constatare che dopo il passaggio di competenze fra lo Stato e le Regioni, alcune di queste non sono state in grado di sviluppare un sistema armonico e funzionale per la gestione della tutela della risorsa forestale ed hanno perso la visione d’insieme».
L’operazione Stige di qualche mese fa è stata la dimostrazione di ciò che la relazione enuncia e i pentiti hanno parlato di “riconquista criminale della Sila”. I boschi della Sila sono in mano alle mafie da decenni, numerosi erano i camion pieni di tronchi che quotidianamente percorrevano l’autostrada, visti e segnalati dalle associazioni ambientaliste agli uffici preposti che, però, hanno preferito fare orecchie di mercante. Ora il problema è emerso insieme a tutti gli altri affari illeciti dei clan, tra cui il grande business delle centrali a biomasse. E già, le mani delle cosche si sono allungate anche sul legname da fornire alla centrale del Mercure: l’impresa Spadafora di San Giovanni in Fiore aveva conquistato il monopolio per le forniture di legname da bruciare nella suddetta centrale. Prontamente l’Enel ha minimizzato e sospeso il contratto con l’azienda coinvolta nell’indagine.
La Centrale Enel a biomasse del Mercure, è attiva dal 2016 ed è nel cuore del parco del Pollino, vicino al fiume Mercure-Lao. Proprio nell’anno in cui ha iniziato la sua attività, ha incassato, secondo quanto ha pubblicato l’Enel, 49 milioni di euro. Di questi, solo 10 milioni sono provenuti dalla produzione energetica, mentre i rimanenti 39 milioni sono giunti da incentivi pubblici. Non è stato difficile capire il gioco, visto che i guadagni della produzione energetica sono risultati provenire da incentivi pubblici e, soprattutto, la produzione non viene fatta secondo le richieste di energia del territorio. In altri termini, si produce un’eccessiva quantità di energia – che supera di molto il fabbisogno energetico della Calabria – per cui si ha bisogno di una quantità smisurata di biomassa necessaria al suo funzionamento (circa 350.000 tonnellate all’anno), spesso reperita anche sul territorio dell’Unione Europea, rischiando di importare specie contaminate da pesticidi, pericolosissimi per la biodiversità del parco e per la salute dei residenti. Inoltre, la centrale opera con autorizzazione scadute e proroghe della Regione Calabria, che sono state anche impugnate dalle associazione ambientaliste del territorio e manca uno studio ad hoc sul microclima della Valle del Mercure (quello fatto è stato impostato sui dati di una valle diversa) e l’assenza di una Valutazione d’Impatto sulla Salute. Da considerare, infine, le infiltrazioni criminali con i loro grossi interessi nella produzione energetica. L’operazione Stige lo ha ampiamente dimostrato e gli incendi di fine settembre, visto che nei mesi estivi non se ne erano verificati, sono stati ordinati da un regista occulto perché funzionali al grande business della legna.
Cosenza, 29 settembre 2018
© Francesca Canino



Scandali silani: compiuti e abbandonati I parte

Il Palazzetto dello Sport di Camigliatello


Camigliatello e i suoi dintorni si distinguono per le bellezze naturali, per le opere inutili realizzate e abbandonate che deturpano la natura, per lo spreco di denaro pubblico, per gli interessi dei soliti noti, per i rifiuti abbandonati in ogni dove, segnalati e mai raccolti, per l’incuria degli amministratori e dei politici locali. Lo scempio dei luoghi silani indigna e chiama in causa cittadini e amministratori, poiché sporcizia, colate di cemento e spreco di risorse non possono essere taciuti. Oggi prenderemo in esame il Palazzetto dello sport
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Dalla strada sembra un disco volante atterrato in una radura della Sila. Una bella cupola blu si staglia tra le chiome degli alberi silani, ricopre una struttura nuova e ben tenuta che sarebbe dovuta diventare il palazzetto dello sport di Camigliatello. Nessun cartello lo segnala, bisogna abbandonare la strada che porta a Croce di Magara e immettersi su una stradina secondaria, sconosciuta ai più, per giungere su un pianoro su cui si erge il palazzetto, in ottimo stato, ma inutilizzato. Completato circa 4/5 anni fa, fu inaugurato in pompa magna, ma mai messo in funzione. In effetti, si fa fatica a comprendere a cosa potesse servire un palazzetto dello sport distante parecchi chilometri da Camigliatello, progettato su un’area non facilmente raggiungibile, che ha subito la perdita di centinaia di pini per consentire la costruzione di un’enorme palestra che non serve a nessuno. O meglio, sarà servita a incassare finanziamenti pubblici e a sprecarli.

Cosenza, 26 settembre 2018
© Francesca Canino

Vincenzo Federici detto il Capobianco e Il primo moto carbonaro del Risorgimento


  

Il 26 settembre 1813, Vincenzo Federici detto il Capobianco fu giustiziato a Cosenza. Vogliamo ricordarlo, a distanza di 205 anni, come patriota risorgimentale che ha rappresentato la lotta e la speranza.

Patriota o brigante. Forse patriota-brigante in un tempo in cui il valore semantico delle due parole si sovrapponeva e confondeva e 'arrivotava' la storia del Sud.
Torrevetere 1813: l'antica caput Bruttiorum si riconfermava teatro di vicende umane sulla scena del Risorgimento Italiano, ove un palco di morte era stato preparato in un giorno di settembre, tra gli alberi acquatici che popolavano il colle. L'estate era appena terminata, ma non aveva ancora portato via i venti caldi delle sommosse che dal Savuto si erano propagati alla città della confluenza. Un uomo, bianco di capelli, si avviava verso le forche innalzate durante il giorno, maledicendo la razza tirannide, ovvero gli invasori francesi: “Che i Calabresi vendichino il mio sangue” e rivoltosi ai carnefice gli si offrì dicendogli: “Fate presto”. E tosto il suo volere fu fatto.
Era la sera del 26 settembre e Vincenzo Federici, detto il Capobianco, giudicato ribelle e traditore, mai più avrebbe 'cospirato contro il Governo della Provincia di Calabria Citra in unione di gente armata'. Per le strade della città né turbe, né moltitudini, 'raro, ma non ignobile contegno del popolo' dirà qualche tempo più tardi Luigi Maria Greco: nessuno aveva voluto assistere alla fine di un uomo che aveva rappresentato la lotta, la speranza, l'ideale della libertà. 

Il ribelle - 'Solerte massajo' dagli scarsi poderi, di non elevati studi, ma attore precipuo nel Savuto di inizio '800, Vincenzo Federici nacque ad Altilia nel 1772. Lo storico e letterato cosentino Luigi Maria Greco lo descrisse come uomo “di tempra gagliarda, di avvenente vigoria, ma grave e dagli occhi vividi e scintillanti; di vantaggiosa statura, sagacia e dirittura di giudizio; persuasivo nel ragionare. Era senza ambizione; obbediente co' le autorità, ossequioso e senza bassezze co' gli amici; cordiale, benevolo e senza superbia co' gli inferiori; largo co' i bisognosi; senza jattanza, insofferente però alle offese e pronto a punire di sua mano chiunque avesse osato offenderlo o provocarlo senza ragione”. Era soprannominato Capobianco a causa della precoce canizie iniziata quando non era ancora ventenne e che ne accentuò il fascino ed il carisma. Forse il segno di un destino che lo avrebbe visto ribelle carbonaro, paladino della libertà e combattente nelle terre natie ed oltre, di indole impetuosa, ma tuttavia amante fedele e buon padre di famiglia, come si addice al calabrese per antonomasia. E proprio la Calabria vide nascere la prima vendita carbonara nel 1812, ad Altilia, un piccolissimo borgo che 'aveva tolto il nome all'altura' e che sotto la spinta del medico Gabriele de Gotti, si propagò a Cosenza e nei paesi limitrofi ed in seguito nel catanzarese.
I cugini, ovvero gli adepti alla Carboneria, erano uomini di varia estrazione sociale e spesso di diverso orientamento politico, accomunati dall'idea dell'unità e libertà della Patria. Essi si raccolsero inizialmente nella vendita di Sparta, la Carboneria cosentina, sotto il comando di Federici, uomo dal focoso temperamento che venne rubricato presso la Gran Corte Criminale di Cosenza per delitti comuni e quindi perseguitato con veemenza, prima della nomina a Capitano delle Guardie civiche del circondario, nomina conferitagli dal generale Manhès anche per distoglierlo dalla sua attività carbonara. Il generale, infatti, non annoverò Vincenzo Federici tra i briganti.
La Carboneria calabrese, desiderosa di ottenere una forma di governo rappresentativo, fu in un primo momento decisamente ostile al Governo Borbonico e aderente al Governo dei Francesi, che considerò questa prima fase non come l'operato proprio del brigantaggio, ma come un'azione diretta ad ottenere un regime più libero. Già in questo periodo, però, il re Gioacchino Murat, riferendosi ai carbonari quando li denominò 'patrioti', presagì il pericolo futuro e dubitò delle loro idee, allorchè il 25 febbraio 1809 scrisse impensierito a Napoleone che 'le fila dei patrioti si ramificavano in tutta Italia'. L'identificazione tra la denominazione di carbonaro e quella di patriota era così entrata nell'uso comune del tempo. 

La sommossa - Vincenzo Federici cercò dapprima un accordo con i Carbonari di Sicilia perchè la Calabria insorgesse e tentò una rivolta in occasione della fiera del Savuto, il 15 agosto 1813, da cui si levò il grido di libertà che avrebbe dovuto far sollevare anche i Comuni vicini. Qualche settimana più tardi, Aprigliano e Scigliano insorsero e piantarono i loro alberi della Libertà, ma immediata fu la risposta del Comandante della Provincia Giuseppe Iannelli, che soffocò la rivolta ed arrestò numerosi carbonari. Tra questi era anche il Capobianco che, per ordine del generale Manhès, fu rimesso in libertà. L'atteggiamento del generale francese, inviato in Calabria per sterminare i briganti, aveva un duplice scopo: redimere Federici e convincerlo a sostenere la monarchia. Bisognava “fare ben comprendere a quello sciagurato, che si è voluto trarre in errore sì grossolano, a quali pericoli positivi va ad esporsi, ascoltando i perfidi suggerimenti di coloro che, vili per propria natura, espongono lui a bersaglio di tutto lo sdegno delle autorità, ed alla esecrazione pubblica” e convincerlo a presentarsi al quartier generale da dove “appena la criminosa effervescenza che tempesta lo spirito dei suoi compatrioti, sarà calma, egli rientrerà tranquillo nei suoi focolari”.
Federici fu convocato a Cosenza, qui promise di obbedire all'ordine di Manhès e di recarsi al quartier generale di Campo Calabro. Convinti dei buoni propositi del Capobianco, gli uomini di Manhès festeggiarono l'avvenimento con un banchetto a cui presero parte le autorità della Provincia, gli ufficiali della Guardia civica di Cosenza ed il generale Garnier. Intanto, il sacerdote carbonaro Carlo Bilotta di Carlopoli, avvisò Federici di interrompere momentaneamente le attività rivoluzionarie, senza abbandonare la nobile causa dell'indipendenza. Era necessario attendere tempi migliori. Al termine del convivio, il Capobianco abbandonò Cosenza con uno stratagemma e si rifugiò con i suoi fedelissimi nella Rocca di Altilia.
Scattò immediatamente un ordine di cattura: il Comandante Iannelli si diresse verso Altilia con un eccezionale spiegamento di forze militari e non riuscendo nell'intento, ordinò, per ritorsione, di saccheggiare il paese. Federici scampò alla cattura ed organizzò gli affiliati per sferrare l'attacco finale: la forza pubblica fu disarmata, i rivoltosi si appropriarono di convogli di polveri, bruciarono i registri dei tributi e assediarono Cosenza dopo aver piantato alberi della Libertà in ogni paese da cui erano passati.
Le autorità presenti a Cosenza si rifugiarono all'interno del Castello svevo con una guarnigione al comando del cavaliere De Martigny; Federici aveva invece ordinato ai Carbonari di dividersi in due drappelli, uno fu inviato nel distretto di Catanzaro, l'altro, sotto il suo comando ed insieme ad una compagnia raccolta da Pasquale Rossi, si spinse sulle alture di Torrevetere. Era il 18 settembre, i Carbonari di Federici tentarono invano di impadronirsi del Castello e di far insorgere gli abitanti dei Casali contro i Francesi.
L'Intendente Iannelli contro di loro fulminava il seguente bando: “Abitanti della Provincia, Capobianco con 30 briganti sta cercando di far seguaci e turbare la  pubblica tranquillità percorrendo le campagne. Ma i Comuni che lo riceveranno e lo lasceranno passare sul rispettivo territorio, saranno subito militarmente trattati. Già numerose colonie marciano contro queste orde”.
Ma un equivoco intervenne nello svolgimento del piano che segnò il fallimento della sommossa e Federici si ritirò nei pressi di Aprigliano, dove era atteso da moltissimi amici. Braccato ormai dal generale Manhès, il Capobianco comprese che doveva rifugiarsi in un luogo distante da Cosenza e si diresse a Grimaldi, dal fidato amico De Rose.

Il tradimento - Il generale Manhès, intanto, giunse a Cosenza e durante un banchetto nel palazzo della Baronessa Mauro, organizzò il piano per la cattura del Capobianco. Fu un affiliato alla Carboneria, Carlo Mileti di Grimaldi, che trovandosi presso il fratello Raffaele, Vicario generale del vescovo di Nicastro, gli riferì che il Capobianco si trovava a Grimaldi, in casa De Rose. Il Vicario informò subito il generale Manhès con una lettera recapitatagli proprio da Carlo.
Il rifugio del ribelle era ormai svelato e sul cadere del 25 settembre, Manhès organizzò un drappello di ufficiali delle Guardie civiche della Calabria Ultra, guidato da Carlo Mileti, che aveva l'ordine di catturare Federici. Essendo il Mileti suo amico, non avrebbe destato sospetti: infatti, egli giunse facilmente dal capo carbonaro che trovò solo e seduto vicino alle sue armi. I traditori gli buttarono un cappotto sulla testa e soffocando le sue grida lo legarono ed uscirono da una porta segreta, lo caricarono su un cavallo come un fascio di fieno e lo trasportarono a Cosenza. Fu condotto alla presenza di Manhès, dinanzi al quale tenne un comportamento fiero.
Si concludeva così il primo Moto carbonaro del Risorgimento.

La Condanna - Fu subito nominata una Commissione militare che riunita nel Palazzo Mauro giudicò in tutta fretta il Federici. Il generale Manhès gli pose queste terribili domande: “Perchè inalberasti stendardi di ribellione? Perchè invitato con mio foglio non mi raggiungesti?”. Federici rispose: “Non so leggere”.
Nominato d'ufficio un difensore nella persona dell'avvocato Gaetano Greco, che implorò una condanna di deportazione a vita, il Capobianco fu tuttavia giudicato colpevole di ribellione e tradimento. Il Relatore della Commissione militare, alla lettura della sentenza commosse le milizie e dispose anche che il fisco si sarebbe dovuto impossessare dei beni del condannato e che, ma questa è una parte controversa, l'intera famiglia del Federici 'avrebbe avuto bando dal reame'. La sera del 26 settembre alle falde del colle Vetere, 'vecchio' sito romano e via d'accesso alla città per chi proveniva dal Savuto, il Capobianco fu giustiziato.
Scrisse Luigi Maria Greco: “La notte viene vinta da innumerevoli fari che illuminano l'oscuro luogo nel quale il triste sacrifizio fu appieno consumato, col ridursi in cenere quelle misere spoglie e col disperdersi quelle ceneri al vento”. Tutti i traditori di Federici furono in seguito uccisi dai Carbonari e la commemorazione del Capobianco fu celebrata nelle vendite d'Italia.
Il Moto carbonaro del 1813 capeggiato da Vincenzo Federici, non è riportato sui libri di testo scolastici, né su tanti altri volumi di storia. Eppure, così come i Moti napoletani del 1820 o quelli piemontesi dell'anno successivo, l'insurrezione nel cosentino mirava a liberare la Calabria dallo straniero ed a riportare sul trono Ferdinando IV di Borbone, se questi avesse concesso una Costituzione. La figura del Capobianco divenne, tuttavia, così leggendaria da ispirare diversi scrittori, da Mary Shelley, la scrittrice di 'Frankenstein', che dedicò un intero capitolo del suo libro di viaggi tra Germania e Italia al 'Capo Bianco', ad Alexandre Dumas padre che lo ricordò ne “I Borboni di Napoli”. Anche Giovanni Verga, dopo aver conosciuto il figlio di Vincenzo Federici, Francesco, che gli raccontò le gesta del padre, scrisse il suo primo romanzo “I carbonari della montagna”, ispirato ai fatti della Carboneria calabrese.



Intervista alla pronipote del Capobianco
Nel programma delle celebrazioni in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, una targa commemorativa in onore di Vincenzo Federici è stata apposta a Cosenza vecchia. Intanto apprendiamo alcuni aspetti sconosciuti sulla vita del Capobianco, grazie ad una sua discendente, Tamara Ferrari, giornalista di Altilia che oggi vive e lavora a Milano. La sua famiglia custodisce alcuni documenti e soprattutto un patrimonio di notizie tramandate oralmente da padre in figlio che ci consentono di ampliare il quadro su uno dei protagonisti del primo moto carbonaro del Risorgimento italiano.
Chi era Federici?
«Un patriota sul quale, dopo la morte, sono state scritte tante inesattezze. Sarebbe ora di fare chiarezza».
Ci faccia qualche esempio.
«Il Capobianco non era un né “solerte massaio” né un “maniscalco”, come molti hanno affermato. Vincenzo Federici era un ricco proprietario terriero. Infatti, era figlio di Giovan Angelo, designato sui documenti del Catasto onciario come 'Magnifico', un titolo riservato a chi era un discreto possidente. Il vero cognome era Federico, ma nell'Ottocento fu trascritto con la “i” finale. Nacque ad Altilia, precisamente in località Fornace ed abitò in una casa vicina a quella del medico Gabriele De Gotti, di cui sposerà la zia Maria Angelica. Avranno otto figli, quattro maschi e quattro femmine. Dopo il matrimonio, accrebbe i beni di famiglia anche con l'acquisto di una pregevole casa appartenuta alla famiglia del letterato Pirro Schettini, che vi abitava nel '600. Federici fu sindaco di Altilia tra il 1806 e il 1808, come si evince da un documento tuttora in mio possesso, in un periodo molto complesso nella storia del paese, che prima fu assaltato dai briganti di Malito e poi contò diversi omicidi probabilmente legati agli aspri contrasti tra contadini e borghesia terriera. Di un omicidio fu accusato lo stesso Federici, successivamente amnistiato, ma forse proprio sulla scia di questi avvenimenti il Federici abbracciò gli ideali della Carboneria».
Come si spiega la diffusione della Carboneria nella piccola Altilia?
«In quel periodo i paesini della valle del Savuto, come Altilia e Grimaldi, erano dei veri e propri centri culturali, i rampolli delle famiglie più ricche studiavano a Napoli. Anche il nipote del Capobianco, Gabriele De Gotti, studiò medicina a Napoli, entrò in contatto con la vita sociale e politica dell'allora capitale del regno e divenne amico di Pierre-Joseph Briot, l'ex deputato giacobino, intendente a Cosenza dal luglio 1807 al settembre 1810, che importò gli ideali della carboneria nel Regno di Napoli. Ideali che trovarono subito terreno fertile nel Federici, che già nel 1799 aveva partecipato ai moti rivoluzionari della Repubblica partenopea. Dopo l'arrivo dei francesi nel 1806, Federici all'inizio credette alle loro promesse libertarie e fu filo-francese: firmò l'appello del baroncino di Pietramala per invadere la Sicilia e poi aderì all'appello dei francesi per ripulire le campagne calabresi dai briganti. Federicì partecipò in prima persona alla caccia contro i briganti Bizzarro e Lorenzo Benincasa. Non è un caso che il suo nome compare nell'elenco dei patrioti carbonari del Meridione d'Italia stilato dal re Gioacchino Murat in una lettera inviata a Napoleone il 25 febbraio 1809. Due anni dopo il De Gotti fondò ad Altilia la prima vendita carbonara. In seguito tra i due uomini nacquero dei dissidi,  forse legati alla leadership della vendita, che fu assunta dal Capobianco, noto e stimato in paese perché possidente, ex sindaco e dotato di maggior carisma. Dissidi divenuti inconciliabili quando il Federici improvvisamente divenne antifrancese».
Per quale motivo?
«Federici si rese conto che i francesi non avrebbero mai assecondato gli ideali di libertà e quando venne a sapere che in Sicilia gli inglesi avevano concesso la costituzione, prese contatti con Lord William Bentinck: sperava di raggiungere lo stesso risultato in Calabria. In quel periodo il Capobianco era molto amico del generale Manhès, dalla cui moglie, Carolina Pignatelli, figlia del principe di Cerchiara, prendeva lezioni di francese. Ciò dimostra chiaramente che non era analfabeta, come si proclamò al momento della condanna. L'amicizia col , come si evince da una corrispondenza epistolare, giustifica non solo la sua incredulità alla scoperta che il Capobianco era diventato antifrancese, ma anche tutti i suoi tentativi per convincerlo a fargli abbandonare gli ideali di libertà: prima di mettere una taglia sulla sua testa, Manhés tentò in tutti i modi di salvarlo. E dopo la condanna a morte, fu proprio il Manhès a proteggere la moglie e i figli del Capobianco, come lui stesso racconta nelle sue memorie».
Ha detto di essere una discendente.
«Degli otto figli di Federici (Giovan Angelo, Gaetano, Caterina, Sebastiano, Clementina, Francesco, Filippina e Maria Rosa Clerice), che dopo la sua morte furono allevati dalla moglie Maria Angelica nel rispetto della figura paterna, tanto che alcuni di essi ne seguirono le orme, l'unica a sposarsi fu Filippina, che andò in moglie ad Antonio Maria Ferrari, un ricco proprietario terriero. Dalla loro unione nacque il mio bisnonno, Michele Luigi Ferrari.
Degli altri figli del Capobianco, Gaetano ebbe da una relazione con la cameriera Caterina Fezza un bimbo che chiamò Emmanuele. Un figlio illegittimo riconosciuto pochi giorni dopo la nascita perché assicurasse la continuazione della stirpe. Purtroppo morì in giovane età in campagna, dove fu sbranato dai cani.
Un altro figlio del Capobianco, Francesco, che fu a sua volta patriota e giudice della Corte Costituzionale, ebbe un figlio illegittimo dalla sua cameriera e convivente Candida Costanzo, che nominò erede nel suo testamento e che parteciperà poi alla divisione dei beni, come si evince dagli atti della causa ereditaria. La maggior parte dei beni della famiglia del Capobianco furono ereditati dal mio bisnonno Michele Ferrari, figlio di Filippina, ecco perché la mia famiglia possiede importanti documenti sulla vita di Federici. Ma il patrimonio più grande è costituito da quanto oralmente ci è stato tramandato sul Capobianco: già da piccoli, molti erano i 'fatti' che la mia famiglia ci raccontava sul nostro antenato e sulle vicende del paese e del Savuto nel primo decennio dell'ottocento».
Ce ne racconti qualcuno.
«Sembra che la figura del Capobianco non se ne sia mai andata da Altilia, poiché gli anziani del luogo raccontano ancora oggi strani avvenimenti che si verificavano nella sua casa ogni volta che veniva spostato un quadro raffigurante il nipote Emmanuele Federici, l'ultimo discendente del Capobianco a portare il suo cognome. Era una tela molto rovinata, ma si dice che ogni volta che veniva toccata, nel palazzo Federici si udiva un infernale rumore di catene e poi tutta la casa tremava così forte da terrorizzare il paese. Si raccontava anche del fantasma di Federici che ogni notte appariva nel soggiorno del suo palazzo e del mistero dei numerosi sottopassaggi che attraversano il paese, un vero e proprio dedalo sotterraneo utilizzato forse come vie di fuga dai ribelli, perché, si dice, tutti sfociano nelle terre che erano di Federici. Anche nella mia casa ce n'era uno, che in seguito fu murato, non prima di aver tentato un'ispezione: una volta un giovane si calò con una corda, ma si spaventò tanto che non riuscì a completare l'impresa. Non sappiamo se ebbe paura del buio fitto o se vide qualcosa che lo spaventò. In seguito mio padre murò il passaggio per evitare che noi figli, ancora piccoli, tentassimo di replicare l'impresa».
E oltre la leggenda?
«Ad Altilia sentiamo vicinissima la presenza del Capobianco, tanto che è parte integrante della nostra vita. Oltre, però, i racconti di paese, ci stupisce invece che non abbia avuto la giusta rilevanza nella storia calabrese, soprattutto perché la storia ufficiale riconosce come primi moti risorgimentali quelli del 1820, nessun accenno viene fatto all'insurrezione del Savuto ad opera del Capobianco. Val la pena ricordare che il moto scoppiò il 15 agosto 1813, mentre era in atto la fiera del Savuto, importante appuntamento che si svolge ancora oggi».
Rimangono alcuni misteri sulla fine del Capobianco?
«Sì, alcuni hanno scritto che Federici fu impiccato, ma dai documenti della figlia Filippina che mi sono pervenuti, è riportato chiaramente che fu fucilato, come si conveniva per i reati di cospirazione. Ai familiari, che non erano presenti all'esecuzione, contrariamente a quanto disposto dalla sentenza di morte, non furono confiscati i beni. La moglie e i figli del Capobianco non furono espatriati, come prevedeva la condanna, ma rimasero per volontà del Manhès ad Altilia protetti dal fratello di Federici, Sebastiano, che era un sacerdote. Fu lui che, durante l'assedio del paese ad opera dei francesi che volevano catturare Capobianco, trasferì la moglie e i nipoti del Capobianco a Maione per evitare che venissero usati come ostaggio dai francesi. Altri misteri restano ancora su alcuni momenti della sua vita, che finora non sono riuscita a ricostruire. Di certo i miei trisavoli non ebbero mai una tomba su cui piangere: forse non esiste perché è vero che il suo corpo fu bruciato e le ceneri sparse al vento, come prevedeva anche il giuramento dei Carbonari: “Alla gloria del Gran Maestro dell'Universo, io Vincenzo Federico, giuro e prometto sopra gli stabilimenti dell'Ordine in generale e sopra questo ferro punitore degli spergiuri di custodire gelosamente tutti i segreti della rispettabile Carboneria... Giuro di soccorrere i miei Buoni Cugini per quanto comportano le mie facoltà e di non attentare all'onore delle loro famiglie. Se divengo spergiuro, sono contento che il mio corpo sia fatto a pezzi, indi bruciato e le mie ceneri sparse al vento... Così Dio mi aiuti”».

Cosenza, 26 settembre 2018
© Francesca Canino

26 settembre 2018

Metro, nessuna autorizzazione del Genio civile



La mancanza delle dovute autorizzazioni previste dalla normativa vigente per la realizzazione della metro non costituisce certamente una novità (lo avevamo già scritto nello scorso mese di agosto http://francescacanino.blogspot.com/2018/08/la-metro-senza-le-autorizzazioni-via-e.html), ma ora, a fugare eventuali residui di dubbi, è intervenuta la risposta del Genio Civile.
Gli uffici di piazza XI Settembre, Settore n. 2 - Vigilanza normativa tecnica sulle costruzioni e supporto tecnico del Dipartimento n. 6, Infrastrutture - lavori pubblici - mobilità della Regione Calabria, area Cosenza, fanno sapere che non è stata richiesta alcuna autorizzazione in merito: «Con riferimento alla richiesta di accesso agli atti in oggetto emarginata, con la quale viene richiesto di prendere visione ed estrarre copia dei provvedimenti autorizzativi per le opere strutturali connesse alla Metrotranvia Cosenza-Rende-Unical, si attesta che ad oggi, 24-9-2018, non è pervenuta a questo Settore alcuna richiesta di autorizzazione».
La metro non ha le autorizzazioni.  
E non è tutto, perché, da uno studio compiuto dall'economista Matteo Olivieri, si apprende che: «Dopo aver preso visione del cartello di cantiere, installato dopo 10 giorni dalla mia denuncia, noto che è ora solo apparentemente a norma (mancano ancora alcune cose), e comunque i lavori non partiranno lo stesso, nonostante il decreto 8254 del 22 agosto 2018 (ancora NON pubblicato sul BURC) ci informi della &APPROVAZIONE I LOTTO DEL PROGETTO ESECUTIVO DENOMINATO &PARCO LINEARE VIALE GIACOMO MANCINI& E DEL POSIZIONAMENTO TRACCIATO DELLA TRAMVIA NELLA CITTÀ DI COSENZA&.
In realtà, se si va a leggere bene, si scopre che il progetto esecutivo è stato approvato solo in linea di massima, poiché &sono rilevabili le seguenti criticità”:
1) stima economica delle opere non in conformità alle disposizioni regolamentari e contrattuali;
2) non esaustività dell’ingegnerizzazione di alcuni elementi tecnici di progetto;
3) carenza di alcune informazioni che potrebbe esporre il progetto a una non sicura interpretazione ed esecuzione dei lavori in ogni loro elemento;
4) definizione delle questioni sospese riportate nell’OdS n. 5 (riserve);
Il decreto contiene, tra l’altro, indicazione delle risultanze dell’attività di verifica e dice che &le modifiche apportate al progetto non sono esaustive (si vedano RED). A titolo di esempio:
- Assenza di indicazione della classe di resistenza delle caditoie;
- Assenza di verifica della sostenibilità della soluzione proposta per il prelievo dell’acqua di falda;
- Assenza di informazioni riguardo la problematica delle barriere architettoniche e sensoriali;
- Assenza di alcuni elementi tecnici del progetto architettonico sugli elaborati grafici;
- Non completa coerenza della documentazione di stima economica con la documentazione descrittiva o grafica del progetto e viceversa;
- Aumento dell’importo dei lavori rispetto a quanto preventivato;
- Eliminazione del documento Analisi dei nuovi prezzi con impossibilità di verificare il contenuto dei nuovi prezzi adottati;
- Assenza delle verifiche di norma previste dal DM 19/04/2006;
- Assenza di definizione della segnaletica in corrispondenza delle intersezioni stradali;
- Assenza di informazioni descrittive riguardo la pavimentazione stradale adottata;
- Assenza di informazioni riguardo le indagini geognostiche effettuate in sito;
- Assenza di alcuni dettagli costruttivi relativi a opere in calcestruzzo armato;
- Non affidabilità del metodo di calcolo adottato per la vasca in calcestruzzo armato;
- Assenza di informazioni sulle caratteristiche pedo climatiche locali;
- Assenza di contenuto dell’elaborato “caratteristiche funzionali e qualitative …”;
- Assenza della rappresentazione grafica del circuito di alimentazione delle singole utenze;
- Non esaustività delle informazioni in ordine al dispositivo di interruzione con corrente differenziale dell’impianto relativo alla fontana e sua compatibilità con le caratteristiche costruttive della medesima;
- Assenza di informazioni in ordine alle verifiche illuminotecniche;
- Assenza di informazioni in ordine alla coerenza del progetto del parco giochi con le norme di riferimento;
- Assenza di informazioni in ordine alla coerenza del progetto della pista ciclabile con le norme di riferimento;
-Carenza di informazioni nel piano di manutenzione;
- Assenza di informazioni in ordine ai percorsi di emergenza ed evacuazione in fase di cantiere; 
- La stima dei costi della sicurezza presenta prezzi non supportati da specifiche analisi dei prezzi, attività di valutazione rischio bellico consistenti in analisi strumentali propedeutiche che sono da intendersi quali indagini e quindi da considerarsi nell’ambito delle somme a disposizione della stazione appaltante e prezzi che sono riferibili a migliorie offerte dal contraente al fine di garantire una maggiore sicurezza e minimizzazione dei disagi conseguenti alla cantierizzazione.&
Insomma, nonostante tutte queste mancanze, il dirigente regionale e RUP ha inteso approvare il Progetto Esecutivo del solo stralcio relativo al&Parco urbano&, dando tempo fino al 30 settembre 2018 per &redigere il programma dei lavori da trasmettere& nonché di &adeguare, attraverso RTP, la Progettazione esecutiva oggetto del presente atto a quanto disposto nel Rapporto Finale del Verificatore secondo le modalità e i tempi sopra indicati&.
Questo aspetto, unitamente al fatto che il decreto non risulta ad oggi pubblicato, mi induce a ritenere che i lavori di cantiere per la realizzazione del c.d. Parco urbano non potranno cominciare almeno fino a tutto settembre. Nel frattempo, la viabilità è stata chiusa e le persone abbandonate a se stesse e al proprio destino. Dunque, niente parco urbano, niente strade, niente viabilità, niente lavori, niente commercio. Nulla».
La metro non ha le autorizzazioni, quindi i lavori non possono iniziare, allora perché è stato abusivamente chiuso al traffico il viale Parco? Non sarebbe il caso di riaprirlo, visti i disagi creati ai cittadini?
Cosenza, 26 settembre 2018


© Francesca Canino

23 settembre 2018

Gli strani cedimenti sul ponte di Calatrava



Il ponte di Calatrava presenta già da diversi mesi degli strani cedimenti percepiti dalle auto che lo percorrono. In tanti hanno espresso preoccupazione e si sono interrogati sulla natura degli avvallamenti, a dir poco sospetti se si pensa che il ponte è stato inaugurato a gennaio scorso. Sulle due sponde del ponte ci sono delle zone d’attacco, delle spalle, realizzate in terra e che non sono state ben compattate. Ciò, a parere di alcuni tecnici, non dovrebbe creare gravi problemi, ma è sicuramente indice di approssimazione nei lavori. Sul ponte, poco prima di essere ultimato, sarebbe dovuto passare un rullo costipante per evitare i cedimenti che puntualmente si sono verificati. Un inconveniente che può determinare qualche pericolo alla circolazione stradale in certe condizioni. Le auto potrebbero, infatti, sbandare, soprattutto perché gli avvallamenti non sono segnalati.


Ci sono, inoltre, dei problemi di viabilità: risulta pericoloso l’incrocio con il Carrefour market, mentre sul collegamento tra la rotatoria sponda sinistra e via Popilia c’è una strada sterrata che risulterebbe utile, ma che non è stata mai completata. Pare debba essere bonificata, ma è stata dimenticata.
Il ponte fuori contesto della città dei Bruzi, che ha occupato le pagine dei giornali cittadini perché realizzato senza le dovute autorizzazioni paesaggistiche, non è stato nemmeno completato a dovere, sia per accelerare i tempi della inaugurazione, sia per risparmiare.


Cosenza, 23 settembre 2018
© Francesca Canino

21 settembre 2018

Comitato Alberi Verdi: Non uccidete gli alberi di Viale Parco - ecco invece il PROGETTO “COSENZA STORICA CITTÀ-GIARDINO”



L’annuncio dell’inizio dei lavori su Viale Parco per la costruzione della metro leggera è preoccupante non solo per tutti i disagi che creerà alla cittadinanza – e per i tanti milioni che si spenderanno per un’opera che effettivamente non serve – ma anche per l’abbattimento di centinaia e centinaia di alberi. Una barbarie che si aggiunge a quelle già compiute in città negli ultimi anni, in seguito alla realizzazione delle tante piazze e al riammodernamento di diverse strade che non hanno tenuto in nessuna considerazione il patrimonio arboreo cittadino. Alberi distrutti anche dalle molteplici capitozzature subite e dalla mancanza di un piano di potatura, cura e tutela.
In meno di un lustro, la città si è trovata con un patrimonio verde quasi dimezzato e senza un progetto che preveda di rimpiazzare gli alberi eliminati. Ora è la volta di viale Parco, uno stradone alberato che soccomberà per far posto alla metro e al cosiddetto parco del benessere, che, secondo quanto ha comunicato l’amministrazione comunale, dovrebbe essere il polmone verde della città.
Riteniamo sia paradossale realizzare una grande area verde abbattendo quella preesistente, oltre che dispendioso e in contrasto con le scelte dell’attuale amministrazione, che ha dimostrato chiaramente di non essere per niente interessata alle politiche verdi, anzi di esserne nemica. Ora, invece, la decisione di volere un parco del benessere – che si sarebbe potuto realizzare indipendentemente dalla costruzione della metro e nel pieno rispetto degli alberi che attualmente si ergono sul viale – con tanti settori che ospiteranno specie diverse di piante, stride con il trattamento che finora è stato riservato alle aree verdi della città.
Non vogliamo conoscere i veri motivi che hanno determinato questa decisione, chiediamo solo che non vengano abbattuti gli alberi del viale e poi portati nelle centrali a biomasse, ma di aver cura di espiantarli e ripiantarli in città, magari sui marciapiedi in cui sono stati eliminati o nei giardini pubblici cittadini, in special modo in quelli meno centrali e più abbandonati. Potrebbero rivivere e fornire ancora ossigeno ai cittadini, sempre più immersi nei gas di scarico delle auto.
Non uccidete gli alberi di Viale Parco.

 Comitato Alberi Verdi
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Mentre l'amministrazione comunale bruzia distrugge il patrimonio verde della città, il nostro Comitato, a dimostrazione dell'amore per il verde e soprattutto per la città storica, ha preparato un progetto per rinverdire Cosenza vecchia che potrete leggere di seguito:

PROGETTO

“COSENZA STORICA CITTÀ-GIARDINO”

Comitato Alberi Verdi

Introduzione

Nella stesura di questo progetto si è tenuto conto delle particolari condizioni ambientali del Centro Storico di Cosenza: spazi spesso ristretti, semi-ombreggiati o in ombra totale con un clima più fresco ed umido rispetto alla parte nuova della città. Non mancano però spazi relativamente ampi come cortili, giardini privati e, ovviamente, le piazze, che sono anche gli spazi più soleggiati della città. In questa situazione è necessario sfruttare al massimo anche gli spazi verticali ricorrendo a vasi e cassette da muro, panieri appesi o alle più recenti “Flower Pouches”, una specie di grandi borse di plastica molto robusta da appendere a muri e recinzioni, nelle quali sono presenti molti fori: queste sacche vengono riempite di terriccio, idrogranuli e concime a lenta cessione e poi vi si mettono a dimora le piantine attraverso i fori suddetti. Crescendo, le piante nasconderanno completamente le sacche che si trasformeranno in grandi cascate di fiori dall’effetto mozzafiato. Prima di scegliere una soluzione del genere, però, bisognerebbe verificare se gli antichi muri delle abitazioni possano sopportare l’infissione di tasselli che reggano ganci cui appendere vasi e cassette e staffe cui appendere i panieri da piante. A tal proposito bisognerebbe anche consultare la Soprintendenza. Vasi e cassette potranno inoltre essere agganciati alle ringhiere dei balconi e posizionati alla loro base. Bisognerà scegliere vasi leggeri, in plastica o resina. Esistono vasi in resina che imitano alla perfezione la terracotta di qualità, con tanto di fregi e rilievi tipici dei vasi antichi che quindi si armonizzano bene al contesto del Centro Storico. Dove invece si abbia più spazio, come nei cortili privati o nelle piazze, si potrà ricorrere a veri vasi in terracotta, semplici o ornati di fregi e bassorilievi. Durante la fiera di San Giuseppe nel settore vasi c’è solo l’imbarazzo della scelta! Si possono usare anche vecchi vasi di recupero in terracotta che, oltre ad essere più economici, risultano pieni del fascino dato dalla “patina del tempo”. Anche botti e barili di recupero possono essere bei contenitori per piante. Nelle aree più soleggiate, dove si disponga della piena terra si potranno abbellire e curare meglio i giardini esistenti oppure creare degli orti-giardino urbani. Questi orti-giardino, potrebbero entrare a far parte del progetto “Kepos delle meraviglie” ideato dal prof. Orlando Sculli, il quale, in diversi anni di ricerca ha recuperato tanti ortaggi e alberi da frutto tipici dell’antichissima tradizione colturale calabrese e giunti a noi nel corso dei secoli, portati da greci, romani, bizantini, profughi cristiano-copti arrivati dall’Egitto e profughi armeni. Semi, talee e marze sarebbero donati gratuitamente a chi voglia creare un kepos. Kepos in greco significa giardino, ma anche “grembo materno”: il progetto prevede tanti kepos diffusi che salvaguardino questi antichi ortaggi e fruttiferi. Il coltivare queste piante potrebbe dare origine ad interessanti gemellaggi: ad esempio con i monaci armeni dell’isola veneziana di San Lazzaro degli Armeni: https://it.wikipedia.org/wiki/San_Lazzaro_degli_Armeni. Si potrebbero organizzare incontri ed eventi: i cosentini potrebbero donare ai monaci suddetti talee del melograno nero, un melograno speciale di origine armena ritrovato qui in Calabria e i monaci di San Lazzaro potrebbero ricambiare donando talee delle antiche rose damascene dai cui petali ricavano la squisita e profumatissima “Vartanush” (marmellata di rose). Questo melograno era presente anche in un villaggio dell’Iran occidentale, in un territorio che anticamente apparteneva agli Armeni, quindi perché non coinvolgere anche cittadini iraniani cui donare talee dello stesso melograno? Loro forse potrebbero ricambiare con talee delle mitiche e profumatissime rose coltivate nei pressi di Kashan. Altri gemellaggi possibili: l’olivo del Krisma, dalle olive bianchissime, potrebbe originare un gemellaggio con i greci dell’isola di Kasos, nell’Egeo, il cavolo gigante di Staiti con gli abitanti dell’isola di Creta e la vite “Trifera” con cittadini egiziani. Altri eventi potrebbero essere organizzati in occasione dei periodi di fioritura, così come avviene altrove, sia in Italia che all’estero, legati soprattutto alla visita di vere e proprie collezioni di piante.  Si potrebbero creare, ad esempio: “La festa delle fucsie”, “delle rose”, “delle violette antiche”, ecc. Questi eventi di solito attirano un gran numero di visitatori. Si può pensare a speciali “ciceroni” che guidino i turisti nella scoperta dei luoghi fioriti più belli del Centro Storico. Come avviene nel nord dell’Europa, i turisti potrebbero essere guidati anche nella visita dei giardini privati più belli, sempre che i proprietari siano d’accordo. Questi “ciceroni” potrebbero essere semplici cittadini adeguatamente preparati: darebbero spiegazioni sia sul tipo di piante usate (e sulla loro storia, spesso affascinante), sia sui monumenti del Centro Storico. Tutto ciò potrebbe anche alimentare spazi di socializzazione, ad esempio laboratori di giardinaggio e orticoltura cui far partecipare adulti, anziani e bambini. Si potranno anche organizzare degustazioni dei prodotti dell’orto, di fiori commestibili e relativi liquori, sciroppi, marmellate, gelatine e caramelle di rose o viole mammole e marmellate di frutti di fucsia. Sarebbe anche auspicabile una collaborazione con l’orto botanico dell’Università di Arcavacata, per organizzare dei “tour” che guidino alla scoperta delle piante che crescono spontaneamente nel Centro Storico. Sempre l’orto botanico potrebbe fornire molte piante della flora calabrese. Soprattutto potrebbe far scoprire ad adulti e bambini che le piante non ci sono solo utili come alimenti o ornamento, ma sono prima di tutto straordinari esseri viventi e che come tali andrebbero rispettati.

Sicuramente “Cosenza Vecchia” custodisce già un patrimonio di piante, ornamentali e non, alcune delle quali appartenenti ad antiche varietà o specie non comuni che potranno essere riprodotte e diffuse a costo zero. Altre potranno essere acquistate dai fiorai, nei vivai o consultando i cataloghi specializzati. Per la cura di questi giardini urbani sarà meglio evitare pesticidi chimici e optare invece per metodi naturali.

Il progetto:

Veniamo adesso alle varie situazioni che si presentano nel Centro storico e alle soluzioni da adottare, ispirate anche dalla presenza di piante già coltivate con successo in questi luoghi:

ZONE SEMI-OMBREGGIATE:

Sono quelle zone poste in ombra luminosa e che magari godono di un po’ di sole soltanto nelle primissime ore del mattino. Situazioni del genere si possono trovare ad esempio in molti tratti di Corso Telesio, alcuni vicoli e molti cortili e giardini. Sarà quindi opportuno utilizzare piante che prediligano tali condizioni. Per i balconi e le ringhiere delle scale si potranno usare sia piante ricadenti che a portamento eretto. Per adornare i muri dei cortili si potranno usare sia le ricadenti, poste in vasi e cassette da muro, sia piante rampicanti, in grandi vasi poggiati sulla pavimentazione e fatte arrampicare su appositi grigliati o spalliere. Sempre nei cortili, a terra, si potranno collocare vasi anche grandi per contenere piante di vari portamenti e dimensioni. Per adornare i muri dei vicoli sarà preferibile usare le ricadenti, meglio se in posizioni che portino le fioriture all’altezza degli occhi dei passanti o poco al di sopra di essi.

Piante ricadenti:

Fucsie: Conosciute anche come “Orecchini della Madonna”, “Orecchini delle fate”, “Ballerine”, sono indiscutibilmente le vere regine dell’ombra luminosa. Fioriscono da maggio ai primi geli. I loro fiori penduli si apprezzano soprattutto all’altezza degli occhi o viste da sotto in su. Qualcuna sopporta qualche ora di sole al mattino, altre preferiscono la luce diffusa ma non il sole diretto. Sicuramente nel Centro Storico c’è ancora qualche esemplare di quelli coltivati dalle nostre nonne: a sepali rossi e petali viola, ma esistono innumerevoli varietà con altre combinazioni di colori, a fiori semplici o doppi. Anche le fucsie che vengono definite “a portamento eretto” sono sempre leggermente ricadenti e con fiori penduli. Le varietà da paniere sono decisamente ricadenti e formano splendide cascate di foglie e fiori. Sarà opportuno iniziare con le varietà più facili da coltivare, almeno fino a che non si sia acquisita una certa esperienza. Tra quelle a fiore semplice o semidoppio le più facili sono: “Achievement”, “Barbara”, “Beacon”, Border Queen”, “Cambridge Louie”, “Celia Smedley”, “Charming,” “Chillerton Beauty”, “Display”, “Flash”, “Komeet”, “Lena”, “Lyes Unique”, “Margaret”, “Howlett’s Hardy”, “Phyllis”, “Rose of Castile”, ”Rufus”. Tra quelle a fiore doppio bellissime e facili sono “Annabel, “Swingtime”e “Southgate”. Si potrà scegliere anche tra “Bealings”, “Constance”, “Dollar Princess”, “Tennesse Waltz”e “Winston Churchill”.  Appena più impegnativa ma splendida, la “Deep Purple”. Tra le specie selvatiche più facili da coltivare in vaso c’è la F. regia. Nel caso si disponga di un giardino in ombra luminosa e abbastanza spazioso si potranno coltivare in piena terra la F. Magellanica e le sue varietà, tra cui la splendida “Molinae”, a fiori bianchi sfumati di rosa-lilla e una varietà di F. regia, la “Reitzii”, che forma lunghi rami che crescono rapidamente e possono essere legati per formare pergolati o guidati su un grigliato appoggiato ad un muro, come si fa con le rampicanti. Questa fucsia produce frutti commestibili, neri e dolci. Sia la F. Regia che la F. magellanica se piantate in piena terra sono anche molto resistenti al gelo invernale.                                                                        Cure colturali: come detto sopra, le fucsie prediligono in generale la luce diffusa ma non il sole diretto, anche se le fucsie di più facile coltura possono gradire il sole delle primissime ore del mattino, come avviene nelle posizioni esposte ad est. Amano innaffiature regolari, ma temono i ristagni idrici per cui sarà meglio mettere nel fondo dei vasi un coccio sul foro di scolo e sopra di esso uno strato di circa un centimetro di argilla espansa. Sopra si aggiungerà il terriccio che, per lo stesso motivo andrà mescolato a granuli di pomice o perlite. Esistono comunque terricci per piante fiorite già concimati e “alleggeriti” con i granuli suddetti. Le fucsie hanno bisogno di molto nutrimento: concime liquido per piante fiorite (ad alto titolo di potassio) ogni sette giorni durante il periodo vegetativo. Per semplificare le cose si potranno adottare compresse di concime a lunga cessione per piante fiorite: inserite nel terriccio alla base della pianta la nutriranno per un mese intero. Per tenere lontani afidi, ragnetti rossi e mosche bianche, così come le malattie fungine, esistono capsule a base di estratti d’erbe disciolti in olio di soia, sempre da interrare, che proteggeranno le fucsie per un mese. Basterà quindi interrare capsule antiparassitarie e compresse fertilizzanti una volta al mese, per tutto il periodo vegetativo. Per prevenire l’attacco delle cocciniglie, invece, sarà bene, a fine inverno, spruzzarle con olio di pino (olio di soia con estratti vegetali) o, al limite, con olio bianco (olio di paraffina, ammesso in agricoltura biologica). L’operazione andrà fatta dopo la potatura di fine inverno: a fine febbraio-prima metà di marzo infatti, le fucsie andranno potate: si potranno potare in modo drastico, riducendo tutti i rami di due terzi, così da ringiovanire totalmente la pianta che risulterà in seguito fioritissima e compatta, oppure si potrà scegliere una potatura più leggera, accorciando i rami a diverse lunghezze (alcuni per due terzi, altri per la metà o per meno). Si otterranno in questo modo piante abbastanza fiorite e con un portamento più naturale, anche se meno spettacolare. Sempre durante l’operazione di potatura, le fucsie andranno svasate e bisognerà potarne leggermente le radici. Dopo aver aggiunto nuovo terriccio fertile, le si potrà ripiantare nello stesso vaso oppure in uno leggermente più grande. Qualche giorno dopo averle irrorate con l’olio si pino, volendo, le si potrà vaporizzare spesso con acqua tiepida, per ammorbidire il legno e favorire la comparsa delle gemme. Nelle prime 2-3 settimane, per favorire lo sviluppo delle foglie, si concimeranno le fucsie con un concime liquido per piante verdi, successivamente si userà un concime per piante fiorite liquido o in compresse. Una volta che le piante abbiano messo le foglie si passerà a cimarne gli apici: dall’apice cimato ne nasceranno due, che andranno a loro volta cimati, così da averne quattro e così via. Dal momento che le fucsie in genere fioriscono solo sugli apici, più le si cima e più fiori faranno, ma non bisogna esagerare, perché le cimature ritardano il momento della fioritura. Basterà cimarle due-tre volte. Durante la fioritura sarà necessario asportare i fiori appassiti tagliandone anche lo stelo, altrimenti la pianta si riempirà di frutti e la fioritura diminuirà sensibilmente. Tutte le fucsie producono bacche commestibili: non sono squisite ma il loro sapore è comunque gradevole, fresco, leggermente dolce e al tempo stesso piccante. Possono essere consumate fresche o se ne possono fare ottime marmellate. Se si hanno tante fucsie e se si vuole assaggiarne i frutti, se ne può lasciare andare frutto qualcuna, magari in settembre-ottobre, dopo essersi goduti una lunga fioritura. Per trasformarle in marmellata ci vuole almeno mezzo chilo di bacche. http://www.beautyandthefeast.ca/blog/2014/7/3/eating-fuchsia-berries.           

Cure invernali: le fucsie cui saranno asportati i fiori secchi, invece, continueranno a fiorire fino a novembre-dicembre e anche oltre, se il clima si mantiene mite. Qualche tempo prima che le temperature divengano troppo rigide le si potrà proteggere avvolgendo i vasi e parte della pianta con plastica a bolle. Per evitare che le piogge torrenziali le inzuppino facendone marcire le radici, le si potranno mettere al riparo di una tettoia o di una veranda.

Begonie ricadenti: fioriscono da maggio ai primi geli. Ne esistono anche a fiori profumati: Begonia odorata “Angelique” e “Cascade Red Glory”. Non profumata, ma molto ornamentale, la Begonia Bertini “Tanais”.                                                  Cure colturali: concimare una volta a settimana con concime per piante fiorite o usare una o più compresse al mese di concime per piante fiorite, da interrare una volta al mese. Lasciar asciugare il terriccio tra un’innaffiatura e l’altra. Nel tardo autunno diradare le annaffiature. Una volta seccate le foglie estrarre i tuberi, e riporli in un luogo fresco e asciutto. Ripiantarli la primavera successiva.

Viole pendenti: sono simili alle viole del pensiero a fiori piccoli, ma sono ricadenti. Sono annuali: seminate in marzo-aprile fioriranno da maggio ai primi geli, una seconda semina agli inizi di settembre darà piantine che fioriranno da ottobre ad aprile. Alcune sono profumate: Viola x williamsiana “Singing the Blues” e Viola “Allspice mixed”.                                                                                                                 Cure colturali: basterà inserire nel terriccio, una volta al mese, capsule di concime per piante fiorite e di antiparassitari naturali. Innaffiature regolari.

Hoya bella (fiore di cera): bella pianta tropicale con fiori profumati da maggio a settembre.                                                                                                                            Cure colturali: le stesse delle viole pendenti, solo che bisognerà ritirare le Hoya in casa ai primi freddi.

Epiphyllum (lingua della suocera): gli epiphyllum sono cactus particolari, che in natura crescono sugli alberi, all’ombra della loro chioma. Ne esistono numerosi ibridi a fiori rossi, bianchi, lilla e in varie sfumature di rosa. Fioriscono in giugno-luglio. Molti sono anche profumati. E. cooperi ha grandi fiori bianchi (10 cm.), profumatissimi, che sbocciano al calar del sole e rimangono aperti per tutta la notte. Cure colturali: Innaffiature regolari. Il terriccio va mantenuto sempre umido, a differenza degli altri cactus. Concime liquido per piante fiorite ogni sette giorni, durante la fioritura. In caso di attacco di cocciniglie spruzzare con olio di pino o olio bianco. Ritirare in casa ai primi freddi.

Campanule ricadenti: soprattutto Campanula fragilis, con fiori azzurro-lilla a forma di stella in giugno-luglio e Campanula isophylla, totalmente ricoperta di fiori stellati bianchi o azzurro-violetti da giugno ai primi geli.                                                          Cure colturali: Innaffiature regolari. Spruzzare con olio di Neem in caso di attacchi parassitari.

Dicentra spectabilis (Cuor di Maria): bella pianta ricadente con fiori a forma di cuore in maggio. Cure colturali: stesse cure delle begonie.

Asparagus sprengeri: bellissima pianta verde ricadente estremamente facile da coltivare.

Fragole e fragoline rifiorenti: in vasi e cassette appesi alle ringhiere dei balconi esposti ad est.

 

Piante a portamento eretto, a cuscino o tappezzanti, da posizionare in vasi a terra o in piena terra:

Pervinche (Vinca minor): pianta tappezzante a fiori azzurro-violetto, rosa o bianchi, da piantare in piena terra dove forma meravigliosi tappeti fioriti da marzo a luglio.

Viola tricolor e sue varietà: la specie selvatica viola tricolor (viola del pensiero) forma cuscini fioriti da maggio ai primi geli, se seminata in marzo-aprile, fiorisce invece da ottobre ad aprile se seminata agli inizi di settembre. Tantissime le sue varietà, sia a fiori piccoli che grandi.                                                                                                                Cure colturali: stesse cure delle viole pendenti.

Viole mammole e viole di Parma (Viola odorata): la viola mammola produce fiori profumatissimi in febbraio-marzo. Può essere coltivata in piena terra, dove si riprodurrà da sola o in vasi piuttosto larghi. Chi vuole potrà dar vita ad una autentica collezione di varietà di mammole. Tra quelle antiche: V. odorata “Alba”, a fiori bianchi; “Coeur d’Alsace”, rosa malva; “Princess of Wales” e “The Czar”, viola intenso; “La France”, a fiori grandi, blu-violetto ; “Sulphurea”, giallo chiarissimo e le più recenti “John Raddenbury”, azzurro-violetto o “Nora Church”, a fiori rosa ametista. Bellissime anche molte specie di violette selvatiche. V. papilionacea, V.hederacea, V. labradorica, V. sororia, ecc. Tutte queste violette sono facilissime da coltivare. Necessitano invece di un po’ più di cure le violette di Parma, a fiori doppi: vogliono posizioni riparate e concimazioni durante il periodo della fioritura, che va da febbraio ad aprile all’aperto e in serra da febbraio a novembre. La viola di Parma ha dato origine a diverse varietà: la viola di Udine e quella di Tolosa, la “Conte di Brazzà” a fiori candidi, la “Marie Louise”, la “Gloire de Verdun” e la “Comte de Chambord”.

Ciclamini: ciclamini nostrani come il C. neapolitanum (hederifolium), in fiore da settembre a novembre o il C. repandum, a fiori profumatissimi, in marzo-aprile o il ciclamino di Persia (C: persicum) soprattutto quello selvatico a fiori profumati, piccoli e numerosissimi, in marzo aprile. Cure colturali: concime liquido per piante fiorite durante e dopo la fioritura. Ridurre le annaffiature fino a sospenderle quando la pianta sta per andare in riposo.

Pulmonaria officinalis e P. Saccharata: con belle foglie maculate e fiori cangianti rispettivamente in aprile-maggio e marzo-aprile.

Asperula odorata (stellina odorosa): pianta del sottobosco, con fiori bianchi a stella in maggio-giugno.

Bulbi e rizomi: mughetti, anemoni (nemorosa, blanda, hortensis), hepatica, narcisi, tulipani, scille, ecc.

Ortensie: in piena terra o in vasi molto grandi le varietà di Hydrangea macrophylla, soprattutto quelle antiche, sicuramente già presenti nel Centro storico e le varietà di H. paniculata: “Vanille Fraise”, “Limelight” e “Diamant Rouge”, la H. quercifolia e la H. paniculata “Strong Annabelle”.

Calle (Zantedeschia): la più bella di tutte è quella coltivata dalle nostre nonne, la Zantedeschia ethiopica, a grandi fiori bianchi profumati in maggio-giugno.

 

ZONE IN OMBRA PIENA:

Qui andranno bene le piante delle nostre nonne:

Piante ricadenti:

Nastrini (Clorophytum comosum): le loro striature bianche porteranno tocchi di luce nell’ombra.

Pothos (Scindapsus aureus): questa pianta forma cascate di foglie variegate di bianco. Ai primi freddi andrà riparata in casa.

Felci: le più belle sono il capelvenere, la felce femmina e la felce maschio. Anche la felce di Boston (Nephrolepsis exaltata) in estate potrà essere messa all’aperto e ritirata in casa ai primi geli.

È difficile che le piante fioriscano all’ombra completa ma si può provare con:

Mughetti: hanno fiori bianchi, profumatissimi, in maggio.

Oxalis regnelli: una specie di trifoglio che si ricopre di fiori bianche da aprile ai primi geli.

Ellebori: soprattutto Helleborus niger.

Hosta: grandi foglie variegate e fiori profumati lilla o bianchi da giugno a settembre. Bellissime le H. “Fire and Ice”, “Color Festival”, “Risky Business”, “June”. Grandi nemiche delle hosta sono le lumache e le chiocciole. Per tenerle lontane dalle hosta in piena terra si può circondarle di cenere di legna o sepiolite. Quelle in contenitore si potranno proteggere avvolgendo intorno ai loro vasi dei fili di rame.

Trillium: soprattutto T. grandiflorum

 

ZONE CON QUATTRO O CINQUE ORE DI SOLE AL GIORNO:

Rose a cespuglio resistenti all’ombra: il gruppo delle Alba, delle Centifolia, delle Damascena, delle Gallica e anche: “Alfred de Dalmas”, “Ballerina”,”Cecile Brunner”, “Hermosa”, “Louise Odier”, “Mme Laurette Messiny”, “Mme Pierre Oger”, “Mutabilis”, “Old Blush China”, “Souvenir de la Malmaison”.

Rose rampicanti e sarmentose resistenti all’ombra: “Aimée Vibert”, “Alister Stella Gray”, “Alberic Barbier”, “Blush Noisette”, “Clair Matin”, “Félicité et Perpetue”, “Ghislaine de Féligonde”, “Gloire de Dijion”, “Goldfinch”, “Iceberg clg”, “Mme Alfred Carriere”, “Mme Grégoire Staechelin”, “Mme Isaac Pereire”, “May Queen”, “Mermaid”, “Mrs. Herbert Stevens”, “New Dawn”, “Paul’s Himalayan musk”, Rosa bracteata, Rosa levigata, “Zephirine Drouhin”. Necessitano di sostegni (grigliati, spalliere).

Altri rampicanti da mezz’ombra:

Vite del canada (Partenocissus tricuspidata): rampicante con bellissime foglie che in autunno si tingono di rosso cremisi. Raggiunge i 20 metri d’altezza e non ha bisogno di sostegni, perché aderisce ai muri con speciali ventose.

Caprifogli (Lonicera): vogliono le radici all’ombra e la chioma al sole e fioriscono da giugno a settembre, con fiori profumatissimi: Tra i più belli ci sono Lonicera periclymenum serotina, a fiori color crema e porpora e L. japonica halliana, a fiori bianchi e gialli. Hanno bisogno di sostegni.

ZONE SOLEGGIATE:

Piante ricadenti:

Petunie ricadenti (Surfinie): bellissime la “Jamboree Scarlet”, a fiori rossi e i miscugli “Indian Summer” e “Surprise”. Fioriscono da maggio a novembre. Vogliono innaffiature e concimazioni regolari con concimi per piante da fiore.

Gerani edera (gerani pendenti): a fiori rossi, rosa o bianchi, semplici o doppi, da aprile a novembre. Stesse cure delle petunie.

Garofani pendenti: garofani tirolesi a fiori rosa o rossi, da aprile a novembre.

Lobelie: Lobelia erinus a fiori blu, celesti, bianchi, rosa, da maggio a ottobre e L. tenuior “Blue Wings”, a fiori blu genziana da giugno a settembre.

Pomodorini da vaso: “Cherry Cascade”, “Maskotka”, “Gartenperle”, “Vilma”.

Nasturzi: sia le varietà nane che quelle rampicanti (che possono anche essere usate come ricadenti), sono bellissime. Fioriscono da maggio ai primi geli in varie sfumature di giallo e arancio, fino al crema e al rosso mattone, sono commestibili e proteggono le altre piante dagli afidi.

Nolana paradoxa: questa ricadente somiglia alle petunie, ma resiste alla siccità e può pendere fino a un metro. Si copre letteralmente di fiori per tutta l’estate. Bellissimo il miscuglio “Sun Belle Mixed”, a fiori viola, porpora e bianchi.

Verbene pendenti

Piante a portamento eretto, a cespuglio o a cuscino:

Gerani zonali e imperiali: tutte le varietà sono bellissime i primi fioriscono da aprile ai primi geli e i secondi in maggio-giugno.

Rose: c’è solo l’imbarazzo della scelta: la stragrande maggioranza delle rose ama il sole, sia tra quelle a cespuglio sia tra le rampicanti e sarmentose.

Petunie: anche qui c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Garofanini e garofani dei poeti

Melanzane da vaso: bellissime, oltre che buone: “Baby Rosanna”, a frutti piccoli, viola; “Calliope” e “Listada de Gandia”a frutti piccoli, bianchi striati di viola. Possono essere messe in vasi e cassette sui balconi, assieme ai pomodorini da vaso e ai nasturzi.

Pomodorini da vaso a cespuglio: Balconi Red” e “Balconi Yellow”.

 

Rampicanti:

Glicini, Rose rampicanti e sarmentose, Bouganvilee e Plumbago.

 

ZONE CON MACERIE DI EDIFICI:

Sempre che queste macerie non debbano essere recuperate, perché di valore storico e artistico, le si può usare come se fossero un giardino roccioso: basta osservare le piante che normalmente crescono sulle macerie e sulle rocce: capperi, campanule (C. fragilis, isophylla, garganica, muralis, ecc.), bocche di leone, freesia refracta (la fresia selvatica che cresce sui muri perimetrali del giardino Passalacqua), timo serpillo, aubretia “Cascade Blue”, Saponaria ocymoides e tre piante nostrane: Iberis semperflorens , in fiore dall’autunno a tutta la primavera, Centhranthus ruber dai fiori rossi in giugno-luglio e Trachelium coeruleum, dalle belle infiorescenze azzurro violette (cresce sui ruderi vicino a piazzetta Toscano). Qui può essere utile l’aiuto degli esperti dell’orto botanico dell’UNICAL. Nel caso le macerie avessero un valore storico e artistico e quindi vadano protette, si possono mettere al loro interno dei semplici vasi di cm 20 di diametro e altezza e seminarvi dentro le ipomee, in aprile: sono piante rampicanti che si allargheranno coprendo tutto con foglie verdi a forma di cuore e fiori campanulati azzurri, celesti, bianchi, rossi, viola. Tra le varietà più belle: “Heavenly Blue”, a fiori celesti e “Carnevale di Venezia”, a fiori bianchi striati di rosso o blu. Le ipomee sono piante annuali e quindi in autunno muoiono, lasciando libere le macerie in questione.

CHIOSTRI DEI CONVENTI:

Qui si potranno mettere a dimora, in piena terra o in vasi di terracotta, le piante che nel Medioevo venivano coltivate in questi luoghi, a scopo medicinale: la Rosa gallica “Officinalis”, la Rosa alba “Maxima”, i gigli di S. Antonio (Lilium candidum), l’issopo a fiori blu, bianchi o rosa, gli ellebori, le digitali, le viole tricolor e le mammole, solo per citarne alcune.

 

ORTI-GIARDINO URBANI:

Nelle zone in pieno sole e piena terra si potranno realizzare degli orti-giardino dove, agli ortaggi potranno essere mescolate piante ornamentali. I loro vistosi fiori, infatti, attireranno gli insetti impollinatori i predatori dei parassiti, facendo aumentare così la produzione. Si potranno coltivare gli ortaggi anche in cassoni rialzati, più facili da coltivare nel caso a curarli siano anziani o disabili. Il terreno andrà accuratamente lavorato a fine autunno (novembre-dicembre) e vi andrà incorporata una gran quantità di letame ben maturo proveniente da allevamenti non industriali, oppure compost o humus di lombrico. Il terreno andrà poi fatto riposare per un paio di settimane. In seguito si potranno tracciare i disegni delle aiuole e dei sentieri con polvere di gesso. Le aiuole potranno essere delimitate da mattoni pieni (anche di recupero) messi longitudinalmente e interrati per metà. I sentieri potranno essere coperti con uno spesso strato di ghiaia fine o sabbia di fiume. Se c’è abbastanza spazio, gli orti potranno essere circondati da un “bosco di alberi da frutto” di facile manutenzione come fichi e gelsi, ma anche alcuni dei fruttiferi del già citato “Kepos delle Meraviglie”: il melograno nero, quello di San Giovanni Teristis, squisito e con semi morbidi e quello di Brancaleone, dai frutti enormi. Alcuni peri di facilissima coltura, perché immuni dai parassiti: pero “Garofano e cannella”, dai frutti piccoli e profumatissimi, bellissimi a vedersi perché sono lucidissimi, gialli e rossi. Altrettanto belli e profumati sono i frutti del pero “Angelica”, del “Gentile di Sant’Agata” e del “Moscatello”. Sempre appartenente al kepos la “melarosa di Stallette”, un melo che produce frutti profumati di rose e lo squisito susino “Rusìa”. All’ombra di questi alberi, in un luogo arieggiato, potrà trovar posto una compostiera. Nelle zone più esposte alla pioggia si potranno porre contenitori per la raccolta dell’acqua piovana, coperti da una fitta rete, per evitare che nell’acqua cadano foglie secche e per impedire alle zanzare di deporre le uova. Eventualmente in un’area soleggiata si potrà anche mettere una serra delle più semplici, per anticipare le semine e ricoverare piante delicate.

 Oltre ai classici schemi degli orti tradizionali si può pensare a disegni più originali e “artistici” anche se ugualmente funzionali: L’idea è che questi orti, visti dall’alto, risultino come “radure artistiche” all’interno di “boschi di alberi da frutto”.

Per quanto riguarda gli ortaggi, molti di questi potranno provenire dal “Kepos delle meraviglie”: la melanzana “Rossa di Mormanno” quella “Verde di Sant’Agata”, i piselli “Zuccarigni”, i fagioli “di Roghudi”, resistenti alla siccità, il fagiolo “Dolica di Brancaleone” a fiori azzurro lilla e semi tondi, neri, il gigantesco e stranissimo fagiolo “Zoiaro”, il fagiolo “Pappaluni”, una varietà calabrese del fagiolo di Spagna, a fiori rosa o bianchi, così belli che un signore del reggino li ha fatti arrampicare su un tunnel, come si fa con le rose rampicanti. Altri legumi del kepos: Il “cece piccolo” e la “Mavrofacì” o “Lenticchia nera”, molto rara e antica (arrivata con i Bizantini). Uno dei pochi che ancora la coltiva è l’editore Rubettino. Altri ortaggi molto originali sono: il “Cavolo gigante di Staiti” che diventa una specie di alberello di tre metri di altezza, con tanto di “tronco”,  l’enorme zucca “Baffa”, la zucca “di corda” e il pomodoro “Siccagno rosa”, resistente alla siccità, l’aglio antico ela “Menta al bergamotto”. Per allontanare molti parassiti saranno utili le aromatiche, come lavanda, rosmarino, salvia, il timo, l’origano, ecc.  il basilico giova ai pomodori ed esiste in tante varietà: “Genovese”, “Napoletano”, , “A foglia di lattuga”, “Mostruoso Mammouth”, “Finissimo Greco a Palla”, quelli a foglie porpora, ecc.

Per tenere lontane le formiche e quindi afidi e cocciniglie:

Assenzio

Per tenere lontano i topi:

Ruta

Vicino ai fagioli, per tenere lontano gli afidi neri:

Santoreggia

Anti-afidi:

Aglio, ortica.

Per tenere lontano lumache e chiocciole:

Cenere di legna, sepiolite.

Fiori antiparassitari:

Nasturzi, da seminare un po’ ovunque, tra gli ortaggi: allontanano gli afidi e sono commestibili. Le foglie ed i fiori sono aromatici e leggermente piccanti e si aggiungono alle insalate. I boccioli si fanno sott’aceto, come quelli del cappero.

Tageti: preservano i pomodori dagli attacchi dei nematodi del terreno.

Calendula: attira i predatori degli insetti nocivi. I petali si aggiungono alle insalate ed ha proprietà medicinali.

Piselli odorosi: si possono far arrampicare vicino a fagioli, fagiolini, piselli, ecc. perché attirano gli impollinatori e quindi aumentano la produzione. Ottima, atal proposito, la varietà “Floral Tribute”. Attenzione: i piselli odorosi non sono commestibili, perché tossici.

Borragine: allontana le cavolaie. Le sue foglie si cucinano come gli spinaci, le foglie giovani e i fiori azzurri si aggiungono alle insalate. Hanno un fresco sapore di cetriolo.

Petunie: piantate intorno alle patate le difendono dall’attacco della dorifora. Si possono piantare le patate in un cassone rialzato e sul bordo far ricadere petunie pendenti (“surfinie”) variopinte: insieme ai bei fiori viola o bianchi delle patate l’effetto sarà spettacolare!

Altri fiori ornamentali che attirano gli impollinatori e i predatori di parassiti, oltre ad essere commestibili:

tutti i garofani e garofanini, Begonia semperflorens, gerani, convolvolo, fiordaliso, tutte le viole: mammole, del pensiero e cornute.

Con le viole mammole si fanno sciroppi, caramelle e zucchero profumato, con le viole tricolor tisane e uno sciroppo medicinale.

A proposito di fiori medicinali, non potrà mancare la camomilla.

I petali di molte rose antiche si usavano e si usano ancora per confezionare profumatissimi e squisiti sciroppi, marmellate, gelatine, liquori, caramelle e pot-pourri. Si usano soprattutto le rose “Galliche”, come “Rosa di Magliano”, “Rosa Isabella D.”, rosa gallica “Officinalis”, la “Tuscany Superb”, ma anche rose “Centifolia”, come la “Chapeau de Napoleon”, molte “Damascena” come “Ispahan”, “Kazanlik”, “Omar Khayyam” e la “Portland” “Rose de Resht”.

Alcune di queste rose inoltre, sono abbastanza alte e spinose per formare siepi difensive attorno all’orto.

Allo stesso scopo, si potrà circondare l’orto con una siepe di more di rovo selvatico che andrà tenuta a bada con opportuni tagli: i suoi frutti sono più profumati e saporiti di quelli delle varietà coltivate. Il rovo inoltre, migliora il terreno, rendendolo soffice e fertile.

Altre siepi potranno essere di mirto, alloro o delle varietà più alte di rosmarino.

Attorno si potranno coltivare cespugli da fiore cari ai nostri nonni: i filadelfi, detti “Fiore d’Angelo”. Bellissimi e profumatissimi il Philadelphus coronarius, a fiori bianchi e semplici e il P. “Virginal” a fiori bianchi, doppi.

Un tempo i contadini del sud, in maggio, riempivano le chiese di rose antiche, gigli di Sant’Antonio e filadelfi, rendendole un trionfo di colori e profumi. Sarebbe bello riprendere quest’usanza.

Altri ortaggi della tradizione si trovano nei cataloghi specializzati e presso le associazioni di “Seed Savers”, tra queste, Crocevia Calabria, che insegna anche tecniche di coltivazione rispettose dell’ambiente.