Gli incendi che hanno distrutto pochi giorni fa migliaia di
alberi a Scalea, Guardia Piemontese, Tortora, Papasidero, Scalea, Firmo, Serra
d'Aiello, Catanzaro e Crotone (tra questi la pineta di Sovereto, nella
Riserva Marittima Protetta di Isola Capo Rizzuto, già interessato da incendio la
scorsa estate e l’area intorno alla grotta del Prete, in prossimità dell'isola
di Dino, zona che lambisce il Parco Marino Regionale della Riviera dei Cedri), mentre
in Calabria le temperature subivano un vertiginoso calo, sono la dimostrazione
che il fuoco non agisce solo d’estate e che soprattutto ha una regia. Sì, una
regia che pianifica il progetto criminale degli incendi multipli e che mette in
serie difficoltà l’esiguo corpo dei Vigili del fuoco. Lo scorso anno, la Calabria ha perso
gran parte del suo patrimonio boschivo a causa dei numerosi incendi che l’hanno
percorsa da nord a sud. Niente è stato fatto in seguito né per le aree colpite,
né per prevenire una piaga che, insieme ai tagli e alle potature sconsiderate,
alle centrali a biomasse e all’incuria dell’uomo, ha ridotto di molto il
patrimonio boschivo calabrese. È ormai risaputo che “l’affare dei boschi” è un business milionario che arricchisce i clan alla pari degli altri traffici illegali.
Il 4
gennaio 2017, è
stata presentata alla Camera dei Deputati la “Relazione
sull’attività delle forze di polizia sullo stato dell’ordine e della sicurezza
pubblica e sulla criminalità organizzata” relativa all’anno 2015, in cui,
nella sezione dedicata alle nuove minacce in ordine alla tutela ambientale, si
legge: «Nel 2015 inoltre, anche a causa della crisi economica, si è assistito
ad una recrudescenza di fenomeni di illegalità nei confronti della risorsa
forestale. Da fenomeni più banali, quali il taglio condotto con modalità non
conformi, si arriva ad irregolarità via via più gravi, con reati che assumono
la dimensione del reato associativo, fino alla turbativa d’asta pubblica. Il
taglio del bosco rappresenta infatti una risorsa che, in tempo di crisi
economica, riacquista un valore tutt’altro che trascurabile soprattutto se
attuato con prelievi molto più intensi di quelli autorizzati o se condotti a
seguito di aste pubbliche non conformi alla norma. In certe aree della
Calabria, sono state accertate così spesso infiltrazioni di criminalità
organizzata nel settore, da indurre il Corpo forestale dello Stato, a proporre,
anche per le alienazioni dei boschi pubblici, le procedure di certificazione
antimafia previste dalla normativa per gli appalti pubblici. Sono
state accertate infatti, da parte delle ditte boschive che partecipano alle
aste, accordi preventivi illeciti finalizzati alla spartizione di lotti da
aggiudicare e ricorso a “cartelli” finalizzati a tenere bassi i prezzi della
base d’asta mediante accordi segreti ed illegittimi. Si instaurano così dei
monopoli od oligopoli ove pochi soggetti, di fatto, tengono in pugno pubbliche
amministrazione, anche mediante minacce o atti corruttivi, e determinano il
prezzo finale del lotto boschivo. Successivamente si verificano prelievi di
legna illegittimi, sconfinamenti di superfici, subappalti illegittimi, utilizzo
di manodopera in nero se non addirittura clandestina. Si deve constatare che
dopo il passaggio di competenze fra lo Stato e le Regioni, alcune di queste non
sono state in grado di sviluppare un sistema armonico e funzionale per la
gestione della tutela della risorsa forestale ed hanno perso la visione
d’insieme».
L’operazione
Stige di qualche mese fa è stata la dimostrazione di ciò che la
relazione enuncia e i pentiti hanno parlato di “riconquista criminale
della Sila”. I boschi della Sila sono in mano alle mafie da decenni, numerosi erano i camion pieni di tronchi che quotidianamente percorrevano l’autostrada, visti
e segnalati dalle associazioni ambientaliste agli uffici preposti che, però,
hanno preferito fare orecchie di mercante. Ora il problema è emerso insieme a
tutti gli altri affari illeciti dei clan, tra cui il grande business delle
centrali a biomasse. E già, le mani delle cosche si sono allungate anche sul
legname da fornire alla centrale del Mercure: l’impresa Spadafora di San
Giovanni in Fiore aveva conquistato il monopolio per le forniture di legname da
bruciare nella suddetta centrale. Prontamente l’Enel ha minimizzato e
sospeso il contratto con l’azienda coinvolta nell’indagine.
La Centrale
Enel a biomasse del Mercure, è attiva dal 2016 ed è nel cuore del parco del Pollino, vicino al fiume Mercure-Lao. Proprio nell’anno in cui ha iniziato
la sua attività, ha incassato, secondo quanto ha pubblicato l’Enel, 49 milioni di euro. Di
questi, solo 10 milioni sono provenuti dalla produzione energetica, mentre i
rimanenti 39 milioni sono giunti da
incentivi pubblici. Non è stato difficile capire il gioco, visto che i
guadagni della produzione energetica sono risultati provenire da incentivi
pubblici e, soprattutto, la produzione non viene fatta secondo le richieste di
energia del territorio. In altri termini, si produce un’eccessiva quantità di
energia – che supera di molto il fabbisogno energetico della Calabria – per cui
si ha bisogno di una quantità smisurata di biomassa necessaria al suo
funzionamento (circa 350.000 tonnellate all’anno), spesso reperita anche sul territorio dell’Unione
Europea, rischiando di importare specie contaminate da pesticidi,
pericolosissimi per la biodiversità del parco e per la salute dei residenti. Inoltre,
la centrale opera con autorizzazione scadute e proroghe della Regione Calabria,
che sono state anche impugnate dalle associazione ambientaliste del territorio
e manca uno studio ad hoc sul microclima della Valle del Mercure (quello fatto
è stato impostato sui dati di una valle diversa) e l’assenza di una Valutazione
d’Impatto sulla Salute. Da considerare, infine, le infiltrazioni criminali con
i loro grossi interessi nella produzione energetica. L’operazione Stige lo ha
ampiamente dimostrato e
gli incendi di fine settembre, visto che nei mesi estivi non se ne erano
verificati, sono stati ordinati da un regista occulto perché funzionali al
grande business della legna.
Cosenza, 29 settembre 2018
© Francesca Canino
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