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08 agosto 2017

Violenza e denaro a fiumi, ecco la vera faccia dell'immigrazione III Parte

Migranti minori non accompagnati, 118 scomparsi

Da Il Quotidiano del Sud del 15 luglio 2017
Nei primi giorni di luglio, 217 minori non accompagnati, provenienti da diverse zone dell’Africa subsahariana, sono sbarcati nel porto di Corigliano. Immediatamente sistemati nel locale palazzetto dello Sport, sono stati trasferiti, nei giorni seguenti, in altre strutture idonee. Dall’inizio dell’anno ne sono scomparsi 118. Sulla loro sorte non si sa nulla. È questo il dramma degli sbarchi dei minori soli: eludono i controlli, scarsissimi a dire il vero, e scappano con l’intenzione di raggiungere qualche familiare o solo per abbandonare la struttura che li ospita. Ciò che accade dopo l’allontanamento preoccupa tutti, si spera che gli adolescenti non finiscano nella rete della prostituzione, dei caporali, della criminalità e soprattutto si scongiura che vengano adescati per prelevarne gli organi. Anche nei mesi scorsi si sono verificati fughe di minori, dei quali si sono perse le tracce per sempre.

Le storie
Ed ecco l’esperienza di alcuni giovanissimi migranti sbarcati in Italia tra sofferenze e violenze raccontate dagli stessi ragazzi tramite un mediatore culturale. C’è M., che viene dalla Costa d’Avorio, dove ha frequentato la scuola per dodici anni, poi ha lasciato la famiglia perché doveva accompagnare una zia in Niger. «Rimane lì perché è difficile far ritorno a casa – dice il mediatore – e gli suggeriscono di andare in Libia. Incontra una persona che gli fa attraversare il Sahara con altra gente. Soffre per il caldo, la sete, la fame e le bastonate ricevute dalle guide armate prima di essere accompagnato in un carcere libico, a Shaba, dove vengono picchiati tutti i giorni per sei mesi. Ci sono famiglie intere con bambini, tutti subiscono lo stesso trattamento, ci sono malati, molti perdono la vita davanti a lui e sono buttati nel deserto, ci sono donne incinte. Le prigioni sono dei posti tutti chiusi, senza finestre, con persone che stanno male. Vede gente morire proprio accanto a lui e donne incinte che muoiono perché non possono partorire. A M. viene data la possibilità di telefonare alla madre e chiedere tremila dollari per essere liberato: la madre li manda tramite un amico di famiglia che gestisce questo genere di viaggi. Dopo otto mesi, una mattina alle 3, tanti ragazzi sono mandati sul gommone per attraversare il mare, la prigione deve essere svuotata, serve per i nuovi arrivi».
Anche R., eritreo, ha una storia triste da raccontare, conosce poco l’inglese e spera di andare via per lavorare a Roma o a Milano, i suoi amici sono all’estero, in Germania, ma non sa che deve rimanere in una struttura fino a 18 anni. «Nel suo paese non esiste la democrazia – racconta il mediatore - non c’è lavoro, né libertà. I ragazzi che lasciano la scuola li mandano subito a fare i militari. R. scappa di casa, come tanti qui, e la sua famiglia non ne sa niente, viene avvista quando si trova già in Libia, sono preoccupati, è l’unico figlio. Sono i suoi amici a convincerlo a scappare, gli dicono che in Italia è tutto bello, che c’è libertà. La famiglia gli fa avere tremila dollari tramite un amico, per evitare che lo uccidano. Dopo otto mesi trascorsi in un capannone, dove lo picchiano con i bastoni di ferro e dove mangia una volta al giorno, giunge in Italia e spera di trovare un lavoro.
Il suo conterraneo, Mo., dice spesso che non vuole pensare alla sofferenza dei mesi scorsi: botte e 5500 dollari per lasciare la Libia, dopo aver raggiunto il Sudan e incontrato persone che organizzano questi viaggi. Attraversa il deserto in auto, c’è gente del Sudan e della Libia alla guida. Ora è in Italia, ma vorrebbe lasciarla per raggiungere i suoi amici. Tante volte pensa alla famiglia, si è pentito del viaggio perché ha sofferto troppo e oggi dice che sarebbe stato meglio rimanere con la mamma.
B., invece, proviene dal Senegal, dove alcuni canali tv spiegano come fare per raggiungere la Libia. È stato un suo paesano che fa questo lavoro ad accompagnarlo in Mali, qui, un gruppo di senegalesi e nigeriani lo ha condotto in Libia e dopo un mese di prigione è stato messo su un barcone. Chi non ha denaro o viene ucciso o può essere costretto a mettersi alla guida dello scafo. Fra questi ragazzi, c’è un somalo che non riesce a comunicare – conclude il mediatore – perché parla solo il dialetto della sua zona. Nessuno lo capisce, quindi, è impossibile sapere qualcosa sul viaggio che ha fatto o sulla sua vita in genere».
8 agosto 2017
© Francesca Canino





04 agosto 2017

Violenza e denaro a fiumi, ecco la vera faccia dell'immigrazione - II Parte



L’affaire migranti è ormai chiaro: un giro enorme di denaro che interessa intermediari, tv locali africane, bande di carcerieri e scafisti, ong e centri di accoglienza vari. I politici hanno i loro tornaconti, la criminalità i suoi guadagni, gli Italiani i disagi e i migranti i maltrattamenti. Da qui alla schiavitù il passo è breve: la stragrande maggioranza dei migranti diventa forza lavoro a costo pari quasi allo zero, le donne prostitute, sui bambini si deve ancora capire cosa fare, intanto molti scompaiono, dall’inizio dell’anno si contano in Calabria 118 minori scomparsi. Per questi motivi, come non pensare che l’esodo sia una manovra per arricchire tanta gente? Intanto leggiamo le loro drammatiche storie di dolore e ingiustizie e poi interroghiamoci su quanta umanità c’è ancora in giro.

Dall’Africa subsahariana all’Italia,
la traversata della vergogna

dal Quotidiano del Sud del 15 luglio 2017
LE PROFONDE cicatrici resteranno per tutta la vita, saranno il ricordo di un’esperienza che ha ormai dilaniato le membra e l’anima di tanti giovani a colpi di bastonate inferte nel deserto e nella ‘prison’.
M. ha 16 anni e oggi si è pentito di aver fatto la traversata di mezza Africa e del Mediterraneo per giungere da migrante minorenne in Italia, vorrebbe essere con la sua mamma. È una delle tante storie raccontate attraverso il mediatore culturale Abdullah, un giovane marocchino che vive in Italia da anni e conosce bene lingue e culture del continente nero.
M., Ma., B. e altri giovanissimi provenienti da diverse regioni africane sono, da settimane ormai, gli ospiti del palazzetto dello Sport di Corigliano. Sorridono, parlano, alzano il pollice per comunicare che tutto ora va bene. La giovane età consente di dimenticare in fretta, anche se le esperienze che hanno vissuto e raccontato difficilmente saranno archiviate nei meandri della loro memoria. Sono scappati di casa per venire in Italia, attratti dall’immagine del bel paese che viene diffusa dalle tv africane, dai racconti di familiari e amici che hanno già compiuto la fatidica traversata. Solo fatidica?

Dai racconti dei ragazzi il viaggio si rivela un inferno in terra, pieno di mostruosità che lasciano increduli. Dalla fuga di casa fino a metà della rotta sul Mediterraneo, i giovani migranti non accompagnati subiscono fame e soprusi. E botte, tante botte senza alcun motivo, poi la sete, la prigionia e la paura di non farcela, di non ricevere il denaro dalle famiglie ed essere ammazzati e lasciati per sempre nel deserto. Il Sahara si attraversa in un mese e quattro giorni circa, lunghe carovane di uomini, donne e minori si avviano dai paesi della fascia subsahariana per raggiungere la Libia. Tre biscotti e mezzo bicchiere di acqua salata è tutto ciò che ingeriscono in un giorno, i più deboli si ammalano, alcuni muoiono e rimangono nel deserto. Picchiati e maltrattati di continuo da uomini armati, la carovana procede verso Nord, verso la Libia. Un primo punto di arrivo, ma non un sollievo. I migranti vengono immediatamente sbattuti nelle ‘prisons’, le prigioni libiche, dai muri altissimi, senza finestre, dove fa caldo e si suda, si mangia ogni quattro giorni sotto il controllo di uomini armati e le violenze sono indicibili. I più fortunati rimangono in prigione solo sei mesi, altri molto di più. Dipende anche da quando e quanto denaro le famiglie dei migranti faranno pervenire. Solo allora i libici li fanno salire sui gommoni guidati dagli scafisti alla volta dell’Italia. Un viaggio che dura quattro giorni. Ma a metà, una imbarcazione li raggiunge, carica lo scafista e lascia il gommone al suo destino. È in questo momento che sopraggiungono gli aiuti, navi che li caricano per farli approdare nei porti della Sicilia e della Calabria. Solo qui si abbandonano le paure, ci si sente liberi, si respira umanità. Si torna alla vita.
4 agosto 2017
© Francesca Canino

03 agosto 2017

Violenza e denaro a fiumi, ecco la vera faccia dell'immigrazione - I Parte



Dal reportage che ho fatto insieme alla collega Morena Gallo in un centro di accoglienza per migranti minori non accompagnati è emerso il dramma nel dramma dell’immigrazione.
Ho appreso dalla voce degli adolescenti le loro storie cariche di dolore, solitudine, disperazione. E violenza, tanta violenza che si materializza con le botte che ricevono e che lasciano profonde cicatrici. Ho capito, però, anche se già si sapeva, che c’è un giro di denaro enorme, a tutte le latitudini, sulla pelle degli Africani di ogni età che decidono di lasciare i loro paesi per raggiungere l’Europa. I racconti di questi ragazzi indignano e non si può rimanere inermi dinanzi a un esodo che ha come unico scopo quello di far arricchire Africani, Italiani ed Europei che hanno messo in campo un vero e proprio traffico di esseri umani, arricchendosi pericolosamente e ri-creando una nuova schiavitù nera. I ragazzi mi hanno detto che nei loro paesi (Senegal, Ghana, Eritrea) si fa una insistente propaganda sui canali tv - o con il passa parola - mirata a convincere i giovanissimi a lasciare il proprio paese per l’Europa. A loro si fa credere che arrivati in Italia potranno studiare, lavorare o raggiungere i parenti in Germania. Pare che tutti abbiano parenti in Germania! Attraverso alcuni connazionali si mettono in contatto con i capi delle carovane per attraversare il deserto, dove subiscono di tutto, arrivano in Libia e vengono sbattuti in prigione fin quando le famiglie, avvisate tramite intermediari, non manderanno il denaro per far imbarcare i congiunti. Giunti in mezzo al Mediterraneo, lo scafista lascia il gommone in mare aperto e fugge via. Intervengono le Ong e li portano in Sicilia e Calabria. I maggiorenni vengono mandati nelle strutture apposite, gestite da traffichini e politici che costruiscono imperi sui migranti, ma anche le Ong prendono soldi, come gli scafisti, i carcerieri libici, i capi carovana, i connazionali che fanno da tramite, i canali tv che trasmettono la pubblicità che li spinge ad emigrare. Poi ci sono le organizzazioni umanitarie che non solo incassano finanziamenti, quanto mettono, spesso, i bastoni tra le ruote alle Prefetture. E poi ci sono quelli che lucrano in immagine. Insomma, tutti ci guadagnano e vogliono continuare a farlo, ma loro, i migranti, vengono picchiati, violentati, affamati, umiliati, a volte uccisi. Mi vergogno di far parte degli umani. Bisogna spezzare questa catena di soldi e violenza, anche perché qui non hanno un futuro, sono sfruttati perché i centri d’accoglienza guadagnano su di loro, vengono messi davanti ai semafori a chiedere l’elemosina o a lavare i vetri. Per i minori non accompagnati è peggio: non c’è una buona organizzazione, molti scappano, ieri è stata fatta una ricognizione in regione, mancano all’appello, dall’inizio dell’anno, 118 minori. Che fine hanno fatto? Hanno raggiunto la Germania? Sono stati assoldati dai caporali che li faranno lavorare nei campi come bestie da soma? Sono state messe sulla strada? Esiste davvero il traffico di organi sui migranti minori? Si può ristabilire un minimo di umanità in questo mondo di bestie feroci?  
3 agosto 2017
© Francesca Canino