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31 gennaio 2017

Cosenza vecchia e l'agnello dei sette sigilli




Riconoscete questo luogo? 


E' Piazza delle Uova a Cosenza vecchia, ovvero la vergognosa discarica del primo tratto di corso Telesio. Cumuli di rifiuti di ogni tipo giacciono da anni in uno dei luoghi più misteriosi della città, appena sotto un murales che alcune associazioni hanno voluto sistemare sulle antiche mura. Stridenti per i colori accesi, per i disegni sgraziati e spesso anche per rappresentare scene lontane dalla storia.


L'area è inutilmente videosorvegliata. 


Sulla piazza sorgono palazzi bellissimi e una piccola chiesa. 



E' la chiesa di San Giovanni Gerosolimitano, situata nell'omonima piazza, già piazza delle Uova, sottoposta a un restauro nell'ambito di un finanziamento che ha permesso di ristrutturare diverse chiese della città, compresa la stessa cattedrale. Intorno alla chiesa sorgono antichi palazzi di pregevole fattura, probabilmente edificati per la borghesia cosentina. Su uno di questi è incisa una meridiana e tutti presentano elementi architettonici rilevanti e ancora da svelare. 



Una costruzione abbandonata è attigua alla chiesa, forse una parte dell'ospedale costruito dai Cavalieri di Malta. Ma c'è un fregio sulla porta secondaria della chiesa che non passa inosservato: è l'agnello dei sette sigilli che domina la piazza come un antico guardiano. 




Con la destra circonda una croce avvolta da un nastro dalle morbide forme e con il corpo custodisce il libro biblico della Rivelazione, l'Apocalisse di Giovanni, che descrive 'le cose che devono presto accadere'. L'evangelista vede alla destra di Dio un rotolo scritto e chiuso con sette sigilli che contiene tutta la storia e il suo significato; i sigilli potranno essere spezzati solo da Gesù Cristo. L'apocalittica visione è l'oggetto di un bassorilievo marmoreo di scuola napoletana (1500) venuto alla luce durante i lavori di consolidamento degli anni '90. Nascosto sotto uno strato di calce, fu restaurato dalla Soprintendenza dove è ancora custodito per la mancanza di adeguati sistemi di protezione. Sulla porta secondaria della chiesa è stata, dunque, sistemata una copia dell'agnello, simbolo degli antichi proprietari della chiesa, la Commenda dei Cavalieri di Malta o Gerosolimitani, comunità monastica dedita alla gestione dell’ospedale per l’assistenza dei pellegrini in Terra Santa.

Sarebbero stati alcuni mercanti dell’antica repubblica marinara di Amalfi ad ottenere dal Califfo d’Egitto il permesso di costruire a Gerusalemme una chiesa, un convento e un ospedale nel quale assistere i pellegrini di ogni fede o razza, adottando la bianca Croce Ottagona come simbolo dell’Ordine. A Cosenza giunsero nel 1428, fondarono la chiesa che subì diversi interventi di restauro e l'ospedale. Dopo una fase di declino fu rimodernata nel 1882 a spese del duca degli Spiriti che ne fu proprietario fino al 1907, come è inciso sulle due porte della chiesetta e che la cedette alla Confraternita dell'Annunziata, il cui stemma figura sull'architrave della porta d'ingresso.



In tempi più recenti divenne centro per l'assistenza religiosa e morale deglo avanguardisti fascisti di Cosenza e fu restituita al culto dal commerciante Giovanni Garofalo il 25 marzo del 1934, in occasione della funzione in onore della SS. Vergine dell'Annunziata. Nel '44 fu danneggiata dai bombardamenti e riaperta al culto fu fatta abbellire dal pittore Bevacqua. La facciata è a capanna con portale sovrastato da uno stemma nobiliare raffigurante un cavaliere. A fianco è una torre campanaria con tre monofore. L'interno è a pianta rettangolare e ad un'unica navata: l'altare maggiore in marmo bianco, datato 1883, fu realizzato da Rocco Ferrari di Montalto Uffugo. Custodiva una tela raffigurante l'Annunciazione di ignoto pittore meridionale del XVII secolo, ora conservata presso la Soprintendenza.
I lavori di ripristino della chiesa nel 1988 portarono alla luce elementi medievali, segno dell'antichità del luogo di culto, che quindi è antecedente alla chiesetta dei Cavalieri.


Alcuni ritrovamenti archeologici furono rinvenuti negli anni '90 in piazza delle Uova, quella del tradizionale mercatino di pollame e cacciagione che vi si svolse fino agli anni Settanta.
Un luogo così merita l'incuria, i rifiuti, il murales e l'oblio?

31 gennaio 2017
© Francesca Canino

 




09 gennaio 2017

Analisi di un fenomeno preoccupante: l'aumento della criminalità a Cosenza

da "Il Quotidiano del Sud" 7 gennaio 2017




VIGILIA della Befana a piazza Cappello: alle 19 un medico viene derubato e ferito di striscio con un’arma da fuoco; 3 gennaio, corso Mazzini: alle 9,30 due uomini rapinano una gioielleria; vigilia di Capodanno a via Roma: intorno alla mezzanotte alcuni ladri si introducono in una attività commerciale, forzano la saracinesca e portano via poche decine di euro.
Un anno finisce e un altro inizia sulla stessa scia criminale che negli ultimi mesi sta creando non poche preoccupazioni nei cittadini. Delitti compiuti in pieno centro e in orari inusuali che non sono solo la spia di un fenomeno, la microcriminalità, che ha mutato la sua fisionomia, ma sono anche la scaturigine dei fondati timori dei residenti. Se la delinquenza pervade i quartieri più frequentati in orari in cui si lavora o si passeggia, significa che qualcosa negli ingranaggi si è rotto. Cosa può spingere una persona a delinquere nelle zone centrali e negli orari “tradizionalmente” meno adatti per compiere un qualsivoglia reato? Bisogno? Impunità? Prova di forza?
Proviamo ad analizzarli tutti, in relazione al contesto sociale in cui i reati sono stati consumati.
Cosenza è una città in cui aumentano giorno per giorno i bisognosi e i bisogni, il lavoro è una chimera, il denaro serve, spesso per futilità, e ognuno cerca di guadagnarlo come può. Non si disdegnano le maniere illecite, di contro non c’è la galera, al massimo i domiciliari che, tutto sommato, è come stare a casa per una lunga influenza.
Aumentano i bisogni, dicevamo, poiché il bisognoso di oggi non è colui che cerca il classico pezzo di pane, ma spesso un individuo che deve acquistare stupefacenti o prodotti non di prima necessità. E qui il banco salta. Il pezzo di pane si trova, purtroppo, anche nella spazzatura o può essere regalato agli affamati, la droga no, se non si hanno i soldi non se ne può fare uso. Aumentano dunque i furti, gli scippi, gli scassi e diminuisce la sicurezza del cittadino, senza tutele perché i reati sono compiuti in ordine sparso, mancano le regie criminali, ognuno è manovale e boss nello stesso tempo. E nello scambio dei ruoli, quando cioè si passa dall’essere manovale all’essere boss, si supera inconsciamente una prova di forza che equivale a una promozione per poter compiere i successivi reati.
Ma il cittadino ha diritto a vivere in una società tranquilla, così come chi delinque ha diritto ad essere socialmente recuperato.
Il crimine, in tutte le sue sfaccettature, deve essere combattuto alla fonte, bisogna sradicarlo dal suo vero humus di crescita: il disagio sociale, l’impossibilità di trovare un lavoro, la comprensione dei veri bisogni dell’individuo. La pena certa costituisce un deterrente, la pena dovrebbe costituire anche il momento del riscatto, del recupero, della trasformazione dei ‘microcriminali in ordine sparso’ in cives dalla coscienza universale.


© FRANCESCA CANINO