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30 agosto 2021

C'era una volta a Cosenza: Il pastificio sul Busento

  

Il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat a Cosenza
 

Se ci raccontassero che nel 1966 qualcuno a Cosenza investì 850 milioni di lire per pubblicizzare un suo prodotto in televisione e che, sempre nello stesso anno, l’allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat si recò nella città bruzia per inaugurare la nuova sede dell’azienda che produceva il prodotto in questione, penseremmo ad una bufala in grande stile.

Invece no, perché è la storia del pastificio Lecce, una storia fatta non solo di pasta, ma anche di avanguardie, logiche di mercato e affari in una terra del Sud che per quasi settant’anni l’ha visto protagonista nel settore alimentare.



Dal primo stabilimento situato nel quartiere della Riforma, al successivo sorto nella zona di Vadue, ove si estende su un’area di circa ventimila metri quadrati, il pastificio ha rappresentato un punto fermo nella scena economica locale e nazionale, esorbitando a volte dagli ambiti propri della produzione della pasta per sconfinare in settori diversi da quello alimentare.

Il pastificio

L’azienda nacque ad opera di Biagio Lecce, già proprietario di un mulino di famiglia a Spezzano Sila. Era il 1934: sul mercato italiano della pasta, ovvero il piatto nazionale, si affacciava il marchio Lecce che avrebbe avuto, in futuro, anche quattrocento lavoratori alle sue dipendenze.

Biagio Lecce
‘’La produzione non si fermò neanche nel periodo bellico - dice Antonio Lecce, figlio di Biagio - quando fu resa possibile grazie al lavoro dei contadini della zona che portavano il grano ai mulini, i quali, a loro volta, rifornivano di farina il pastificio, evitando così carenze di pasta e svolgendo una funzione sociale ben precisa’’.

Ma fu dal ’46 che si diede il via alla linea continua di pasta per soddisfare la crescente richiesta: si produceva per 360 giorni all’anno pasta di ottima qualità tanto che, in breve tempo, il prodotto approdò sul mercato estero. Il successo fu tale che negli anni ‘50 l’America premiò l’azienda quale maggiore esperta di pasta. Intanto, proprio in quegli anni, la Calabria vantava ben ventidue pastifici, di cui cinque solo a Cosenza. Tra questi il Lecce che di lì a poco apportò delle grandi innovazioni ai tradizionali metodi di gestione aziendale mediante l’uso dei primi computer. Già nel ’64 l’organizzazione amministrativa del pastificio era computerizzata e ciò era servito non solo a rendere più preciso e veloce il lavoro amministrativo, ma soprattutto a razionalizzare meglio gli spazi dell’azienda, anche se era proprio lui, il computer, ad occupare il notevole spazio di 200 metri quadrati! Dimensioni che oggi sembrano esagerate, ma un vecchio computer a scheda, con un massimo di 500 Kb di memoria, necessitava di un ambiente molto esteso per poter essere installato e per possederne uno bisognava fare un leasing di un milione di lire al mese.

‘’Erano questi gli anni - continua Lecce - in cui l’azienda, unico cliente calabrese dell’IBM, intratteneva rapporti di lavoro con Luciano De Crescenzo, rappresentante per la Calabria’’.

Si doveva arrivare agli anni ’70 perché l’azienda acquistasse un computer per diverse centinaia di milioni di lire. Nel frattempo, la pasta cosentina, conosciuta in tutta Italia, approdò in televisione, precisamente a Carosello, per la pubblicità al prodotto Lecce più caratteristico: i fusilli. Per parecchi milioni di lire, come dicevamo all’inizio, sottolineando anche che la storia di questa fabbrica della pasta conteneva in sé altre ‘storie’, spesso troppo diverse tra di loro, come la passione per l’informatica e per lo sport. Infatti, in quegli anni, Biagio Lecce fu più volte presidente del Cosenza Calcio e sotto la sua presidenza i ‘’Lupi’’ riconquistarono la serie B.

Biagio Lecce, presidente Cosenza calcio

Calcio a parte e qualche anno più tardi (1982) si verificò una svolta nell’ormai consolidato sistema di produzione e commercializzazione, quando, cioè, l’azienda, notando una serie di difficoltà sopravvenute nella fase di distribuzione del prodotto nell’intera penisola, decise di produrre solo i formati speciali e strinse un soddisfacente sodalizio con la Barilla. Quest’ultima diventò socio al 30% e avrebbe provveduto alla distribuzione capillare dei prodotti su tutto il territorio nazionale, essendo provvista dei mezzi idonei; dal canto suo, Lecce, avrebbe prodotto per Barilla (ma poi anche per Voiello, De Cecco, Divella e per un grande pastificio americano) solo le ‘’Specialità’’, ovvero i formati della tradizione meridionale, per i quali necessitavano alcuni macchinari particolari che Barilla non possedeva, mentre Lecce, anni addietro, li aveva ideati, disegnati e fatti realizzare.



‘’Fu un periodo splendido - dice ancora Lecce - diciotto anni di collaborazione e produzione che ci fece superare anche i gravi problemi causati dall’incendio del 1987. Aveva distrutto tutto, ma in un anno riuscimmo a ricostruirlo per poter soddisfare le richieste del mercato. Facemmo fronte ad una ingente spesa per la ristrutturazione dei locali e per l’acquisto di nuovi macchinari’’.

Tra le nuove macchine, ve n’era una che inscatolava automaticamente i cannelloni, avvalendosi di un microprocessore Rockwell.

Pasta e tecnologia viaggiavano su binari paralleli ormai da diversi anni, adeguandosi ai mutamenti dei tempi, quindi dei gusti e del mercato. Col nuovo millennio, Barilla decise di rivendere il pacchetto azionario a Lecce, per rimediare, forse, ad un’anomala posizione di minoranza nella società.

L’azienda riprese a rifornire il mercato regionale con tutti i formati di pasta, creando la linea ‘’Orgoglio calabrese’’ e si ritrovò dinanzi ad un altro successo, viste le alte richieste che provenivano dai consumatori.

In questo periodo, per riuscire a soddisfare la domanda, l’azienda chiese dei finanziamenti bancari. Nonostante le garanzie che la stessa presentò, la banca non si mostrò propensa ad erogare il finanziamento, adducendo motivazioni di tipo logistico penalizzanti: il pastificio sorgeva in una zona a rischio! L’azienda chiese anche a Fincalabria un prestito partecipativo di due miliardi di lire, che accettò di garantire il debito visti i fatturati e le richieste che il pastificio aveva. "Fu un caso paradossale - conclude Lecce - un’azienda sul mercato dai lontani anni ’30 che non ottiene finanziamenti per soddisfare le numerose richieste, quindi per incrementare, non già per iniziare l’attività produttiva! La banca non intervenne e ciò ne causò la chiusura nel 2001, con il conseguente licenziamento dei venti dipendenti".

Da allora non se ne parlò più, ma il pastificio è ancora là, integro, su una riva del Busento, dove sembra attendere di essere rimesso in funzione.

Cosenza, dicembre 2006

© Francesca Canino

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