Dal web: Il Guercino, Studi di nasi e bocche
Nel XVI secolo in Calabria si praticava
la chirurgia estetica ad opera di due fratelli nativi di Tropea o forse di
Maida. La disputa sorta tra i due centri calabresi su chi avesse dato i natali
ai costruttori di nasi del Rinascimento, Pietro e Paolo Boiano, detti
anche Vianeo, non si risolse nel corso dei secoli, anche se tutti i
documenti e le testimonianze del periodo designano i due fratelli come i
"Vianeo di Tropea".
Pionieri della rinoplastica, Pietro
e Paolo avevano perfezionato una tecnica che consisteva nel sollevare lembi di
pelle dalla parte interna dell'avambraccio sinistro per poi applicarli sul naso
mutilato. I pazienti che si sottoposero agli interventi indicarono Tropea come la
città dei Vianeo, i fratelli dei ‘prodigi’, anzi della “Magia trupiensis”, secondo una citazione
di Tommaso Campanella.
Nel Meridione, tra il XV e il XVI secolo
si era consolidata una tradizione rinoplastica a causa di una feroce legge
bizantina, rimasta in vigore per buona parte del Rinascimento, che prescriveva
la mutilazione del naso a coloro i quali avevano commessi particolari reati. Stupratori
e adulteri colti in flagranza di reato, re sconfitti, donne che facevano
prostituire le figlie erano condannati al taglio del naso. Costoro arrivavano
in Calabria da ogni parte d’Europa per farselo ricostruire.
Sono molte le testimonianze sulla
tecnica chirurgica usata dai Vianeo, la prima è del medico bolognese Leonardo
Fioravanti, che, recatosi a Tropea nel 1549, descrisse l’intervento ne
“Il tesoro della vita Humana”: «Ritrovandomi
dunque io in Trupia… l'ordine è questo, cioè, la prima cosa che costoro
facevano ad uno quando li volevano fare tale operatione lo facevano purgare, e
poi nel braccio sinistro tra la spalla et il gomito, nel mezzo pigliavano
quella pelle con una tanaglia, e con una lancetta grande passavano tra la
tanaglia et la carne del muscolo, et vi passavano una lenzetta o stricca di
tela, e le medicarono fin tanto che quella pelle diventava grossissima. E come
pareva a loro che fosse grossa a bastanza, tagliavano il naso tutto pare, e
tagliavano quella pelle ad una banda e la cusivano al naso e lo ligavano con
tanto artificio e destrezza che non si poteva muovere in modo alcuno fin tanto,
che la detta pelle non era saldata insieme col naso. E saldata che era la
tagliavano a l'altra banda, e scorticavano il labro della bocca, e vi cusivano
la detta pelle del braccio, e la medicavano fintanto che fosse saldata insieme
col labro. E poi vi mettevano una
forma fatta di metallo, nella quale il naso cresceva a proportione e restava
formato ma alquanto più bianco della faccia, e questo è l'ordine che questi
tali tenevano nel fare i nasi».
I chirurghi ante litteram che in pieno
‘500 richiamarono nel loro studio calabrese persone da tutta l’Europa, gettando
le
basi della scienza autoplastica italiana, furono al centro di dispute per l’attribuzione
del primato. Le controversie si risolsero grazie agli scritti dello storico
napoletano Camillo Porzio, che operato dai Vianeo, li elogiò in una lettera
inviata al cardinale Seripando nel 1561. Il filosofo Tommaso Campanella,
vissuto mezzo secolo dopo i Vianeo, citò nelle sue opere i due chirurghi di
Tropea, affermando di aver visto nasi ricostruiti con arte mirabile, una vera
‘Magia Calabra Trupiensis’.
Cosenza,
1 febbraio 2021
© Francesca
Canino
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