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05 gennaio 2021

Sila 1950, assalto al latifondo


UNA BANDIERA tricolore sventolava sulle mietitrici al seguito del pulmino per la propaganda itinerante. Le affiancava un camion zeppo di soldati americani ancora presenti sul territorio. Era il 1950: la legge stralcio di Riforma Agraria iniziava a delineare le nuove strategie per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ancora massiccia la presenza dei soldati americani che spesso accompagnavano lo staff della propaganda. Semplice passatempo o controllo sulla reale attuazione dei provvedimenti agrari, che sembra siano stati finanziati in parte dai fondi del Piano Marshall? E’ l’aspetto folkloristico del progetto di Riforma agraria che negli anni ’50 investì l’Italia, infondendo nei contadini la speranza di lavoro e di riscatto sociale, presto disattesi poiché la Legge Sila e la seguente Riforma Agraria, pur determinando la liquidazione del latifondo, risposero in parte alla ‘fame’ di terra dei contadini, impedendo la creazione di grandi aziende agricole.


La Riforma agraria in Sila incontrò inizialmente le ostilità di diversi comuni locali, poco disponibili all’attuazione dei programmi che, per la loro componente innovatrice, ‘spaventavano’ amministratori e cittadini. Si pensò, allora, di preparare una campagna propagandistica con l’utilizzo di un pulmino che, dotato di attrezzature cinematografiche da far invidia a Cinecittà, percorreva i comuni calabresi più scettici e proiettava filmati sui risultati ottenuti dall’applicazione dei piani della Riforma nel resto d’Italia.


Le terre, rimaste per troppo tempo nei possedimenti di baroni e marchesi per le antiche concessioni feudatarie, avrebbero potuto risolvere il secolare problema dei contadini, tanto che già in periodo fascista si cercò di risolvere la questione agraria con le opere di bonifica dei terreni, veri e propri modificatori del paesaggio, ma fu solo dopo la caduta del regime che i movimenti per la terra iniziarono spontaneamente ad opera di braccianti e contadini nel marchesato di Crotone ed in Sila, con le stesse forme violente di inizio secolo.


Il tentativo di rivalsa delle masse contadine nei confronti dei baroni e dei loro intermediari gabellotti, indussero una parte delle forze politiche ad intervenire per sottrarre le terre incolte ai grossi latifondisti e destinarle ai contadini, ai limiti della sopravvivenza. In questa direzione, Fausto Gullo, calabrese, Ministro dell’Agricoltura, emanò i suoi decreti contribuendo alla formazione di un tessuto democratico comprensivo di leghe, cooperative, sindacati che presto diedero vita ad una nuova soggettività sociale. Era la Calabria rossa, che per la prima volta nel dopoguerra si organizzò e rivolse l’attenzione alla secolare disgregazione delle campagne, destinandole obiettivi immediati di cambiamento delle condizioni di vita. Il movimento si rafforzò, assunse dimensioni imponenti e divenne un vero e proprio assalto al latifondo, il Governo rispose con una sanguinosa repressione a Melissa, dove i contadini, esasperati per le misere condizioni di vita, tentarono di occupare i terreni incolti di un feudo. Il fatto ebbe risonanza a livello nazionale per l’efferatezza con cui i contadini furono scacciati dalla celere del ministro Scelba e per la morte di una donna.


La fame delle masse rurali costituiva un problema di considerevoli dimensioni e l’orientamento di difesa del blocco agrario mostrava la sua vulnerabilità. Serviva un cambio di linea e nel ’50 venne promulgata la Legge Sila che prevedeva il ridimensionamento delle proprietà dei latifondisti ed in seguito la legge stralcio di riforma agraria che proponeva la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli, rendendoli così piccoli imprenditori e non più sottomessi al grande latifondista. La riforma fondiaria fu affidata all’OVS, Opera Valorizzazione Sila, ente costituito nel 1947, che espropriò 75.000 ettari di terreno e ne acquistò altri per un totale di 86.000, accontentando un gran numero di famiglie.


La nuova legislazione prospettò scenari diversi per il Sud, grazie anche all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, momento decisivo di un progetto che voleva dotare il Sud delle infrastrutture necessarie per la creazione di condizioni ottimali per l’industrializzazione. Dopo la promulgazione delle due leggi, nacque l’Opera Sila, ente preposto alla realizzazione della Riforma agraria, che sembra sia diventato subito uno strumento di organizzazione del consenso per la Democrazia cristiana.


Iniziò tuttavia una trasformazione del territorio con l’assegnazione di quote e poderi ai contadini che si dedicarono alla coltivazione di grano e patate. Le quote erano appezzamenti di terreno concesse per la coltivazione nei soli mesi estivi, senza obbligo di residenza e che contribuirono al miglioramento temporaneo della microeconomia locale. I poderi, invece, erano più estesi e dotati di casa colonica e strutture collaterali. Nel momento della consegna all’assegnatario, gli veniva donato anche un pane, un fiasco di vino ed un Crocifisso.


I villaggi calabresi si dotarono subito di servizi e strutture istituzionali di supporto quali scuole, chiese, uffici postali, chiese, negozi, alimentari che oltre a mutare il secolare aspetto del territorio, costituì la struttura logistica di tutto il comprensorio silano per lo sviluppo economico e sociale della regione.

Ben presto furono costruiti impianti di irrigazione per una superficie di 8656 strade, laghi artificiali, 106 acquedotti civili e rurali, 52 strade per 560 Km, borghi e villaggi furono dotati di luce elettrica, rete fognaria, pozzi. Nello stesso periodo si attuò il rimboschimento di varie zone silane dopo la selvaggia deforestazione compiuta alla fine della seconda guerra mondiale, quando il legname servì per pagare i debiti di guerra.


Venne istituita una Scuola di tessitura a San Giovanni in Fiore e qui, nel 1955, arrivò una famiglia dall’Armenia per insegnare alle donne la tessitura di tappeti Kirman, mentre altri corsi di avviamento all’agricoltura e di economia domestica furono organizzati per le famiglie assegnatarie.

La grossa piaga del Sud era ancora l’analfabetismo, si pensò, allora, di attuare corsi di istruzione per adulti e furono avviate scuole elementari, visto che i bambini non frequentavano non solo per la mancanza effettiva di strutture scolastiche, ma anche per l’aiuto che dovevano dare alla famiglia nei campi. Si sensibilizzarono i genitori all’importanza della scuola e quasi contemporaneamente furono organizzate le Colonie estive.

Ben presto, però, i contadini furono posti di fronte alla competizione con gli agricoltori del nord: le zappe di fronte ai potenti trattori non consentivano un lavoro veloce su larghe estensioni di terre. D’altra parte la frammentazione di molti ettari di terra che nel secolo precedente costituivano i fondi dei ‘signori della Sila’, non poteva garantire una produzione agricola omogenea, né una idonea distribuzione commerciale nei mercati.


Solo in pochi casi la riforma produsse redditi adeguati al sostentamento di una famiglia tanto che alla fine degli anni ’50, i figli dei contadini che avevano sfidato miseria ed ingiustizie, ripresero ad emigrare. Nell’arco di un decennio circa, si calcola che oltre trecentomila persone lasciarono la Calabria per trovare lavoro nelle industrie del Nord o all’estero, causando lo svuotamento di tanti paesi ed il conseguente invecchiamento della popolazione. Con il fallimento dei vari progetti industriali che nel corso dei decenni sono stati destinati al territorio calabrese, è doloroso notare come l’industrializzazione non sia riuscita ad affermarsi nonostante i fondi stanziati, le energie profuse, ettari di terre sacrificati in nome di uno sviluppo che non c’è mai stato.

E, per uno strano paradosso, la cooperazione nel Sud era e rimane ancora irrealizzabile, causa anche questa delle attuali condizioni in cui versa il Meridione.    

Cosenza, 28 maggio 2007

© Francesca Canino

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