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30 gennaio 2021

La dama di Sibari

 


FRANCAVILLA è l'unico sito indigeno della Sibaritide che presenta sepolture ininterrotte dall'850 al 530 a.C., sopravvissuto all'arrivo dei Greci e alla fondazione di Sybaris. Formato da due terreni archeologici, Timpone della Motta e Macchiabate, numerosi sono i ritrovamenti che riguardano la religione e l'insediamento abitativo. Gli antichi abitanti di Francavilla Marittima erano sicuramente Italici. Ad essi l'archeologia ha dedicato poca attenzione, troppo incentrata sui Greci e sulla loro colonizzazione del Sud d'Italia che ha fatto trascurare la preistoria indigena.

Negli anni '30 del secolo scorso, comparvero a Francavilla le prime testimonianze di una cultura indigena protostorica, proveniente da corredi funerari come la tomba Strada in contrada Macchiabate.

Nel 1963, la Soprintendenza intraprese le prime campagne di scavo dirette da Paola Zancani Montuoro. Fino al ‘69 si svolsero annuali campagne con la collaborazione dell’archeologa olandese Maria W. Stoop e della sua allieva Marianne Kleibrink. In cima al Timpone della Motta fu scoperta l’Acropoli di una città ellenizzata e in contrada Macchiabate una necropoli indigena. Numerosi i reperti ritrovati con gli scavi clandestini e finiti in collezioni private e in musei stranieri.

Tra gli oggetti più belli rinvenuti si annovera 'La dama di Sibari'. Nel santuario di Athena, sulla cima del Timpone della Motta, sono stati, infatti, ritrovati i frammenti di un importante reperto raffigurante forse la stessa dea. Molto curato è l'abbigliamento per la ricchezza e l'unicità dei decori, costituito da una gonna lunga con disegno a rete, un corpetto e un grembiule decorato con larghe fasce orizzontali, in cui uomini e donne sono rappresentati nell’atto di danzare.



Nella necropoli di Macchiabate è stato trovato un bellissimo sigillo a forma di scarabeo, a imitazione dello stercorario egizio. Considerato un insetto protettivo per il modo in cui muove la pallina di sterco, simile al movimento del sole nel firmamento, l'uso proviene dall'Egitto e si diffuse nel Mediterraneo ad opera dei mercanti fenici e greci, come attestano gli scarabei ritrovati nelle tombe di bambini a Pithekoussai (Ischia). Su una parte del sigillo, lo scarabeo reca un intaglio che rappresenta un leone contornato da un'iscrizione in aramaico.

C'è anche un reperto che testimonia il culto dell’acqua: è la ‘pisside del Canton Ticino’, così definita perché è stato ritrovato in Svizzera dove era clandestinamente finita. La scena dipinta è in stile sub-geometrico dell’Italia meridionale, risale al 700 a.C. e raffigura la scena di una processione in cui una fila di uomini armati, capeggiati da un suonatore di lira, e una fila di donne raggiungono una dea seduta su un trono. La capofila porta una hydria e la dea ha in mano una coppetta per raccoglierla. Un altro pezzo importante, ritrovato nella tomba della Strada, è la pregiata coppa in bronzo di fattura fenicia che testimonia gli scambi tra l’antica Calabria jonica e i paesi del Mediterraneo.

Cosenza, 30 gennaio 2021

© Francesca Canino

 

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