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Con questa mia lettera vorrei raccontarvi, sperando
di riuscirci in poche parole, alcuni paradossi della nostra terra, in cui non
sempre le cose funzionano a dovere, ma quando esse vanno per il verso giusto c’è
sempre qualcuno o qualcosa che si attiva per non farle funzionare più. Non darei
la colpa al destino, bensì ai tanti esseri umani che pensano prima al loro
tornaconto e poi al bene della comunità.
Sono un malata oncologica della Presila e mi sottopongo
alla chemioterapia presso l’ospedale di San Giovanni in Fiore, il cui
ambulatorio può essere definito un fiore all’occhiello della sanità calabrese,
sia per la struttura che per il personale. Proprio quest’ultimo merita un
plauso particolare per la competenza e l’umanità che ogni giorno mette in campo
per cercare di limitare i rischi del cancro e per alleviare le angosce e spesso
la disperazione che solo chi è colpito da questa terribile malattia può
conoscere.
Tra dolori, interventi chirurgici, calvari
burocratici, viaggi della speranza e discese agli inferi, la vita del malato
oncologico riesce a risollevarsi un po’ davanti al sorriso e alla comprensione di
chi lo cura. Inutile girarci intorno, il malato oncologico è una persona che
dal momento in cui scopre la sua malattia vivrà per sempre con un piede sulla
terra e uno verso l’aldilà, non si torna più alla normalità anche quando le
cure fanno effetto. E nel frattempo che la terapia dia i suoi frutti, si vive nell’incognita
del futuro e in un presente traballante. Ci aggrappiamo con tutte le nostre
forze fisiche (poche a dire il vero) e morali ai sanitari che ci curano, alle
loro indicazioni, ai loro sorrisi. Sono il nostro stimolo, ci riempiono il
cuore e ci infondono speranze.
A San Giovanni lavorano persone meravigliose,
professionisti in gamba e attenti alle nostre esigenze e alle nostre paure. L’ambulatorio
oncologico, dove mi sottopongo alla chemio, è una piccola eccellenza della
nostra terra, i due medici e gli operatori sanitari che vi prestano servizio
sono impagabili. Il dottor Caputo mi segue personalmente e il mio recupero è
visibile, soprattutto perché mi sostiene moralmente nella mia lotta al cancro.
Ora, purtroppo, sarà impegnato anche a coprire dei turni nel reparto di
Medicina e ciò significa che i pazienti oncologici saranno penalizzati e perderanno
un importante punto di riferimento.
Pur volendo comprendere la necessità degli altri
reparti che presentano carenze di personale, vorrei sottolineare che l’oncologia
non può rimanere sguarnita della figura centrale. Altre soluzioni possono essere
trovate, basta un po’ di buona volontà, ma il dr. Caputo che ci segue da tempo
e potrà seguire altri pazienti in futuro non deve essere spostato, perché, come
dicevo prima, il malato oncologico è un paziente che forse più degli altri ha
bisogno di un punto di riferimento, di fiducia, di gesti e parole che ricuciano
l’anima. Oltre alla professionalità, ma questo è implicito. Ecco perché voglio farmi
portavoce di quelle che sono sicuramente le esigenze dei malati come me che
nell’ambulatorio dell’ospedale di San Giovanni hanno trovato una speranza di
vita, affinché nessuno ci tolga questa speranza né le cure che il dr. Caputo ci
somministra. Per favore, lasciate il nostro oncologo in ambulatorio. Grazie.
Una
malata oncologica
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