Sibari,
la città più grande e potente dell’Italia antica
di DOMENICO e FRANCESCA CANINO
QUANDO nell’VIII sec. a.C. i coloni greci decisero di fondare delle colonie nell’area dell’alto Jonio conoscevano bene il territorio e gli abitanti. Non erano dei primitivi visto che utilizzavano tecniche di fusione dei metalli o di costruzione di armi e navi affatto inferiori alla loro civiltà. In più gli Italici avevano una meravigliosa piana fertile, con l’acqua del fiume Sibar, il posto migliore per fondare una colonia. Dal 710 al 510 a.C., la città crebbe velocemente grazie all’agricoltura e ai commerci. Nacquero i teatri, le strade, le ville lussuose con ampi giardini e il dominio di questa polis, che era divenuta la città più grande e potente di tutta Italia, si estese, secondo Diodoro Siculo, fino a dominare quattro popolazioni e 25 città. L’area urbana aveva raggiunto una dimensione di 50 stadi (quasi 10 km) e la popolazione raggiunse i 300.000 abitanti. Questa sorta di impero era una federazione con un’estensione che andava dalla foce del Sele, in Campania, a quella del Sinni in Basilicata e fin quasi all’istmo di Skilletion-Vibo in Calabria.
Sibaris emetteva monetazione propria con il suo simbolo, il toro lanuto (Uro) che si volge all’indietro, già presente nella simbologia italica dell’area. Gli stateri d’argento della città erano bellissimi e diffusi in tutto il Mediterraneo. Ma Sibaris era soprattutto il cuore di un territorio in cui i centri vicini, dalla Sila Greca al Pollino, portavano le loro merci e il loro prezioso artigianato.
Sorsero, così, i racconti delle vesti preziose del ricchissimo sibarita Smindiride e dei suoi mille servi al seguito, dei cuochi che brevettavano i piatti e ne godevano dei diritti d’autore, delle tubature di argilla in cui scorreva il vino dalla campagna alle ville sul Crati, dei cavalli ammaestrati a danzare al suono della musica dei flauti. Si narra anche che essi, pur avendo dotato la città di larghi viali ombrosi, per non soffrire la calura estiva usavano stendere sopra le strade delle tende per camminare all'ombra e al fresco. Ma a causa della guerra fratricida con Crotone, la città fu distrutta, il Crati deviato e il sogno del lusso sfrenato svanì per sempre.
Nel 444 a.C. i coloni greci ci riprovarono con la fondazione della colonia di Thurii nello stesso sito, che ebbe una sua vita florida, ma non raggiunse mai i fasti dell'antica Sibaris. Il toro cozzante sostituì nella simbologia delle monete il toro lanuto che si volge all’indietro, furono intraprese le lotte con i Brettii e i Lucani. In seguito, l’avvento di Roma vi fondò la colonia di Copia che scomparve definitivamente alla fine del Medio Evo.
Per secoli i viaggiatori stranieri visitarono la piana alla ricerca del sito della mitica città, ma trovarono solo zone paludose. Nel 1932 l’archeologo Paolo Orsi individuò il sito dell'antica città e ne iniziò lo scavo archeologico. Furono ritrovate monete, utensili, i gioielli preziosi delle donne e dei forni italici di tecnologia avanzatissima, con griglia forata di areazione e canna fumaria rastremata, la statua in bronzo del toro cozzante di Thurii e tanti altri reperti preziosi esposti nel museo della Sibaritide. E il meglio deve venire poiché la maggior parte dei tesori è ancora sepolta sotto gli agrumeti.
Nel gennaio 2013, il Crati ha tentato di seppellire gli scavi della città con una inondazione, esattamente come fecero i Crotoniati 2500 anni fa. La speranza è di poter camminare di nuovo nelle strade dell’antico centro, di poter rivedere i mosaici e il teatro, di assaporare nuovamente quella ricchezza antica che il mondo ci invidia.
Gennaio 2013
Sibari nel fango c'era già
DOPO l'era di Sybaris, Thurii e Copia è giunta quella del fango. Più dei Crotoniati, più delle insidie dei Tarantini e dei Siracusani. Nessuno ha portato tanta distruzione quanto il Krathis. Qualche settimana fa, la furia del fiume, dopo copiose e incessanti piogge, ha rotto gli argini ed esondato nei territori circostanti, interessando anche l'area archeologica di Sibari. Si poteva evitare ciò?
C'è un modello di previsione probabilistica delle piogge elaborato dal Camilab dell'Unical alcuni anni fa, in grado di prevedere quanta pioggia cadrà nell'immediato futuro, efficace nell’elaborazione dei sistemi di preavviso come le piene dei fiumi. C'è la violenza del Crati, descritta dagli storici antichi, anzi proprio l'etimologia del nome racchiude il concetto di 'furia naturale, impeto incontenibile'. C'è che gli scavi si trovano appena sotto il livello del mare e solo l'azione costante di pompe idrovore ha finora assicurato al sito di non essere sommerso dalle acque. Nessuna sorpresa, dunque, se il fango ha invaso un tesoro di incalcolabile valore, in Italia secondo solo a Pompei, sebbene dei 160 ettari di interesse archeologico ne siano stati portati alla luce solo una minima parte di essi.
Sorprende invece il silenzio di alcuni organi istituzionali, distratti da competizioni elettorali e relative beghe politiche. In altri tempi, in campagna elettorale, i vari schieramenti avrebbero fatto a gara per promettere interventi, fondi, visite e quant'altro per un qualunque territorio colpito da una qualsivoglia calamità naturale. Sarebbe diventato il cavallo di battaglia con cui tentare di vincere le elezioni. Fino a cinque giorni dopo l'esondazione, invece, ha prevalso il silenzio della politica e della Soprintendenza archeologica di Reggio, come se fossero mondi distanti. Eppure Sibari è in Calabria, la stessa regione che, contemporaneamente alla presentazione delle liste per le elezioni, la rielezione del sindaco del capoluogo, assisteva inerme al danno arrecato da Giove Pluvio all'antica colonia greca.
Ma Sibari nel fango c'era già se per fango si intende l'oblio che da anni la circonda.
L'estate scorsa, un gruppo di turisti intenzionato a visitare il Museo e gli scavi, giunto con il treno a Sibari si è trovato dinanzi alla paradossale realtà della mancanza di collegamenti con l'area archeologica che dista circa cinque chilometri dalla stazione. Nessun mezzo, solo autostop per ammirare reperti invidiabili e scoprire anche che non ci sono guide che accompagnano i visitatori per gli scavi, né un catalogo del Museo. Pochissimi i fondi destinati alla cultura, purtroppo, ma nello stesso periodo (luglio 2012) veniva attuato e pubblicizzato a tamburo battente uno dei più dispendiosi progetti regionali (7 milioni di euro) denominato Calabria Jones, per formare nuovi piccoli archeologi. E Sibari ora è sommersa dal fango e sentir parlare di nuovi angeli, come la Coldiretti ha definito i suoi uomini che si sono messi a disposizione per salvare il sito, è un segno di speranza. Ma più che di speranza c'è bisogno di un miracolo, rompendo i silenzi e unendo le forze. Le pompe idrovore hanno aspirato l'acqua, ma il fango resterà depositato sugli scavi e per eliminarli non si potranno usare mezzi meccanici. Il lavoro di pulitura dovrà essere effettuato a mano, se si interviene subito sarà più facile perchè il fango è fresco, ma se si solidificherà, solo uno scavo archeologico in piena regola potrà di nuovo riportare alla luce le vestigia del passato. Scrisse Norman Douglas: "Chi, se potesse, non vorrebbe vivere tanto da vedere che cosa viene alla luce di Sibari?”.
Cosenza, 5 novembre 2018
Francesca Canino
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