Futura
Qui si ama
da "Il Quotidiano della Calabria", settembre 2007
‘’I
PAZZI aprono strade che poi i savi percorrono’’.
E
così è stato quando Futura è stata ideata e voluta, tanto da essere realizzata
in breve tempo, come tutte le cose in cui si crede fortemente, per le quali si
combattono battaglie, si superano ostacoli, si gioca una partita su più fronti.
Se
la società dei consumi ha evitato finora alle nuove generazioni, almeno nell’Occidente
industrializzato, di vivere situazioni estreme di bisogno, così non è stato nei
decenni che seguirono il dopoguerra, nonostante il boom economico ed il
benessere che da esso scaturì.
Di
fame ce n’era ancora, forse non in percentuale altissima, ma di poveri che
bussavano per un pezzo di pane e non per
una ‘moneta’ come succede oggi, se ne aggiravano tanti per la città
degli anni ’50 e ’60. Si sistemavano sui muretti e sotto gli archi, i vari portici
cittadini, quando pioveva, in attesa degli avanzi riscaldati, a volte i resti
dei pasti ospedalieri, conservati con cura per sfamare i poveri di quegli anni
difficili.
C’era
sempre qualcuno di buona volontà che si incaricava di prelevare la pasta cotta
e congelata dall’Annunziata, di riscaldarla e offrirla ai poveri. I ricordi di
molti convergono su quelle figure di indigenti, che spinti dalle necessità di
tutti i giorni, bussavano alle porte di case, enti, chiese.
Qualche
anno più tardi, le cose cambiarono, ma non in meglio come ci si sarebbe
aspettato, poiché ai poveri ‘locali’ cominciarono ad affiancarsi i primi
‘stranieri’ e le bocche da sfamare aumentarono.
Per
questo motivo, il 13 maggio 1985, in una vecchia casa situata in corso Mazzini,
si diede vita ad un ‘Cenacolo’, una sorta di approdo per indigenti di tutte le
razze e religioni, gestita da giovani volontari dalle insolite caratteristiche:
non il ragazzo perbene, studioso e di buona famiglia, spinto da puri sentimenti
cristiani che si sente in debito perpetuo nei riguardi di chi ha meno di lui,
ma da ragazzacci, reperiti per le strade, negli spalti delle tifoserie
agguerrite, nei rifiuti umani della città.
Anch’essi
esclusi. Si dice che il povero aiuti il povero, questa è la dimostrazione del
teorema.
Si
assicurava, così, un pasto caldo ai nullatenenti di Cosenza, mentre i
volontari, impegnati a far funzionare una struttura del tutto nuova per la
città e soprattutto con pochi mezzi, si allontanavano sempre più dalle
molteplici devianze che la società genera, in particolar modo per i deboli, i
bistrattati, i più soli.
In
breve il cenacolo si guadagnò una grande popolarità, mentre la città plaudeva,
promuoveva e sosteneva l’iniziativa, fiera di una realtà che la rendeva quasi
unica in Italia.
Corso Mazzini, sulla sinistra era il Cenacolo |
Perché
non erano solo i poveri che bussavano alla porta del cenacolo, quanto la
Provvidenza di manzoniana memoria sotto le vesti dei diversi benefattori.
Il
solo pane quotidiano, però, non era più sufficiente: case abbandonate ed
isolate, cassonetti dell’immondizia, stazioni, tanti luoghi impensati di notte
si popolavano per ospitare barboni, extracomunitari a cui serviva un posto per
riposare. Le esigenze aumentavano, allora si affittò una modesta costruzione a
Cosenza Casali per adibirla a dormitorio e Futura iniziò ad ospitare i poveri
anche di notte.
Si
dirigevano là tutti i barboni della città, ma anche gli occasionali e chiunque
si trovasse in difficoltà per l’assistenza quotidiana, accolti con gioia e
serafico orgoglio dai ‘ragazzacci’ che ormai si sentivano un tutt’uno con la
struttura. Un pozzo di solidarietà scavato nel cuore dei poveri e nell’umile,
spregiudicata opera di propaganda per autofinanziarsi: dalla raccolta dei
rifiuti, alla sensibilizzazione dei cittadini che in breve divennero
straordinari affluenti di un fiume in piena, quello della solidarietà.
Abbandonate
le sicurezze derivanti dagli agi ed il perbenismo, Futura si buttò a capofitto
fra il popolo affamato, senza casa, senza vestito, ammalato non solo nel corpo,
ma anche nell’anima. Lazzari.
‘’Non
sogno mai. Penso tanto alle cose del giorno – racconta uno dei primi ad essere
accolti da Futura - ma non sogno. Le persone che incontro hanno tutte problemi,
momenti di tristezza. Bene o male, siamo tutti tristi, con i nostri guai. Certe
volte stiamo zitti, nessuno ha voglia di fare niente. Ecco, quelle volte vuol
dire che tutti quanti siamo molto tristi e stiamo pensando ai nostri problemi.
Spesso incontro vecchi amici, che conoscevo prima di
diventare barbone, ma mi scansano, fanno finta di non vedermi. Io ci rimango
male, mi accorgo che si impressionano per come mi sono ridotto.
Ci sono stati momenti in cui ho pensato di morire, quando
uno è preso dalla disperazione lo fa. Perché vivere nella disperazione è peggio
di uccidersi una volta sola.
Ho sofferto tanto perché sono cresciuto senza mamma e
quando uno è sfortunato di mamma è sfortunato di tutto, si ha sempre sfortuna
nella vita, ci si sente soli, non si è mai felice. Non trovi veri amici, magari
tu parli con qualcuno e poi quello parla male di te. Poi, però, penso che forse
è peggio morire. Anche di essere povero, di dormire nelle ville comunali. A
volte dormivo nella villa nuova, a volte in quella vecchia o sotto i ponti di
via Popilia per ripararmi, tutti i cani mi venivano vicino, dormivano con me. Mi
sentivo a disagio perché non ero abituato a questa vita. Provavo vergogna
quando qualcuno mi osservava, soprattutto quando incontravo amici e parenti. Non
ho mai voluto chiedere l’elemosina. Per mangiare chiedevo aiuto alla gente che
conoscevo. Mi arrangiavo da solo, facevo qualche lavoretto saltuario, ogni
tanto. Sono rimasto sempre qui. Andare altrove mi metteva paura, sarebbe stato
anche peggio, perché il povero è uno che è solo, allontanato da tutti. In
questi momenti ci si sente un cane randagio. So cosa vuol dire non poter andare
dai familiari, essere ignorato quando ci si incontra in mezzo alla strada e
fanno finta di non vederti, di non sentire il tuo saluto, ti scansano quando ti
incontrano e dentro ti senti male, umiliato e offeso. Questa è anche povertà, soffrire
la solitudine quando la gente ti evita e il non sapere dove andare. Fino a
quando hai tutto non si capisce. Devi perderle per apprezzarle le cose e chi
non ha sofferto non sa cosa significhi. All’improvviso ti trovi in una
situazione di disagio e la mente non sa come reagire. Si perdono una dopo
l’altra tutte le cose importanti e ti trascuri. Ti cresce la barba perché non
sai dove andartela a fare, non ti lavi perché non hai un posto dove farlo, i
vestiti diventano sporchi e si lacerano e c’è quello che ti schifa e passa
avanti. Io provavo vergogna dentro di me perché non ero stato io a volermi
ridurre in quel modo, io volevo essere felice come tutti. La felicità non lo so
cos’è. E’ una bella cosa per chi la conosce, ma per me no. Per i sofferenti la
felicità non esiste. Cerco di trovarla, ma non c’è più. Mi sono abituato. Chi
soffre può essere felice per qualche momento, ma neanche ci pensa, non ci fa
caso. Ora che sono qua, spesso sono più felice, magari dura per sempre. Futura,
è un bel nome, fa sperare di felicità’’.
Raccolta l’amarezza dei disperati per convertirla in
dolcezza dell’anima e del corpo, il 29 maggio 1990, Futura si costituì in Associazione
di volontariato, continuando, pur tra mille traversie, ad accogliere bisognosi
di ogni tipo ed a sfamarli al grido di ‘’Povertà non è solo assenza di…, ma è
gioia di non avere!’’. Ma le difficoltà non tardarono ad arrivare rendendo
sempre più faticosa l’opera di quanti si dedicavano all’Associazione tanto che
il 21 giugno 1993, entrò in scena il comune di Cosenza per aiutare Futura. Con
una Convenzione. Stabiliva che: ‘’A seguito della mancata fornitura delle derrate
alimentari, il Comune ha da più tempo sospeso i servizi dell’ex ECA e dell’ex
OMNI, e per non far mancare ai cittadini meno abbienti un servizio di alto
contenuto sociale quale la somministrazione di pasti, pattuisce, conviene e
concede un contributo annuo, affinché si possa offrire un pasto giornaliero (a
mezzogiorno) a tutti i poveri che ne abbiano bisogno’’.
Un contributo comunale, quindi, all’Associazione che
si era distinta per la sua opera verso i bisognosi e se è vero che i poveri li
avremo sempre tra noi, questi arrivavano a flotte, affamati, a volte ammalati,
senza avere un posto dove posare il capo,
tanto che in breve divenne indispensabile ingrandirsi.
E così, il 7 aprile 1995, Futura si sciolse per dar
vita all’Oasi Francescana.
7-2-2017
Francesca Canino