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05 novembre 2015

Sguardi a Sud

Donnici, bel suol d’amor

da "Il Quotidiano della Calabria", settembre 2008

CIUFFI di papaveri affiancano il nero asfalto a Sud della città. E’ l’antica strada Consolare che attraverso verdi declivi giunge all’originaria rocca dei Brettii. Qui, negli antichi Campi Dominici, terreni demaniali amministrati dal governatore romano, si rifugiavano i cosentini per sfuggire alle incursioni straniere, formando uno dei Casali più vicini a Cosenza: Donnici. Ea nche uno dei più suggestivi, visto che sorge tra creste e burroni, in un territorio per natura franoso, ricco in passato di acque sulfuree, di mulini a cilindri e case di villeggiatura estiva per i ricchi della città.
Nel 1899, il sindaco Salfi vi inaugurò l’acquedotto del Crati, detto dello Zumpo, che portò ai due Donnici (Superiore ed Inferiore), tre litri al secondo di acqua potabile. Più volte distrutto da forti terremoti che costarono uomini, caseggiati e l’aggregazione al comune di Cosenza nel 1856 (due anni dopo il rovinoso sisma che sconvolse la città), la sua popolazione si è sempre aggirata intorno ai 1300 abitanti. Non gradita da tutti, l’aggregazione si rivelò in breve poco fruttuosa per il disinteresse dell’amministrazione comunale del tempo che le riservò sempre un trattamento marginale, nonostante le risorse del suolo. Già agli inizi del ‘900, era fiorente l’industria dei fichi, del vino, dell’olio, della pasta e una fabbrica di liquori che, con la sua premiata specialità denominata ‘Amaro tonico silano’, sosteneva una distilleria e una raffineria di alcool. Attività produttive, si direbbe oggi, compiute grazie alla fertilità della terra e alla forza delle volenterose braccia dei contadini che non disdegnavano il lavoro pesante e lo difendevano con la fantasia tipica di chi ha pochi mezzi e tanto bisogno. Proprio dalla necessità di proteggere i raccolti in un tempo senza tecnologie, comparirono a Donnici le zucche di Halloween. Non per importazione, solo una pratica rudimentale per tenere lontano i malintenzionati e i predatori notturni dai prodotti ricavati dalla terra. Sembra, infatti, che i contadini del luogo usassero sistemare alcune zucche scavate, con una fonte luminosa all’interno, vicino ai raccolti, in modo da impaurire e allontanare ladruncoli e bestie. Spesso ogni sforzo risultava vano quando si dovevano fronteggiare i capricci del tempo: gli anziani del posto raccontano che molti anni fa, pur non essendo ancora in un periodo dal clima pazzo come oggi, si verificò una nevicata dopo la trebbiatura, cioè a giugno inoltrato, che meravigliò gli abitanti, ma non più di tanto, presi com’erano dalle mille fatiche giornaliere e non ancora tartassati dal ‘bla bla’ mediatico che amplifica ogni evento.

Donnici era ed è un’icona bucolica, dove le grandi famiglie rappresentano le indiscusse protagoniste di un modus vivendi imperniato sui legami familiari e sulla cordialità verso gli ‘stranieri’, destinatari della genuina ospitalità di un popolo estroverso, quello dalla ‘elle’ pronunciata dolce, a guisa di ‘doppia vu’. Non a caso dal 1980, Donnici accoglie in autunno migliaia di persone dai dintorni, per la Sagra dell’uva, festa popolare in grado di coinvolgere il circondario, sebbene sia nata con scopi diversi. E già, perché questa è anche la terra di Bacco, ricca di antichi vitigni che danno il rosso ‘cerasuolo’, riconosciuto vino Doc dal ’71. Ma la scarsezza della produzione e la mancanza di capacità manageriali e di spirito di cooperazione, hanno impedito il decollo di questo importante comparto dell’economia donnicese. In questo contesto, la funzione della Sagra si è discostata, negli anni scorsi, dall’originario disegno che la indicava come momento propulsore per il reparto vinicolo e occasione propositiva per lanciare il prodotto su larga scala. Oggi qualcosa è cambiato, la mancanza, però, di uno sforzo comune in tutto il settore agricolo ha causato l’abbandono delle terre, intensamente coltivate in passato tanto da rifornire la città di prodotti ortofrutticoli, vista la fertilità dei luoghi ancora oggi ‘invasi’ dalla superba macchia mediterranea.

Preservata negli anni ’70 dal Piano Regolatore Vittorini, che destinò il Sud della città a zone agricole, ciò aprì ben presto un dibattito politico che avrebbe segnato il futuro dell’area urbana. Sembra che proprio in quegli anni, svariati interessi politici ed economici spingessero la DC a proporre uno sviluppo urbanistico a Sud, fortemente osteggiato dalla Sinistra (socialisti e comunisti), contraria alla costruzione edilizia in queste zone, destinate a rimanere agricole. Intanto, le trasformazioni sociali impoverivano l’agricoltura e la mancanza di un progetto complessivo da parte delle Istituzioni ne impediva il rilancio. In questo quadro, che vedeva opposti lo sviluppo edilizio alla conservazione non si realizzò il passaggio tra le due parti, probabilmente perché i risultati politici non sarebbero stati immediati. Le conseguenze sono tuttora visibili: oltre all’emigrazione dei giovani verso i paesi viciniori alla ricerca della casa in cui vivere, non si è realizzato lo sviluppo agricolo, nonostante le diverse risorse e il riconoscimento del vino Doc.


Oggi si auspica un progetto di recupero per le attività agricole, a sostegno di iniziative quali l’agricoltura biologica o lo sfruttamento in termini industriali delle acque dello Zumpo, tra le migliori d’Europa. La contrada dalle venti contrade, e oltre (di tanti borghi è, infatti, formata), offre anche un paesaggio ‘verde’ che alcuni del posto vorrebbero utilizzare come richiamo turistico mediante la realizzazione di un agriturismo. Tali progetti, insieme ad una forte cooperazione, potrebbero costituire le basi per uno sviluppo non ordinario, invece le zone a Sud rimangono abbandonate a se stesse e tirate fuori dai media e dagli amministratori per fantomatiche opere colossali che distolgono l’attenzione dalle reali emergenze. Sarebbe necessario un piano ad hoc per le frazioni che non riguardi esclusivamente l’edilizia, ma che sia in grado di sviluppare le risorse naturali e umane presenti in questi luoghi, non una propaggine della città, ma un’alternativa ad essa, fondata sulla propria secolare identità.
Domenico Bisceglia

Dalle fonti storiche si apprende che il cittadino più celebre di Donnici fu Domenico Bisceglia, avvocato, nato nel 1756, incarcerato nel 1794 per aver sostenuto le ragioni dei Casali cosentini sui territori della Sila. Sospetto ai Borboni per le sue idee repubblicane, fu arrestato a Cosenza e incarcerato a Napoli dove, nel 1799, divenne uno dei principali esponenti della Repubblica Partenopea. Caduti i Borboni, fu deputato del popolo ed esercitò le funzioni di Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Restaurato il governo borbonico, alla caduta della Repubblica Partenopea, fu perseguitato e morì sul patibolo in piazza del Mercato a Napoli, il 28 novembre 1799. 

Il culto di San Michele

La leggenda vuole che secoli addietro, mentre gli abitanti di Piane Crati tornavano da Cosenza trasportando una statua di San Michele per la loro chiesa, furono costretti a fermarsi a Donnici a causa di un temporale. La statua del santo fu sistemata in una chiesetta e quando il cielo si rasserenò, la statua era diventata pesantissima e intrasportabile. Rimase a Donnici e ne divenne il patrono.

5-11-15

©Francesca Canino

   

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